di Federico Rossini
Forse non è più il caso di chiamarla promessa. Perché Coco Vandeweghe sta diventando una realtà, e l’ha confermato a Stanford. Senza avere timori nei confronti di Serena Williams, alla sua prima finale sul circuito WTA, è riuscita ad avere set point sul proprio servizio, sul quale però ci è precipitata dentro con tutto il corpo, servendo prima una seconda preda di Serena, e poi doppio fallo sul break point che ha girato la partita.
La newyorkese, nata nel dicembre ’91 e che ha iniziato col tennis relativamente tardi, a 11 anni, negli ultimi anni ha spesso avuto modo di farsi notare agli occhi dell’italico pubblico. In prima battuta, si ricorda la finale di Fed Cup 2010, in cui Mary Joe Fernandez la destinò a due sconfitte contro Francesca Schiavone e Flavia Pennetta. Per tornare a tempi più recenti, ha fatto molto parlare il match di primo turno a Wimbledon con Sara Errani, quello in cui ha commesso il doppio fallo sul match point a sfavore alla ripresa del gioco il giorno dopo la sospensione per pioggia.
Ma Coco Vandeweghe è molto più di questo. E’ una giocatrice che nel 2008 ha vinto gli US Open juniores da wild card, senza perdere nemmeno un set. Che nel 2009, piano piano, è riuscita a scalare la classifica, a forza di wild card un po’ ovunque negli States e di buoni risultati (spesso anche ottenuti partendo dalle qualificazioni).
Nel 2010, l’esplosione vera. Tra maggio e giugno, due ITF vinti (50mila a Carson, California e 25.000 a El Paso, Texas), e poco dopo, ad agosto, i quarti a San Diego, ottenuti partendo dalle qualificazioni e battendo Vera Zvonareva, che al tempo veniva dalla finale di Wimbledon, prima di cedere a Svetlana Kuznetsova. Finita? No, perché piazza un altro quarto a Tokyo, battendo Zakopalova, Rezai e Goerges prima di cedere all’Azarenka. Infine, la parentesi già narrata di Fed Cup.
Il 2011 è giocoforza un anno un po’ complicato, con le prime vere esperienze fuori dal cemento: di fatto, il primo anno completo di Coco sul tour WTA. A parte un quarto di finale a Memphis e un paio di turni a Carlsbad, questa infatti non è proprio la stagione buona per lei.
Nella stagione 2012, la Vandeweghe si fa tutta la stagione su terra… in America. Sì, perché i cinque tornei prima del rosso di Parigi se li fa proprio là, nel suo continente, con l’aggravante che quella non è nemmeno terra rossa, ma verde. E la verde, com’è noto, non è proprio la rossa, per una questione di maggior velocità. In questi tornei, comunque, Coco non riesce mai a fare granché: un primo turno, due secondi, un quarto e una semifinale. Al Roland Garros, prova le qualificazioni, supera Karin Knapp, ma esce subito dopo con Yaroslava Shvedova.
E’ da Nottingham, però, che parte la violenta risalita. Finale partendo dalle qualificazioni nel 75mila pre-Wimbledon, qualificazione conseguita ai Championships, e finale a Stanford. Un obiettivo che, in realtà, Coco sembrava essersi preclusa già la settimana prima. Aveva perso nel secondo turno di qualificazioni: a rimediare alla sconfitta con la Lertchewakaarn ha però pensato un posto da lucky loser. Ed è cominciato tutto così: Czink, Jankovic, Urszula Radwanska, Wickmayer. E poco ci è mancato che portasse via un set a Serena Williams.
Non sappiamo ancora quale sarà il futuro della newyorkese. Una cosa è certa: l’ingresso nelle prime 70 del mondo (69 per l’esattezza) male non fa. Il fatto che non giochi alle Olimpiadi la porterà, come parecchie altre, alla programmazione alternativa, che può per lei trasformarsi in un vantaggio. Ma, come cantava Lucio Battisti, “lo scopriremo solo vivendo”.