C’era una volta una ragazzina pugliese cresciuta sulla terra rossa, determinata e talentuosa, con un passato di vincitrice del Roland Garros junior in doppio. Così inizia la favola di Flavia Pennetta, una favola che ieri notte ha scritto un altro, ennesimo, bellissimo capitolo lì dove all’inizio della storia nessuno l’avrebbe mai vista arrivare. Ed è a quell’inizio che ci volgiamo, quando poco più che ventenne si affacciava con determinazione alle prime 30 del mondo, in un’epoca in cui l’Italia viveva ancora stretta dalla maledizione della top 10, quando i sogni di gloria di molte si infrangevano proprio sul più bello, quando Silvia Farina prima e Francesca Schiavone poi si vedevano bloccate all’undicesima posizione mondiale, senza riuscire a fare quel piccolo passetto che avrebbe rotto l’incantesimo. Ma la piccola Flavia non pensava a quel tabù, forse sognava un giorno di riscrivere la storia del tennis italiano, ma nella realtà di tutti i giorni si trovava a lottare per ogni palla, per ogni punto: il suo tennis naturalmente difensivo e tanti anni in Spagna, come in Italia, l’avevano spinta lontana dalla riga di fondo, remava, difendeva e aspettava l’occasione per attaccare; quando questo accadeva liberava quell’arma folgorante che era, ed è tutt’ora, il suo rovescio lungo-linea e portava a casa punti e partite.
Cresciuta nel caldo della bella Puglia e poi migrata nella forse ancor più calda Spagna, l’azzurra si era convinta di essere, come da tradizione, una specialista del rosso e a questi eventi mirava la sua preparazione: i primi titoli, le prime vittorie negli slam, tutto arrivò lì, se non che la prima volta alla seconda settimana di uno slam giunse a Wimbledon nel 2005, poi riconfermatasi nel 2006, quando per poco non fece lo sgambetto a Maria Sharapova. Sull’erba non si metteva ad aspettare, rischiava di più con il servizio e la risposta, sfruttava le immense capacità a rete e forse allora qualcosa scattò nella sua testa, forse anche sul veloce avrebbe potuto fare qualcosa.
Come in tutte le favole però, prima dell’affermazione arriva il momento più duro: un polso che cede sul più bello e la costringe ad un lungo stop e ad una delicata operazione e poi c’è Carlos Moya, il principe azzurro che si rivela per null’altro che un’illusione. Nei mesi lontano dal tennis Flavia dimagrisce tanto, troppo, torna sui campi come il fantasma di sé stessa, poi a New York qualcosa succede: in quattro apparizioni prima di quel 2007 non aveva raccolto nemmeno una vittoria, neppure nelle qualificazioni, ma quell’anno ha un fuoco dentro che solo sul campo da tennis può far bruciare quanto vorrebbe. Recupera un set di svantaggio alla cinese Shuai Peng, personaggio che ritroveremo in questa fiaba, e vola al secondo turno, dove perderà da Nicole Vaidisova, ma dal cui match uscirà più convinta che mai: la ceca è una di quelle ragazze della nuova generazione di gran colpitrici, alte e potenti, che spesso in passato hanno schiacciato Flavia, ma quel secondo set lottatissimo era la riprova che si poteva fare, che le poteva battere.
Il dado era tratto, il cemento era come una nuova casa, una nuova speranza, un nuovo inizio: la nuova Flavia aveva rotto con il passato e quella terra rossa che era un po’ un simbolo della storia finita male con Moya. In quel 2007 arrivò il primo titolo sul cemento nella caldissima e umida Bangkok, dove piegò Venus Williams in semifinale, mentre nel 2008, con la fiducia di una straordinaria finale a Los Angeles, si presentò agli US Open conscia di essere della partita come non mai. Il primo turno parte in salita, sotto di un set alla qualificata Stefanie Voegele, ma poi l’azzurra trova la chiave di volta e accede al secondo turno, dove ad aspettarla c’è di nuovo Shuai Peng. I colpi piatti della cinese non la spaventano, l’ha già battuta l’anno prima, e anche se un po’ di paura le farà perdere il secondo set al tiebreak, la vittoria è facile e con essa il primo terzo turno a New York. Ma questo non le basta, Nadia Petrova l’ha già battuta e dopo un set combattuto ma perso, riesce a contrastarne le pallate da fondo, a muoverla e quindi a batterla: per la quarta volta il carriera è al quarto turno di uno slam, ma tra lei e il primo quarto di finale c’è Amelie Mauresmo. Il nome è di quelli che fanno paura, ma non a Flavia, che anzi, liquida la francese con una prestazione magistrale e quel 6-3 6-0 le vale il debutto tra le ultime 8 di uno slam. A poco importa la sconfitta contro Dinara Safina, sua bestia nera, lei ha già fatto più di quanto chiunque avrebbe pensato prima di quel maledetto 2006.
