È giusto parlare di ritorno ad alti livelli per atlete che solo nei primi anni di carriera hanno saputo raggiungere risultati di rilievo? O è più corretto sottolineare come vi siano atlete in grado sì di sfruttare la non dimestichezza delle avversarie nell’affrontarle e la spensieratezza dei primi anni nel circuito, ma che poi non appena la pressione inizia a farsi sentire lasciano l’amaro in bocca ai loro sostenitori che le vedono relegate a posizioni del ranking apparentemente a loro poco consone?
Questo è un dilemma che ha accompagnato negli ultimi anni parecchie tenniste WTA e, grazie alle splendide ultime due settimane sportive di Yanina Wickmayer, cogliamo l’occasione per approfondire un argomento solo apparentemente ovvio.
Yanina Wickmayer
Come già detto, partiamo dalla belga classe 1989 per la nostra analisi. La tennista di Lier è stata capace, ad appena 20 anni, di raggiungere le semifinali degli US Open 2009, disputate e perse in una folle serata sul campo Louis Armstrong di New York; a causa della pioggia infatti gli organizzatori del torneo furono costretti a programmare in contemporanea le due semifinali e, mentre sul centrale la più blasonata connazionale Clijsters stava scrivendo pagine importanti della storia del nostro sport raggiungendo la finale da wild card e senza ranking (senza dimenticare che quella semifinale fu caratterizzata e conclusa dall’arcinoto fattaccio del fallo di piede chiamato a Serena Williams a due punti dalla sconfitta), Yanina fu protagonista di un match molto importante e “giovane” contro la Wozniacki. La danese andò in finale e entrò in Top Ten, ma pochi pensavano che a 6 anni da quel match la danese non avrebbe ancora vinto una prova dello Slam e la Wickmayer non avrebbe mai più raggiunto nemmeno i quarti di finale in uno Slam. Ma se la carriera della Wozniacki è stata comunque ricca di successi, sebbene pochi siano davvero “pesanti”, e di settimane trascorse in cima al ranking, quella della belga è, a 6 anni di distanza da quell’exploit, un’autentica delusione. Solo in altre 4 occasione la tennista classe ’89 è riuscita a raggiungere il quarto turno negli Slam (Australian Open 2010 e 2015, Us Open 2010, Wimbledon 2011) e, anzi, fanno sicuramente più effetto i ben 8 primi turni Slam nelle ultime 6 stagioni: nel 2013 in particolare ha perso all’esordio sia a Parigi che Londra che New York contro rispettivamente Schmiedlova (al primo Slam in carriera), Dolonc (non certo un fenomeno, in particolar modo su erba) e Kirilenko (rimediando un pesantissimo doppio 61). Ma non sono solo le sue performance negli Slam ad aver deluso tutti coloro che si erano esaltati tra fine 2009 e inizio 2010 per la sua rapidissima ascesa: dopo aver portato infatti a casa i titoli di Oeiras e Linz nel 2009 e di Auckland nel primo torneo del 2010, ha dovuto attendere fino alla scorsa settimana per sollevare un altro alloro, nel torneo International di Tokyo, vinto al termine di una settimana di battaglie recuperando un set di svantaggio in finale alla polacca Linette. A inizio 2010 sembrava imbattibile, tanto da aver destato l’insoddisfazione di molti quando, dopo che la belga riuscì a qualificarsi per il main draw a Melbourne (fu costretta a giocare le qualificazioni a causa di una controversa sospensione poi subito revocata in seguito alla sua mancata segnalazione alle autorità antidoping di sue località di soggiorno a fine 2009), fu sorteggiata al secondo turno contro la nostra Flavia Pennetta, appena sconfitta dalla Wickmayer proprio in occasione della finale di Auckland. La belga era quotata quasi quanto una Top Ten (in effetti qualche mese dopo avrebbe raggiunto il best ranking di numero 12 del mondo) e non a caso sconfisse Flavia, a sua volta pochi mesi prima entrata, prima italiana nella storia, in Top Ten, in due set e la Errani al terzo turno in tre parziali. La sua corsa si sarebbe fermata agli ottavi contro l’altra star del tennis belga Henin, ma sembrava poter segnare la rapida ascesa verso il raggiungimento di risultati non come quelli ottenuti dalle connazionali Henin e Clijsters ma comunque degni di nota. Nulla di ciò si è effettivamente realizzato, e una classifica intorno alle tre cifre è stata per lungo tempo una minaccia per la Wickmayer. Grazie alla vittoria a Tokyo e alle semifinali questa settimana a Guangzhou, perse nonostante un match point a favore contro la futura vincitrice Jankovic, è tornata a ridosso delle prime 50 del mondo, ma un lustro fa questa posizione sarebbe stata certamente vista come un mezzo disastro.
