di Alessandro Mastroluca
“L’età è solo un numero”. Così parlò Serena Williams, la più anziana numero 1 del mondo di ogni epoca. Tornata in vetta al ranking il 18 febbraio 2013, ci resterà di sicuro fino al 28 dicembre 2014. fanno 97 settimane di fila, la quarta serie più lunga di sempre, 221 in totale: solo Steffi Graf (377 settimane), Martina Navratilova (332) e Chris Evert (260) hanno trascorso più tempo da numero 1 del mondo. Non solo. Con il trionfo al Masters, Serena è diventata la quinta giocatrice dal 1975, da quando è stata introdotta la classifica computerizzata, a chiudere almeno quattro stagioni da numero 1, sempre dopo Steffi Graf (8), Martina Navratilova (7), Chris Evert (5) e Lindsay Davenport (4).
“Serena continua a dimostrare di essere una delle più grandi giocatrici di tutti i tempi e rinforza ancora la sua eredità in questo sport” ha detto Stacey Allaster a margine del suo quinto trionfo al Masters, il suo settimo titolo stagionale, il settimo sigillo di una stagione che l’ha vista trionfare agli Us Open e in cinque Premier, a Brisbane, Miami, Roma, Stanford e Cincinnati.
La sua, come quella di Venus, è la storia di due sorelle afro-americane che hanno rotto ogni barriera” ha spiegato Maiken Baird, veterano della ABC che l’anno scorso ha girato il documentario Venus and Serena. “È una grande storia americana in cui c’è la famiglia, la razza, la tenacia, il duro lavoro che porta al successo”.
La famiglia
Nella sua biografia pubblica c’è molto del mondo di papà Richard, una narrazione di volontà e rappresentazione, eternamente sospesa tra la verità e l’auto-promozione. Anche la sua, di storia, è abbastanza fuori dall’ordinario. Ha avuto cinque figli da precedenti relazioni prima di Venus e Serena, ma quando uno di loro si è presentato sul campo, Serena nemmeno sapeva chi fosse. “Mia moglie Oracene non voleva saperne, ma io scambiai le pillole antifecondative con altre” ha sempre raccontato lui. Oracene ha poi chiesto il divorzio ma, dice Serena, sono come yin e yang, dice Serena, “nessuno può esistere senza l’altro”. Nei primi anni Richard, che dice di aver scritto una sorta di manifesto in 78 pagine su come portare le figlie neonate a diventare star del tennis, si è concentrato su Venus. “Non riusciva a gestire il carattere di Serena” spiega Oracene davanti alle telecamere. “E’ grazie a me se crede in se stessa. Le ho fatto capire che non c’era palla che non potesse raggiungere”. Accusato più volte di decidere in partenza l’esito delle sfide fra le figlie, l’ha detto una volta apertamente Elena Dementieva prima di una finale a Wimbledon, nel 2005 si è scontrato con Serena per una questione di soldi. La società CCKR, acronimo che racchiude le iniziali dei fondatori Carol Clarke e Keith Rodes, aveva querelato la giocatrice per la rottura di un impegno risalente al 2001 che la vincolavano a prendere parte a una “Battaglia dei sessi” contro i fratelli McEnroe per un business da 45 milioni di dollari, di cui l’80% sarebbe andato a Richard Williams. “L’unica persona ad avere l’autorità per prendere una simile decisione ero io e nessuno mi ha chiesto niente del genere. Del resto ho sempre fatto da me le mie scelte e ho firmato i miei documenti”, ha testimoniato Serena. Il contratto, però, è stato firmato da Richard, che dopo cinque anni di battaglia legale è stato riconosciuto colpevole di non aver rispettato il contratto ma non condannato ad alcun risarcimento dei danni.
Richard teneva volutamente le figlie, già sponsorizzate quando avevano dieci anni, lontane dai tornei junior. Giocavano una contro l’altra nel ghetto nero di Compton, a Los Angeles, dove fischiavano le pallottole nelle sparatorie fra le gang. Una di quelle uccise la sorella Yetunde Price, che a mezzanotte del 14 settembre 2003 stava viaggiando con il suo fidanzato, Rolland Wormley, quando Robert Edward Maxfield, 25 anni, membro della gang dei Southside Crips, sparò 12 colpi con il suo AK-47 verso la GMC Yukon Denali bianca di Yetunde: uno dei colpi ha trafitto la sorella di Serena e Venus alla testa. Wormley è stato condannato a 15 anni dopo due anni e mezzo e tre processi, dopo che i primi due si erano arenati con la giuria bloccata e incapace di raggiungere un verdetto unanime (9-3 per l’assoluzione nel primo caso, 11-1 per la condanna nel secondo).
