di Piero Emmolo
“I am a cancer free”. Tra centinaia di tweets di diletto di incommensurabile futilità in confronto, Victoria Duval ha messo a conoscenza il mondo cibernautico della sua vittoria più importante nella vita: la sconfitta del tumore.
Facile immaginare la trepidazione con la quale la giovane americana abbia composto la notizia nei fatidici 140 caratteri, densi più che mai di significato umano ed espressività comunicativa. L’avversario di turno di nome faceva Hodgkin. E nel circus è già conosciuto per la sua malvagità e le randomiche incursioni tra i professionisti della racchetta, fisiologicamente mal’avvezzi a fronteggiare un male così sportivamente subdolo e dall’ incidenza probabilistica di tre persone ogni centomila. E fa specie che di recente tanti tennisti abbiano dovuto fronteggiare il linfoma di Hodgkin, così chiamato dal nome dello scienziato che per primo nel diciannovesimo secolo ne tratteggiò manualisticamente le linee patologiche essenziali.
E se molti atleti del nostro sport sono riusciti, proprio come Victoria, ad avere la meglio sulla malattia, un breve pensiero non può non trovare menzione nei confronti di chi non ce l’ha fatta. Nel celebrare la gioia della statunitense, è d’obbligo tributare commemorativamente la britannica Elena Baltacha, non altrettanto fortunata come il connazionale Ross Hutchins e la russa Alisa Kleybanova. Considerevole l’iniziativa dell’AELTC che ha voluto indelebilmente incidere il ricordo di Elena tra le teche del Museo di Church Road. Come a sottolineare che accanto ai cimeli intrisi di tennistico prestigio anche una semplice foto e alcuni braccialetti della celebre iniziativa “Rally for Bally” meritino eterna memoria nei posteri visitatori. Ne sono rimasto molto colpito in prima persona, in quel luogo così denso di tradizione secolare che ho avuto il privilegio di visitare. Ed è la prima cosa alla quale ho pensato alla notizia diffusa poche ore fa.
Victoria invece ha avuto la meglio. Quasi a voler tener fede a quel nome così agonisticamente emblematico. Non ha mollato e ha deciso di lottare, risoluta nella convinzione che lo scalpo della Stosur a Flushing Meadows non poteva e non doveva essere un isolato lampo in una carriera ancora da acerba teenager. Una vittoria che aveva attirato l’attenzione sulla giovane Duval, subito voracemente e frettolosamente accreditata dalla stampa sportiva a stelle e strisce di avere le credenziali per diventare epigona delle Williams. Una fugace apparizione allo show nazional popolare del “David Letterman Show” e tanti allenamenti per dare seguito alle speranze in lei riposte da un movimento tennistico abituato fin troppo bene negli ultimi decenni di Slam e vittorie prestigiosissime.
Ma come un fulmine a ciel sereno arriva la notizia del contagio durante il torneo di Wimbledon. Victoria ne è a conoscenza, ma con grande animo supera le qualificazioni ed approda al secondo turno, sconfiggendo nel primo atto l’altalenante Sorana Cirstea. Dopo un breve periodo in cui la notizia è tenuta volontariamente sotto traccia, viene resa pubblicamente nota. Si propaga a macchia d’olio tra i blogs specializzati. C’è sgomento. Il mondo degli appassionati non ha ancora metabolizzato la notizia della scomparsa della Baltacha. Così come la stampa britannica, in prima linea a Wimbledon per ovvi motivi e ancora tramortita dal caso Hutchins ( al quale i fratelli Skupski non hanno mai fatto mancare il proprio supporto morale durante la degenza ).
Il comunicato stampa è terrificante. Rievoca nelle menti degli appassionati come un funereo dejà-vu la notizia di Bally. Ma Victoria ha solo 18 anni. Per quanto la vita da globetrotter induca inevitabilmente ad una precoce maturazione e ad una presumibilmente più rapida responsabilizzazione, v’é perplessità nello scoprire come evolveranno i fatti dalla prospettiva caratteriale della giovane tennista. L’americana inizia a sottoporsi al trattamento chemioterapico, consigliato dagli oncologi in luogo della radioterapia, più adatta evidentemente alla cura di altre forme in cui il linfoma può concretamente manifestarsi. Sono diverse le sedute alle quali si sottopone l’americana, che nel frattempo posta sui social network qualche foto per tenere informati i propri fans e tutto il mondo dello sport. Perchè dinanzi a situazioni così drammatiche, l’appassionato di qualsiasi disciplina non può rimanere indifferente. Come se un indotto partecipativo seguitasse e involgesse l’atleta, al fine di stemperare emotivamente la negatività della notizia. I giorni passano e per qualche tempo non si hanno notizie. Nè buone nè cattive. I più ottimisti presagiscono il meglio dopo qualche estemporaneo tweet, segno premonitore del gioioso cinguettio col quale abbiamo inaugurato queste brevi righe.
Adesso non possiamo che augurare il meglio alla statunitense, nella speranza che il tumore sia stato debellato del tutto e non abbia ripercussioni sulla sua carriera agonistica. Good luck Victoria!