di Michele Galoppini
Bisogna essere onesti. Anche i più accaniti tifosi della brindisina, che per prima in Italia era riuscita a sfondare la soglia delle top10 e che per anni era stata portavoce dell’Italia del tennis assieme alla Schiavone, ad un certo punto, almeno una volta, devono aver pensato “ok, la sua carriera è finita”. Dopo il gravissimo infortunio al polso patito nel 2012 e la caduta in classifica fino alla 166esima posizione nel 2013, anche lei stessa non dava troppa fiducia al prosieguo della sua carriera, scelta che sarebbe stata condizionata dal ranking di fine anno scorso. Presto detto, un ottavo di finale a Wimbledon e la prima semifinale in carriera a livello Slam agli UsOpen la fanno risalire alla 31esima posizione del ranking e decidere di proseguire, in quella che poi sarà, probabilmente, la stagione di livello più alto che abbia mai giocato (costanza di risultati a parte).
Dopo un inizio anno col brivido, per lei e per tutti i tifosi, quando alla Hopman Cup ha dato forfait, causa un nuovo problema al polso, il 2014 della Pennetta si caratterizza, in termini di risultati, di tre fasi. La prima parte dell’anno è la più vincente, con i primi quarti di finale in carriera agli Australian Open, gli ottimi quarti di finale a Dubai partendo dalle qualificazioni, preludio alla successiva cavalcata vincente che l’ha portata al titolo di Indian Wells, il più importante della carriera, dove peraltro ha sconfitto Li Na, vendicandosi degli Australian Open, ed Agnieszka Radwanska poi in finale.
I risultati sono certamente di alto livello, ma ciò che colpisce ulteriormente è vedere una Pennetta che, a 32 anni ed in una fase di carriera a dir poco traballante, ha deciso di lavorare tecnicamente su se stessa ed evolvere il suo gioco, diventando una giocatrice diversa in positivo da quella che si era abituati a tifare. Il fondamentale che più è stato migliorato è il dritto, da sempre il punto più debole della Pennetta. Dotato di un buon topspin, sebbene non eccessivo come è più usuale vedere dalle giocatrici terraiole, è diventato un colpo generalmente più profondo e potente e quindi mediamente meno attaccabile; è più solido perché più controllato rispetto ad un colpo piatto, con cui si possono comandare e non solo contenere gli scambi; e, con le giuste rotazioni, è un colpo che può aprire il campo per poi trovare una soluzione definitiva. Rispetto al passato è quindi probabilmente meno bello da vedere, ma poiché più “sporco” non dà ritmo alle avversarie che vanno fuori giri più spesso. Più e più volte si sono poi viste ottime soluzioni vincenti, più piatte, senza eccessiva predilezione per una zona specifica di campo, quindi sia lungolinea, sia cross court, sia ad uscire. Il secondo fondamentale migliorato, che più volte si è mostrato decisivo nei match della brindisina, è il servizio. La prima, un colpo generalmente piatto ed indirizzato con predilezione verso la “T”, si è dimostrata molto più potente e precisa rispetto al passato, permettendo a Flavia di semplificarsi la vita nei turni al servizio o con ace o con prime vincenti; anche le soluzione più tagliate e ad uscire si sono presentate nel bagaglio dell’azzurra, permettendole di non risultare troppo prevedibile, nonostante l’ottimo colpo piatto al centro. Anche la seconda è sembrata più solida, mediamente abbastanza profonda e quindi meno attaccabile, sebbene le velocità siano da rivedere. Anche la posizione in campo, aiutata da un footwork ineccepibile, ha avuto un ruolo importante: piedi sulla riga nell’obiettivo di guadagnare campo invece che perderlo, evitando di remare troppo lontano dalla rete. Quasi inutile risulta parlare del rovescio: da sempre, è il fondamentale migliore della Pennetta, certamente uno dei migliori dell’intero circuito WTA, con la preferita soluzione vincente e lungolinea nello specifico (uno dei più belli dell’anno, da ricordare, è quello con cui l’azzurra è riuscita a chiudere la semifinale contro Li Na ad Indian Wells).
