La pratica del coaching Wta: Un bene o no?

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di Luca Fiorino

Correva l’anno 2009 e la WTA era alla ricerca di qualcosa che potesse destare la curiosità e l’attenzione di chi guardava le partite da casa. Fu introdotta dunque una nuova norma: il coaching in campo. Dopo alcuni tornei sperimentali, tra cui quello di Dubai, l’associazione giocatrici ha di fatto dato il proprio benestare e ancora oggi, nonostante alcune polemiche iniziali, è ancora in vigore.

Ogni giocatrice può chiamare una sola volta nel corso del set il proprio allenatore (più toilet break e medical time out) in modo che questi possa impartir loro suggerimenti tecnico-tattici ma anche e soprattutto volti a rafforzare le proprie convinzioni o che possano far leva su aspetti mentali e motivazionali. Tante ancora sono le questioni rimaste irrisolte come ad esempio il fatto che l’ITF non permetta tale “pratica” (essendo l’ITF organizzazione distinta dalla WTA) e che dunque nei tornei più importanti come i Grandi Slam non sia possibile avvalersi dell’aiuto del proprio allenatore o che in campo maschile ancora non sia stata presa neanche in considerazione tale ipotesi. A parte questi interrogativi, il coaching nel WTA ha realmente cambiato qualcosa?

Abbiamo intervistato dunque Francesco Piccari, che insieme al fratello Alessandro segue tra le tante Karin Knapp e gestisce un’accademia di tennis ad Anzio (Piccari Tennis Team), e Francesco Elia, coach di esperienza e fama internazionale e da tempo anche commentatore tecnico su SuperTennis Tv, per saperne di più e sentire le loro opinioni a riguardo.

Francesco Piccari“Qualcosa è di certo cambiato. Credo sia una bella trovata perché comunque legalizzi un contributo dell’allenatore che lavora al fianco della propria giocatrice tutto l’anno. E’ presente in tutti gli sport ed è giusto che sia stato introdotto anche nel tennis seppur limitato ai soli tornei WTA. Detto questo il tennis rimane uno sport individuale ed è giusto che siano anche le giocatrici a doversela cavare da sole, ritengo corretto dunque potersi avvalere dell’aiuto del coach in campo una volta a set, non di più” ci spiega Piccari.

E per quanto riguarda il tennis maschile, saresti favorevole?
“Se Federer ha un allenatore ascolta quel che gli dice. Sarebbe dunque corretto dare la possibilità pure a loro di entrare in campo, se poi vogliono parlare di cose non proprio attinenti al match in sé, sicuramente avranno qualcosa da dirsi, per cui sono favorevole all’introduzione del coaching in campo anche nel maschile. La figura del coach esiste e quindi ritengo opportuno che possa svolgere pienamente il proprio ruolo”.

Estenderesti il coaching anche in altri campi, come ad esempio nel circuito giovanile?
“Io lo introdurrei come detto anche in campo maschile, ma soprattutto negli juniores dove la partita rappresenta un vero e proprio momento di crescita. Per loro è più difficile a quell’età leggere le partite per cui sarebbe davvero ideale e produttivo seppur ci sia da considerare il problema “genitori” che, spesso e volentieri, si improvvisano coach. Permettere ad un padre ad esempio di entrare in campo non lo ritengo giusto, è un meccanismo a cui sarei favorevole in linea generale ma se studiato bene e con il giusto criterio, in modo che non sia concesso a chiunque di impartire consigli”.

In linea col pensiero di Piccari anche quello di Elia:

“Gli allenatori, me compreso, non hanno mai rispettato pienamente la regola in quanto tra segni e gesti vari riuscivano lo stesso a comunicare con la propria atleta. In questo modo più che regolarizzare tale divieto, si intendeva rendere più accattivante il momento di pausa seppur ancora oggi la pubblicità sia predominante e spesso si entra in onda a metà discorso, non cogliendo di fatto al 100% i dettami tecnico-tattici o i consigli sotto l’aspetto motivazionale rivolti dal coach alla propria allieva. Tutto ciò però è normale, le televisioni necessitano di pubblicità per cui forse bisognerebbe trovare una soluzione da questo punto di vista. All’inizio in tutta sincerità ero scettico, credevo si volesse più che altro spettacolarizzare un qualcosa che poi dopo si sarebbe rivelato relativo fini del miglioramento della qualità del gioco. In realtà con l’intervento dell’allenatore il gioco non è migliorato, sono maggiori le opportunità per una giocatrice in difficoltà o avanti nel punteggio ma in cerca di conferme di vincere le partite”.