L’estate del 2009 è uno dei capitoli più belli della storia di Flavia e della storia del tennis azzurro al femminile: la rincorsa alla top 10, la vittoria a Los Angeles ed infine la vittoria su Daniela Hantuchova a Cincinnati che romperà la maledizione, quel peso che gravava sul tennis italiano, anche le italiane possono essere tra le prime 10 del mondo. Ma alla brindisina non basta, vuole confermarsi e a New York lo vuole fare in grande stile: liquida Gallovits, Mirza e Wozniak lasciando appena 6 giochi in tre turni. L’indiana avrebbe anche detto che se giocava così quello slam poteva essere suo, ma agli ottavi di finale, Vera Zvonareva la pensa altrimenti. La cornice è quella adatta ad un epico scontro tra due forze uguali, ma in un certo senso opposte: Pennetta e Zvonareva giocano un tennis molto simile, ma la russa è più emotiva, ma anche più imprevedibile ed un Artur Ashe pieno fino all’ultimo posto di quella sessione serale vuole godersi ogni punto. La russa gioca meglio il primo set, che fa suo in agilità, Flavia prova ad alzare la sua qualità di gioco, ma è la numero 7 del mondo ad issarsi a match point. Sono tutti sulla punta dei loro seggiolini nello stadio, è uno scambio lunghissimo, poi alla fine da quel corpo leggiadro e vestito di bianco partono due dritti che non ti aspetti: il primo carico e potente butta la Zvonareva fuori dal campo, il secondo piatto e potente chiude in lungo-linea. Lo stadio esplode e quel fuoco torna a bruciare in Flavia, che annullerà altri 5 match point alla russa, prima di vincere il tiebreak del secondo set e poi chiudere 6-0 il terzo set. La stanchezza ed una Serena Williams al 100% motivata ne fermeranno la rincorsa alla prima semifinale, ma nondimeno quell’estate rimarrà nella storia.
Nel 2010 la delusione è tanta nel vederla uscire per mano di Shahar Peer al terzo turno, ma sarà il 2011 forse la pagina più amara: cancellata un’altra maledizione, quella dell’imbattibilità di Maria Sharapova al terzo set, Flavia recupera per i capelli un match incredibile contro Shuai Peng, a cui annulla due set point nel secondo set con due vincenti impossibili, nonostante un attacco di vomito causato dal caldo. È il terzo quarto di finale a New York e questa volta l’avversaria è la quasi sconosciuta tedesca Angelique Kerber, ad aspettarla in semifinale ci sarà o Sam Stosur o Vera Zvonareva, due di cui, come direbbero gli americani, ha il numero. La finale sembra ad un passo, quella finale in cui poi ricorderemo una delle rare sconfitte di Serena Williams, ma a cogliere l’occasione è stata l’australiana, perché la paura di vincere ha giocato un brutto scherzo alla brindisina, che spaventata e bloccata dall’occasione ha ceduto alla solidità della Kerber in tre set pieni di rammarico.
Oltre al danno, la beffa di un nuovo infortunio la costringono a saltare l’edizione del 2012 e nel 2013, dopo un’orribile sconfitta a Parigi comincia a parlare di ritiro: manca la fiducia, mancano le vittorie e si sente vecchia. Poi la sorte le viene incontro a Wimbledon, dove nel modo più rocambolesco possibile raggiunge il quarto turno e agli US Open ci entra grazie ad un ranking protetto, ma vede davanti a se un tabellone impossibile. Invece ogni match riaccende quel fuoco, ravviva la magia e lei ricomincia a volare sul cemento grigioazzurro di Flushing Meadows: sconfigge l’amica Sara Errani, poi batte per la prima volta in carriera Svetlana Kuznetsova, piega l’emergente Simona Halep, anche aiutata da un’interruzione per pioggia e poi sovrasta l’amica di infanzia Roberta Vinci per prendere quella semifinale che tante volte le era sfuggita di mano. Contro Victoria Azarenka giocherà bene, ma cederà in due set, più o meno quello che è accaduto anche l’anno scorso, quando pur non giocando il suo miglior tennis, prenderà vantaggio di un tabellone favorevole per giungere ai quarti, questa volta sconfitta da Serena.
C’era una volta una piccola Flavia Pennetta, ma ora c’è una grandissima Flavia Pennetta, che a 33 anni trova a New York ancora una volta quel fuoco, quell’incantesimo che continua a stupire, anno dopo anno, perché in un anno in cui sono state poche le soddisfazioni è arrivato il sesto quarto di finale a Flushing Meadows, perché negli ultimi 8 anni solo due volte non ci è arrivata, perché al terzo turno ha reagito ad una Petra Cetkovska che dipingeva le righe con i suoi dritti piatti, perché ieri notte ha piegato Sam Stosur per la settima volta in altrettanti precedenti, perché tante volte ha ceduto alla pressione di essere la favorita e ieri notte invece ha trasformata quest’arma in suo vantaggio, perché ieri il servizio era quello di quando vinse il Premier Mandatory di Indian Wells, perché ieri il rovescio era quello dei giorni migliori, perché…
Domani ci sarà Petra Kvitova, risorta dalle ceneri di un’estate segnata dalla mononucleosi e che non ha perso nessuno degli ultimi 8 incontri che ha giocato, che non perde da Flavia dal 2010, che quando è in giornata non fa vedere palla nemmeno ai giudici di linea, ma questo non vuol dire che la favola debba per forza finire, se c’è una cosa che ci ha insegnato la nostra eroina è che non c’è nulla di impossibile per lei quando si parla di fare una magia.
GIF: Flavia Pennetta’s flurry of fist pumps after beating Sam Stosur pic.twitter.com/UQaXHdZV8o
— The Cauldron (@TheCauldron) 7 Settembre 2015
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