La carrellata di migliorie tecniche e di elogi non viene descritta per caso dopo la fase-1 della stagione di Flavia Pennetta, perché dopo Indian Wells, quando sembrava che l’azzurra potesse irrompere molto velocemente tra le top10 (e forse di più vista l’altissima qualità di gioco) qualcosa si rompe. Forse a causa della terra rossa e ad i necessari cambiamenti tecnico-tattici da attuare nel proprio gioco, forse a causa di una mente più scarica dopo i grandi risultati, sono più i “disastri” che le belle vittorie e, Roland Garros e Wimbledon compresi, l’azzurra ridimensiona e non di poco le sue aspettative. È nuovamente un dritto più corto e meno incisivo a presentarsi in campo assieme all’azzurra; anche il servizio tende ad abbandonarla, con percentuali di prime troppo basse; perfino l’atteggiamento in campo sembra più remissivo e meno convinto dei propri mezzi ed anche gli alti e bassi all’interno dei match le costano numerosi incontri (in 6 tornei giocati tra terra e erba, in 4 occasioni Flavia è uscita perdendo un match dopo aver vinto il primo set). Il colpo di grazia viene dato dal footwork, lontano parente di quello che faceva compagnia nei primi mesi dell’anno (e si sa, è un elemento fondamentale, soprattutto su alcune superfici, erba in primis).
Archiviata la fase-2, il tanto amato cemento americano prova a ridare energie alla Pennetta, ed i risultati, sebbene lo stato di forma di Flavia non sia quello di inizio anno ed il livello certamente non altrettanto costante, ricominciano a farsi vedere. Su tutti, un nuovo quarto di finale agli UsOpen (ancora, come era capitato agli Australian Open, l’azzurra viene eliminata dalla poi vincitrice del torneo) e la successiva finale a fine anno del Tournament of Champions a Sofia, al quale ha partecipato grazie ad una (più che meritata) wild card. Proprio questa finale è l’emblema dell’ultima parte di stagione della Pennetta: tante cose buone e tanti rimandi ai primi 3 mesi dell’anno, ma anche tanti problemi che si palesano: ancora una volta, su tutti, il footwork peggiorato, le energie residue ridotte al lumicino e la poca tenuta psicofisica, in due match persi dopo aver stravinto il primo parziale.
Detto questo, è ovvio che l’anno in generale risulta essere più che positivo: primo Premier Mandatory in carriera, due volte tra le migliori otto nei due Slam sul cemento, una finale in un Master di fine anno e la 12esima posizione del ranking a chiudere, il tutto contornato da notevoli migliorie tecniche che possono, ancora una volta, far sperare di vedere Flavia Pennetta nelle posizioni che il suo tennis le farebbe meritare. Inoltre, vanno considerati i nuovi buoni segnali che l’azzurra ha confermato nell’ultima parte di stagione, a Mosca ed a Sofia, che portano a pensare che, già dall’Australia, la Pennetta possa tornare quella della stagione appena trascorsa.
Note a margine: la top10 è stata più e più volte sfiorata ed è ad un passo, meno di 200 punti, che forse un po’ più di fortuna in alcune situazioni (mi riferisco nello specifico ai tornei di Beijing e Mosca, dove ha perso al primo turno contro giocatrici onestamente in giornata di grazia: Gajdosova e Giorgi) avrebbe permesso di ottenere. Inoltre, da inserire nei piani futuri è certamente una maggiore fiducia nelle proprie ottime capacità a rete. Troppe volte la Pennetta non ha trovato il “coraggio” di presentarsi a rete in scambi che l’avrebbero permesso e consigliato, dove probabilmente l’azzurra avrebbe vinto numerosi punti risparmiando preziose energie. Su tutti non posso non ricordare il match contro Lauren Davis a Wimbledon, a cui ho personalmente assistito dagli spalti londinesi del campo18, poi perso in due set: 16 punti vinti su 19 discese a rete e, nonostante tutti, tanti, troppi scambi persi perché mal gestiti nel momento di chiudere, con palese paura di mostrare le proprie capacità al volo.
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