di Alberto Cambieri
La differenza in termini di popolarità tra un giocatore o una giocatrice emergente è spesso dettata dalla provenienza e dal prestigio della propria federazione tennistica: capita così che a Belinda Bencic basti giocare per la Svizzera ed essere allenata da Melanie Molitor, madre e coach di Martina Hingis, per avere gli occhi puntati addosso da anni nonostante l’anagrafe ne segni sono 17, che i vari Raonic, Bouchard e altri canadesi emergenti siano spesso oggetto di attenzione da parte di talent scout, giornalisti e telecronisti di tutto il mondo grazie soprattutto al supporto e la propaganda dell’ente tennistico del Paese della foglia d’acero e che baby tennisti statunitensi, inglesi, australiani e francesi vengano seguiti nei loro progressi praticamente fin da quando iniziano l’attività juniores a tempo pieno. Se, al contrario, nasci in nazioni in cui il tennis è sì praticato, ma i fondi della federazione sono limitati e gli aiuti (in termini di finanziamenti e wild-cards) spesso scarseggiano, non esiste modo diverso per emergere che credere fortemente in se stessi e battersi fino all’ultima palla: sono più o meno questi i presupposti alla base della maturazione del tennis e della personalità di Elina Svitolina, campionessa Slam già nel 2010 al Roland Garros ad appena 16 anni, evento che segnala una certa precocità per gli standard del tennis moderno. Quando nel 2012 Eugénie Bouchard, coetanea della tennista ucraina, ha portato a casa il trofeo juniores di Wimbledon, su di lei si è abbattuta una vera e proprio ondata mediatica, sia per la sua provenienza e la crescente importanza della sua federazione, sia per il suo fisico e la sua naturale predisposizione all’apparire in pubblico senza sembrare timida o impacciata; in pochi ricordano che nel match finale dovette sconfiggere proprio la Svitolina e ancora in meno ricordano che l’avversaria uscita sconfitta dal match in quella giornata storica per il tennis canadese si era già aggiudicata una prova dello Slam e aveva raggiunto la vetta delle classifiche ITF due anni prima. Da allora la carriera della bella canadese ha raggiunto picchi elevatissimi sia in termini di risulati che di classifica, ma anche i progressi della giovane ucraina non si sono fatti attendere: nel 2012 ha fatto irruzione tra le prime 100, l’anno seguente ha portato a casa il primo titolo WTA a Baku e nella stagione che ormai volge al termine ha raggiunto per la prima volta il terzo turno in uno Slam in Australia (vittoria di prestigio sulla Kuznetsova prima di arrendersi a una Stephens ora più che mai in crisi di gioco e risultati), confermato il titolo in Azerbaijan e ottenuto altri ottimi risultati sul circuito su tutte le superfici, senza però far nascere chissà quale fenomeno mediatico o attirando l’attenzione di un numero particolarmente elevato di estimatori ed appassionati. Il suo gioco sicuramente non è spettacolare, in quanto non si nota in lei un naturale senso dell’anticipo come nel caso del tennis della canadese, il suo tempo sulla palla non è quello della Bencic, la potenza da fondocampo non è devastante come quella della Muguruza o della Puig, non serve come la Pliskova o la Keys e la sua mobilità, per quanto migliorata, non è paragonabile a tenniste come Giorgi o Krunic; ma il fatto di essere tutto sommato una giocatrice completa, senza particolari falle nel suo gioco, di avere una più che buona visione tattica e di avere una capacità piuttosto spiccata nell’adattarsi alle varie situazioni di gioco che si vengono a creare durante i match è il motivo per cui è riuscita quest’anno a fare un ulteriore salto di qualità, riuscendo ad entrare tra le prime 30 giocatrici del ranking e assicurandosi la possibilità di essere testa di serie in Australia nel prossimo Slam.
