Di Giulio Gasparin
La prima giornata dello Us Open consegna a Serena Williams un percorso che sembra più una passerella verso il suo appuntamento con la storia. Dopo il forfait di Maria Sharapova, sono uscite sei teste di serie nella sua metà di tabellone, comprese tutte le top-10: la numero 7 Ivanovic, la 8 Pliskova e la 10, Suarez Navarro, alla settima sconfitta di fila. Sconfitte anche Jankovic (21), Stephens (29) e Kuznetsova (30).
fa più sensazione, comunque, l’uscita di Karolina Pliskova, soprattutto per la forma e per il modo in cui si è arresa 62 61 a Ana Tatishvili, già agli ottavi a Flushing Meadows nel 2012. La georgiana, nata a Tbilisi, si è trasferita negli Usa a 13 anni per allenarsi alla Chris Evert Academy a Boca Raton e dal 2014 è cittadina americana. Superato l’ostacolo più duro, al secondo turno affronterà Madison Brengle, che ha battuto la cinese Saisai Zheng e negli ottavi potrebbe ritrovare Venus Williams.
Non ci sarà dunque il milione di dollari di bonus per Karolina Pliskova, che aveva vinto le Us Open Series, successo che si era assicurata dopo la sconfitta di Agnieszka Radwanska per mano di Petra Kvitova a New Haven, come ci raccontava Giulio Gasparin nell’articolo della scorsa settimana che vi riproponiamo.
Da quando nacque nel 2004, la US Open Series ha prodotto nel modo più americano possibile un’interessante corsa all’ultimo slam della stagione, grazie ad un ranking parziale basato sui tornei americani a cui consegue un bonus monetario agli US Open. L’idea ha avuto un grande successo, sia al maschile che al femminile, e da quando è stato creato questo sistema la “peggior” giocatrice ad aver vinto la Series è stata Elena Dementieva: giocatrice di livello assoluto e che proprio in quell’anno raggiungeva la miglior classifica della carriera al numero 3 del mondo.
L’anno scorso però sono state cambiate le regole che assegnano i punti validi per la classifica finale, inserendo un bonus per chi riesca ad ottenere punti in almeno tre tornei durante l’estate: per chi ce la fa il premio è il raddoppio dei propri punti. Se al femminile il dominio di Serena Williams non aveva evidenziato la problematicità di questo nuovo cambiamento nel regolamento, tra i maschi i dubbi si erano posti nel vedere Milos Raonic in vetta alla classifica della US Open Series, non lontano da John Isner, mentre terzo era finito Roger Federer, il quale aveva fatto finale e conquistato il titolo nei due eventi Master 1000 dell’estate d’oltreoceano. Com’è stato possibile? Il campione svizzero aveva giocato solo quei due eventi, mentre Raonic e Isner, dopo aver vinto un titolo a testa rispettivamente a Washington ed Atlanta.
Quest’anno però, al femminile, si è arrivati ad un colpo di scena ancora più inatteso e di maggior portata, perché la numero 8 del mondo non ha di certo brillato durante l’estate, raggiungendo solamente una finale di quel di Stanford e poi i quarti di finale di ieri a New Haven. La Pliskova è giocatrice di livello: la classifica e la crescita degli ultimi 24 mesi ne sono una riprova, ma questo successo sembra esserle piovuto addosso più per congiunzioni fortunate che per propri meriti. Un merito, a dire il vero, ce l’ha avuto: quello di aver giocato tutti gli eventi di quest’estate sul cemento. I numeri però non sono quelli di un’estate di successo con 6 partite vinte e 4 sconfitte, con la vittoria più prestigiosa arrivata su Varvara Lepchenko, numero 60 del mondo. Per intenderci, senza il raddoppio dei punti, la ceca sarebbe arrivata 7a nella corsa al montepremi extra, con 75 punti, 5 in più di un’Elina Svitolina che comunque è sembrata molto più in forma durante l’estate, ma ha giocato meno.
L’obiettivo della regola è certamente quello di invogliare le giocatrici di miglior classifica a giocare tre eventi durante le quattro settimane di avvicinamento a Flushing Meadows, ma il risultato sembra più quello di punire chi non si adatta a questa regola, anziché favorire chi esprime il miglior tennis, che sarebbe il senso primo di questo preludio agli US Open. Per non dire che in linea teorica potrebbe anche favorire ritiri strategici, specie nell’ultima settimana prima dello slam newyorkese: a Simona Halep, ad esempio, sarebbe bastato vincere solamente un match a New Haven per aggiudicarsi la US Open Series, e una volta ottenuta quella vittoria avrebbe potuto ritirarsi per un qualsiasi problema e preparare al meglio l’ultimo slam. Come detto in apertura, per assurdo, la polacca Radwanska era l’ultimo ostacolo tra la Pliskova e la vittoria della Series nonostante un misero bottino di due quarti di finale a Stanford e Toronto, ma con la finale a New Haven e il raddoppio dei punti avrebbe superato Belinda Bencic (vincitrice di Toronto), la Halep (finalista sia a Toronto che a Cincinnati) e Serena Williams (semifinalista a Toronto e vincitrice a Cincinnati).
A fin dei conti comunque è stata la ceca a portarsi a casa il titolo della Series e potenzialmente potrà giocarsi il milione di dollari messo in palio extra per chi riesca nella doppietta Series + US Open, impresa riuscita solo a Roger Federer e Rafael Nadal al maschile e a Kim Clijsters e Serena Williams tra le donne. Per la Pliskova sarà dura, anche perché ad oggi deve ancora riuscire a raggiungere il quarto turno di uno slam, anche se il tabellone a New York è certamente favorevole, se non altro proprio fino al quarto turno. Per quanto riguarda l’organizzazione della US Open Series, certo è che dovrebbero ripensare questa regola, anche se si sa che, nella grandezza ostentata dagli eventi americani, spesso si nascondono scelte inspiegabili, perché sul loro sito si pubblicizza molto la grandiosa copertura degli eventi della Series, ma poi non ci sono telecamere accese sul centrale di New Haven per Wozniacki e Vinci, o a Cincinnati per Bencic e Pennetta…
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