Anastasia Pavlyuchenkova
Da dominatrice del circuito WTA a 15 anni a vincitrice di almeno un paio di match in ogni torneo dello Slam a 17 anni, il passo sembra a volte veloce e scontato. Così però non è, in particolare se dopo diverse stagioni si nota come il gioco della russa non abbia compiuto quel salto di qualità che ci si aspettava, specialmente in termini di tenuta atletica e mentale. Fino al 2011 i suoi progressi sono stati non così rapidi ma comunque notevoli, tanto da spingerla a raggiungere la posizione numero 13 dopo i quarti raggiunti a Roland Garros (persi al termine di un match pazzesco contro la campionessa uscente e futura finalista Schiavone) e UsOpen nel 2011. Al termine dell’ottimo 2011 disputato, le pressioni degli addetti ai lavori russi, oltre alla più che mai concreta possibilità di poter rappresentare il suo Paese alle Olimpiadi di Londra, l’hanno spinta a disputare un 2012 terribile, in particolare nella prima parte di stagione: fattasi scavalcare in classifica da Petrova e Kirilenko, con già davanti Sharapova e Zvonareva, non ha potuto essere selezionata come una delle 4 russe aventi diritto ad un posto nel main draw olimpico, rimanendo molto delusa da questa vicenda. Si pensava che avrebbe reagito in maniera molto più convincente per tornare ai livelli del 2011 e provare ad entrare in Top Ten, evento che a metà di quella stagione sembrava poter essere una formalità, mentre la storia racconta di una tennista troppo spesso fuori forma e non più in grado di progredire in termini di qualità di gioco e reattività fisica e mentale. Le tre sconfitte nei primi tre match del 2015 ben testimoniano come mai a metà stagione si trovasse intorno alla 90esima posizione della Race, ma dopo un’estate un po’ meno disastrosa (per le sue potenzialità, in particolare se rapportate a quanto si diceva di lei da juniores) arranca in 43esima posizione. Ci si augurava inoltre che il titolo vinto nella “sua” Mosca al termine dello scorso anno potesse rappresentare il punto di svolta per l’inizio di una rampante seconda parte di carriera, ma ad oggi è parso uno dei tanti fuochi di paglia della carriera della tennista russa classe 1991.
Julia Georges
La bella tedesca classe 1989 fa, suo malgrado, parte di questa non invidiabile categoria di atlete. Dotata di un ottimo servizio e di un diritto devastante, in particolar modo su terra e cemento, la sua permanenza tra le prima 15 del mondo, alternata a qualche capatina in Top Ten, sembrava scontata. Il suo best ranking è sì fermo in una dignitosissima 15esima posizione, ma alle convincenti prestazioni del 2011 e 2012 hanno fatto seguito troppe poche conferme. Il diritto è sempre potente ma non più preciso come un tempo e la spirale negativa in cui era entrata tra 2013 e 2014 sembrava destinata a non poter finire. Le vittorie di Stoccarda 2011 davanti al suo pubblico e prestazioni degne di nota contro Wozniacki (ampiamente la vittima preferita della tennista di Bad Oldesloe), Radwanska e Li stonano se confrontate con altre performance sconvolgenti in termini di gioco e risultato. Il 2015 è stato in qualche senso l’anno della rinascita, specialmente a livello Slam: agli ottavi raggiunti a Melbourne e Parigi (persi contro Makarova e Errani) non hanno però fatto seguito troppi risultati altrettanto positivi e il rendimento della tedesca pare ancora troppo altalenante. Un vero peccato per una tennista che ha dimostrato di poter essere, se in giornata e sorretta da tutti i fondamentali, un osso durissimo per tutte le Top Players.