Proprio gli Slam rappresentano, per ora, il suo punto debole, in quanto raramente è riuscita ad esprimersi sui suoi livelli: quest’anno ha perso match che avrebbe dovuto vincere come i primi turni di Wimbledon contro Doi (per quanto l’erba sia la superficie meno congeniale per il suo gioco di pressione ma anche di studio dell’avversaria e di duri scambi da fondocampo) e Us Open contro Hercog, giocatrici a lei inferiori (le vittorie contro Rogowska e Martic, una sorta di bye umano quest’anno negli Slam, non riportano il suo saldo in positivo negli Slam, nonostante la già citata vittoria contro Kuznetsova e le buone prestazioni in match persi contro Stephens e Ivanovic), mentre a livello WTA, anche nei grandi appuntamenti, si è saputa ben comportare. In particolare sono due gli aspetti, emersi in tornei di alto livello, che sono testimonianza dei suoi importanti miglioramenti nell’ultimo periodo:
1) a Cincinnati, dopo una comoda vittoria all’esordio contro un’avversaria non semplice come la Davis, ha affrontato a viso aperto (però non è un caso, visto il suo carattere e la sua indole da guerriera) la Kvitova, reduce dalla seconda affermazione in carriera a Wimbledon, battendola in due set e mostrando ottime cose a livello di tennis e tenuta mentale specialmente nel secondo set, recuperando l’iniziale svantaggio e uscendo vincitrice al termine di una fase particolarmente concitata e ricca di tensione a fine match. Il giorno successivo ha dovuto affrontare la Suarez Navarro, giocatrice di livello e ormai molto pericolosa anche sul cemento: contro una tennista totalmente diversa da quella affontata al secondo turno ha impostato un gioco ben più aggressivo e, leggendo al meglio le situazioni che si sono venute a creare all’interno del match, è riuscita ad uscire vittoriosa al termine di una battaglia furibonda contro una delle tenniste più pericolose sulla lunga distanza. Proprio questa capacità di saper adattare il proprio tennis alle diverse avversarie e ai vari momenti del match le hanno permesso di venire a capo di situazioni complesse durante tutto il corso del 2014.
2)nella (lunga, per lei) trasferta asiatica ha affrontato al secondo turno di Tokyo una tennista esperta e complicata da battere come la Kerber, uscendo sconfitta con onore con un doppo 6-4. La settimana successiva, nel neonato torneo di Wuhan, dopo belle vittorie contro Giorgi e Lisicki (contro quest’ulitma era sotto 0-5 nel primo set prima di vincere in 2) ha affrontato a livello di quarti nuovamente la potente mancina tedesca, proponendo un tennis ben diverso rispetto alla settimana precedente: la fretta nel chiudere certi punti contro una giocatrice solida in difesa come la teutonica è stata sostituita da una maggior accortezza nel giocare i colpi a rete e al rimbalzo da dentro il campo e, in generale, la sua lettura del gioco della attuale numero 10 del ranking WTA (spesso però troppo uguale a se stesso, anche quando risulta poco efficace) è stata nettamente migliore rispetto alla precedente sfida.
Con la fiducia acquistata nella stagione che sta per concludersi (non aveva mai battuto una giocatrice compresa tra le prime 20, salvo superarne 7 nel 2014), i miglioramenti sul piano tecnico e atletico (ha perso qualche chilo e la mobilità in campo ne ha subito giovato) e la consapevolezza di potersi battere anche con le più forti può essere una seria candidata ad (almeno) un posto tra le prime 20 del ranking: anche senza avere migliaia di occhi puntati addosso da anni si può salire ai piani alti, perché per una tennista è pur sempre meglio attirare l’attenzione su di se’ in seguito ad un gioco di prestigio con la racchetta per provare un servizio non convenzionale (riuscendoci alla perfezione) piuttosto che per avere una parlantina sciolta ed una naturale attitudine ad apparire in prime-time su programmi televisivi in diretta nazionale.
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