Francesco EliaIn che modo ha cambiato il coaching in campo le partite? Ci faresti esempi concreti?
“Riguardo all’Italia, mi viene da pensare al rapporto tra Sara Errani e Pablo Lozano i cui interventi durante le partite si sono rivelati a dir poco determinanti. Il coaching ha sicuramente cambiato qualcosa, un approccio che inizialmente era vietato ora non lo è più. Ti faccio un paio d’esempi riguardo il Premier di Miami: l’intervento di Nick Saviano nel secondo set (coach della Stephens) con la Stephens sotto di punteggio in un match a senso unico ha determinato un cambiamento che ha permesso all’americana di lottare nel secondo parziale contro una grande Halep. Il 7-5 è dunque figlio della possibilità della Stephens di poter interagire col proprio allenatore. Altro esempio lampante è la Suarez Navarro letteralmente messa sotto da Venus Williams nel primo set, ha parlato con il suo coach il quale la conosce molto bene, a livello comunicativo ha toccato il tasto giusto e la spagnola è stata così in grado di portare a casa l’incontro. Senza Xavier Budò ho seri dubbi che la Suarez avrebbe poi ribaltato il match.

Quanto è importante poter intervenire per un coach dal momento che assiste alla partita dal di fuori? Non le sembra inoltre una piccola incongruenza il fatto che nei tornei WTA sia presente il coaching in campo e negli Slam no?
Nella tensione agonistica che concerne tanti aspetti, tra cui soprattutto quelli motivazionali, a volte dal campo si ha una visione di quello che sta accadendo distorta, per cui un coach che segue dal di fuori il match può dare una sua lettura tattica più attinente e vicina alla realtà. Il fatto che il coaching in campo sia presente solo nei tornei WTA e non negli Slam è una incongruenza ma sappiamo bene come tra WTA e ITF non sia tutto rose e fiori. L’ITF ha dalla sua il fatto di gestire i tornei più importanti, quelli che ti permettono di entrare nella storia del tennis, con più sponsor e montepremi più alti. Credo dunque che loro non ne abbiano bisogno, hanno già fatto cambiamenti abbastanza recenti dubito che ne faranno a breve altri. Inoltre l’ITF dovrebbe inserirlo anche nel tennis maschile, non sarebbe consentita una differenziazione di questo tipo. Se si abituano le tenniste ad affidarsi al proprio allenatore nei tornei minori, poi in quelli importanti quando non ci potrà essere, cosa succederà? Per cui il dubbio è se approfittare della situazione o meno, anche perché poi c’è il rischio che si inneschino dei meccanismi d’abitudine per certi versi deleteri.

Riguardo il fatto di “microfonare” i coach 15 minuti prima di ogni match e che le sue parole siano trasmesse in mondovisione la trova d’accordo? Spesso però di mezzo c’è la pubblicità o il coach parla lingue a noi sconosciute, come rimediare?
Una volta che entrano in campo è giusto, come succede d’altronde in altre discipline sportive, che si possano sentire i suggerimenti e i consigli del coach. Non mi trova molto d’accordo “microfonare” il coach e sentirlo parlare in ceco o in bulgaro ad esempio, servirebbe un traduttore simultaneo (ride, ndr) perché sennò viene meno il senso della spettacolarizzazione. E’ chiaro poi che il contributo la giocatrice lo può utilizzare e anche al meglio visto che le cose dette nella propria lingua vengono recepite in maniera diversa, d’altra parte sotto il punto di vista della crescita collettiva e d’interesse generale, l’interazione diviene inutile per chi segue da casa.

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