Nonostante la tragedia, Serena non ha mai perso il legame con Compton. E l’ha dimostrato a Londra 2012, con quel balletto per festeggiare l’oro olimpico, quel trionfo in singolare sa di appartenenza e di rivalsa, sa di orgoglio e di radici da non cancellare. Un balletto particolare, un “crip-walk”, la danza macabra nata a Compton con cui i membri della gang dei Crips accompagnavano le uccisioni o i pestaggi dei membri della gang rivale dei Bloods. Oggi è semplicemente una danza hip-hop, il legame con le bande criminali si è perso, ma resta come un messaggio e una dichiarazione di appartenenza. Una danza che ha anticipato il successo in doppio, quello a cui Serena tiene di più. Perché, come Bruce Springsteen fa dire al suo Highway Patrolman, “nothing is better than blood on blood”. E la polemica con Tarpishev, che durante il torneo di Mosca ha chiamato “fratelli” lei e Venus, le prime sorelle a giocare una finale slam dopo Lilian e Maud Watson nella prima edizione di Wimbledon, lo conferma.
La razza
La questione razziale ha fatto e fa parte della storia di Serena, anche solo perché, come ha scritto Arthur Ashe nel suo intenso libro di memorie Days of Grace, “il razzismo crea intolleranza nelle persone che lo subiscono. Il razzismo genera una condizione per cui lo stare sulla difensiva diventa una risposta istintiva”. E Serena, come Venus, è talmente sulla difensiva che dal 2001 boicotta il torneo di Indian Wells per quei fischi, percepiti come razzisti, nella finale che vinse su Kim Clijsters.
Una finale anticipata dalla semifinale Serena-Venus, una semifinale che non ci fu per il ritiro di Venus, che accusa problemi al ginocchio. Gli organizzatori traccheggiano, la notizia viene dato solo cinque minuti prima dell’inizio del match, anche se Venus l’ha comunicato con anticipo: 10 mila tifosi infuriati chiedono il rimborso del prezzo del biglietto. In 15 mila, la domenica, fischiano Serena. Sono tutti razzisti? Forse no. Qualcuno sì, se è vero quello che dichiarerà papà Richard. “I bianchi di Indian Wells finalmente hanno detto quello che ci hanno sempre voluto dire: ‘negro, stai lontano da qui, qui non ti vogliamo”, spiegherà a fine partita. “È il peggiore atto di pregiudizio che abbia visto dall’uccisione di Martin Luther King″. Comunque, ancora nel 2008, Serena dirà che “a Indian Wells sono successe cose che mi hanno cambiato la vita”.
E le polemiche hanno ripreso fuoco l’anno scorso, dopo che l’amica Caroline Wozniacki ha preso in giro Serena imbottendosi seno e glutei con un asciugamano. Gli opinionisti di colore non l’hanno proprio presa bene. “Prendere in giro il corpo di una donna nera per ridere (…) è razzismo bello e buono”, “così una ragazza bianca può fare una cosa del genere, ma Serena Williams non può accennare un crip walk per celebrare una vittoria?” si chiedono alcuni. “Serena è stata anche oggetto di grande derisione per le sue forme (…), soltanto per essere una donna nera con un corpo cesellato in un mondo in cui la star è convenzionalmente bionda e magrissima. Non c’è niente di divertente nel vedere una persona che rispecchia questo desiderato ‘standard’ estetico e prende in giro le curve di Serena Williams” si legge su Ebony, magazine di riferimento per i lettori afroamericani.
La tenacia e il duro lavoro
Contrariamente a Venus, che a 14 anni ha sconfitto Shaun Stafford (n.57 del mondo) al suo primo match da pro ed è stata avanti 63 31 contro la numero 1 Arantxa Sanchez al secondo, il debutto ufficiale di Serena si rivela un fallimento. È il 29 ottobre 1995, e la quindicenne Serena gioca il primo turno di qualificazione del Bell Challenge, il WTA di Quebec City, contro la diciottenne Anne Miller. Si gioca a Vanier, in uno dei campi di allenamento del torneo, in un circolo di periferia. Sugli spalti non ci sono spettatori, ci sono solo una cinquantina di visitatori che si affacciano dalla lounge sopraelevata che sovrasta il campo, distratti dal bar, dalla televisione e dal bancone dei gelati. Serena perde 61 61. “Sono delusa, non ho giocato come volevo. Ho giocato come una dilettante” spiega. “Forse ha bisogno di giocare dei tornei junior per fare esperienza, niente può sostituire i tornei per imparare questo sport. Oggi mi sono sentita una veterana” commenta Miller entrerà tra le top-50 ma lascerà presto il tennis e si occuperà di marketing a Boston per la Fenway, società affiliata ai Red Sox. Serena, invece, ha finito per cambiare la storia di questo sport. Perché in fondo l’età è solo un numero, no?
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