di Alessandro Mastroluca
“Ho dovuto cercare su Google dove fosse Wuhan. Poi ho sentito che è la città dove è nata Li Na e ho capito tutto”. Nelle parole di Maria Sharapova a Sports Illustrated c’è tutto il senso del nuovo Premier 5 organizzato nella capitale della provincia di Hubei, in calendario al posto del torneo di Tokyo.
Con i suoi 12 milioni di abitanti, stretta all’intersezione dei fiumi Yangtze e Han, Wuhan è la città più grande della Cina Centrale. Accessibile via acqua da nove province, collegata via treno con Pechino, Shanghai, Guangzhou e Zhengzhou (anche grazie alla prima linea ad alta velocità inaugurata nel 2012), punta a diventare la seconda città più importante della nazione e soppiantare Shanghai. Per questo, lo scorso luglio il governo locale ha annunciato di volerla trasformare in una metropoli come Londra o New York. Ma dopo l’avvio della costruzione del secondo aeroporto internazionale e l’annuncio di un investimento da 329 miliardi di dollari in cinque anni per l’edilizia urbana, è arrivato il taglio dei fondi e la ricerca di nuove risorse, come vendere a sponsor privati i naming rights di una stazione della metro per contenere i debiti, che nel 2012 ammontavano a quasi 25 miliardi di dollari.
Ai sogni di grandezza ha partecipato anche la Wuhan Sport Development and Investment Company, che ha firmato un contratto con la Octagon per ospitare il torneo fino al 2028. Eppure fino a 14 mesi fa l’International Tennis Center alla Optics Valley, che i cartelloni fuori dallo stadio definiscono la Silicon Valley cinese, nemmeno esisteva. Lo stadio da 5 mila posti, costato 200 milioni, che ha ospitato la prima edizione appena conclusa, però, non resterà isolato. Per l’anno prossimo, infatti, dovrebbe essere completato il nuovo stadio, con tetto retrattile, da 15 mila posti, tanti quanti ne può ospitare il campo principale del National Tennis Centre che ospita il China Open di Pechino, maschile e femminile.
Peccato che, per gli organizzatori, la situazione sia da subito peggiorata. Prima Li Na, per Stacey Allaster la giocatrice più importante del decennio, ha annunciato il ritiro dal tennis. Poi Yuxuan Zhang, che ha ricevuto una wild card per le qualificazioni, non si presenta in campo perché proprio non sa dell’invito e viene sostituita da Zhaoxuan Yang. Poi Shuai Peng, numero due di Cina, viene eliminata al primo turno da Mona Barthel mentre molte big, Muguruza, Safarova, Halep e soprattutto Serena Williams, accusano malesseri e attacchi virali, e Maria Sharapova cede a Timea Bacsinsky, la svizzera che aveva abbandonato il tennis e cercato fino all’anno scorso una nuova felicità nell’anonimato di un posto da barista in un hotel a 5 stelle.
Dal punto di vista sportivo, il torneo si può comunque considerare un successo, con partite di ottimo livello come la semifinale Bouchard-Wozniacki e la Kvitova extra-lusso ammirata in finale, seppur in un trionfo desolante di spalti vuoti o semi-vuoti. Ma certo la WTA, che vuole fare dell’Asia la Nuova Frontiera del circuito tanto da scegliere Singapore come sede dei Championships di fine stagione per cinque anni, cercava non solo qualche bella partita portando il tennis a casa di Li Na, che aveva tenuto 116 milioni di cinesi davanti alla tv per il suo trionfo al Roland Garros nel 22mo anniversario della strage di Piazza Tienanmen.
La nuova stagione asiatica, che ormai dura sei settimane viste le due di stacco tra Pechino e i WTA Championships, non a tutte le giocatrici piace. Ma la Cina, che può vantare 13 giocatrici tra le prime 300 del mondo, è un mercato troppo allettante e ancora sostanzialmente inesplorato. L’interesse crescente verso il tennis, dimostrato dall’ingresso del marchio Uniqlo come sponsor di Novak Djokovic e dall’aumento del numero di praticanti, che sfiorano i 20 milioni, non si traduce ancora in un’elevata presenza di pubblico ai tornei, compreso il Masters 1000 di Shanghai.
Ma è difficile, se non impossibile, nonostante il ritiro di Li Na, le lamentele delle giocatrici per l’umidità e la cucina orientale, che la WTA rinunci a inseguire un’opportunità economica e a costruire una tradizione vincente in Cina. In fondo anche la NBA ha aperto i primi uffici in Cina nel 1992 e ospitato le prime partite solo nel 2004. La sensazione è che, nel bilanciamento tra esigenze sportive e ragioni del business, le seconde siano destinate a trionfare.
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