di Federico Mariani
Se è vero che tre indizi fanno una prova, i piani alti del tennis femminile possono ora dirsi certi di aver riabbracciato una delle sue figlie più talentuose. Dal deserto della California – sponda Indian Wells – arriva forte e chiaro il messaggio di Vika Azarenka che, firmando il trionfo numero 19 in carriera e già il secondo nel primo squarcio del 2016, si autocandida al principale ruolo di antagonista di Serena Williams, battuta proprio in finale.
Un successo, quello della bielorussa, dal sapore di conferma dopo il primo squillo dell’anno arrivato a Brisbane. Quelle conferme inseguite (invano) nell’ultimo infernale biennio, fatto di continui sali&scendi con flebili e fugaci speranze, subito smentite da nuovi forfait. Il calvario di Vika tra i guai fisici con l’infiammazione al piede destro a farla da padrona, ed i guai fuori dal campo con la separazione dal coach-mentore Sam Sumyk e quella, sentimentale, dal cantante Redfoo, sembra ormai destinato al dimenticatoio.
Ora anche i numeri arrivano in soccorso di Azarenka che, sul campo, dimostra palesemente una superiorità neanche tanto velata rispetto a quasi tutte le dirette competitors. Il ruolino 2016 recita al momento 16 vittorie su 17 match disputati, con l’unica pecca dovuta alla sconfitta nei quarti di finale di Melbourne contro Kerber, poi futura vincitrice del torneo (peraltro la prima sconfitta in sette sfide con la tedesca). Successi che le hanno donato due titoli, la terza posizione nella Road to Singapore ed il rientro tra le prime dieci giocatrici del mondo dove la sua presenza mancava addirittura dal giugno 2014 Al di là dei meri dati numerici che spesso lasciano il tempo che trovano, specie nel circuito femminile, vi è la sensazione di ritrovata consapevolezza di forza a marcare la differenza. Azarenka è finalmente convinta, lei prima di altri, di essere tornata su standard che le appartengono.
Serena Williams resta la giocatrice più forte del mondo e la donna da battere, ma il 2016 sta mostrando qualche crepa inaspettata su una corazza considerata inscalfibile nelle ultime stagioni. Erano dodici anni che l’americana non usciva sconfitta in due finali consecutive e, tolta la sorellona Venus, nessun’altra tennista era stata in grado di superarla per quattro in finale, come appunto ha fatto Azarenka che in California ha centrato il poker. A far da contorno nello scenario del tennis di vertice al femminile, ci sono le altre comprimarie, o presunte tali, che offrono ben poche garanzie: Halep è attanagliata da guai fisici mai superati appieno, Kvitova oscilla pericolosamente tra molti bassi e pochi alti, Sharapova è fuori dai giochi, Muguruza fatica ad ingranare quest’anno e Radwanska resta troppo leggera per poter dominare con continuità, e Kerber pare ancora stordita dal successo australiano.
In quella che ha tutti i connotati per essere definita come una crisi di potere, Vika Azarenka si erge quale più valida alternativa alla Williams, la più credibile avversaria, la vera antagonista di una campionessa la cui più grande avversaria si è dimostrata essere negli ultimi anni se stessa. Le prossime settimane e, soprattutto, la prossima estate ci sapranno dire se si tratta dell’ennesima illusione o di una meravigliosa e ritrovata realtà che – in un periodo di magra – non può che dare lustro ed appeal al circuito femminile.
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