Mona Barthel
A inizio 2012, Victoria Azarenka sembrava imbattibile: striscia di vittorie che l’ha accompagnata da Sydney a Miami (con in mezzo vittorie proprio a Sydney, Melbourne, Doha e Indian Wells), posizione numero uno del ranking ben salda nelle sue mani e primo Slam come detto finalmente conquistato. Solo una tennista pareva aver capito come metterle i bastoni tra le ruote, e non si trattava di Sharapova o Kvitova: Mona Barthel, neo vincitrice del piccolo evento di Hobar grazie ai suoi colpi piatti e penetranti, ad un rovescio favoloso col quale sa fare tutto e un servizio che, se in giornata, sa essere devastante, costringeva la bielorussa a match oltremodo complicati. L’esordio della bielorussa a Indian Wells e i quarti di Stoccarda raccontano di una Barthel per nulla intimorita dall’avversaria e in grado di poter mettere in difficoltà moltissime giocatrici di vertice. Da alcuni paragonata addirittura a Soderling per certe prestazioni al servizio in quella stagione, è solo raramente stata in grado di ripetere prestazioni su quei livelli: il titolo a Parigi Indoor nel 2013 è un ottimo riferimento per descrivere una tennista in grado di raggiungere punte di rendimento elevate ma con una bassissima continuità. Per lunghi tratti nel 2015 è stata fuori dalle prime 100 della Race (pessima la striscia di 8 sconfitte consecutive tra Stoccarda e Wimbledon) anche se grazie alla finale di Bastad (dove difendeva il titolo) persa contro la Larsson, i quarti di Standford e il terzo turno a New York è sembrata tornare in carreggiata: è il segnale di una finalmente trovata continuità o si tratta solo di timidi segnali di risveglio? Il best ranking di numero 23 può tranquillamente essere migliorato come mai più essere avvicinato in futuro.
Yaroslava Shvedova
Best ranking al numero 25, due volte quartofinalista al Roland Garros (perse contro Jankovic nel 2010 e Kvitova nel 2012, dopo aver eliminato la campionessa uscente Li), due volte quarto turno a Wimbledon (2012 contro Serena e 2014 contro Lisicki) e costretta a giocare le qualificazioni agli UsOpen 2015: sarà stata colpa degli infortuni? C’è da dire che la tennista russa naturalizzata kazaka ne ha avuti parecchi in carriera, ma in questo caso si tratta solo di una sconcertante mancanza di continuità, sia in termini di gioco in generale che all’interno della stessa partita. Capace di prestazioni favolose contro Top Players e sconcertanti contro tenniste di livello più basso, riesce a trovare un certo equilibrio solo in doppio, dove grazie all’aiuto di una compagna può provare a concentrarsi solo sul tennis senza rischiare di entrare in un vortice negativo di emozioni e di gioco. Da Barcellona 2010 a Florianopolis 2013 non è riuscita a raggiungere una sola semifinale a livello WTA, nemmeno negli eventi minori, salvo essere costantemente una mina vagante nei tornei più importanti: quella che nel 2007 sorprese la nostra Mara Santangelo in finale nel “suo” torneo di Bangalore rimarrà solo una mina vagante per tutte o potrà aspirare a diventare, una volta per tutte, almeno una stabile top 30?
Elena Vesnina
Storia simile per la tennista russa classe 1986: una volta era considerata una delle principali promesse russe, mentre oggi è la numero 11 del suo Paese e si trova addirittura fuori dalle prime 100. Come la Shvedova riesce a dare il meglio di sé in doppio (titoli al Roland Garros e UsOpen), ma a livello di singolare è troppo altalenante: dopo un esordio Slam indimenticabile come gli ottavi raggiunti a Melbourne nel 2006 e persi allora contro un’inarrivabile Petrova, è riuscita a raggiungere questo traguardo solo altre due volte (Wimbledon 2009 e Australian Open 2013). Alla tennista di Sochi devono far riflettere i ben 15 primi turni Slam negli ultimi 7 anni (di cui tutti e 4 quelli del 2010 persi contro Garbin, Petkovic, Strycova e Stosur) e un rendimento troppo altalenante: nel 2013 sembrava aver trovato continuità, come ben testimoniano i titoli di Hobart e nel prestiogiosissimo evento di Eastbourne), ma ad oggi il saldo di 14 vittorie a fronte di 20 sconfitte nel 2015 ben motiva la sua attuale posizione di numero 117 del mondo.
Bojana Jovanovski
Coetanea e promessa come la Pavlyuchenkova, la tennisa serba classe 1991 è riuscita a fare ancora peggio della russa. Entrata a gamba tesa nel circuito con prestazioni assai convincenti sul cemento a fine 2010 (con tanto di vittoria convincente sull’idolo d’infanzia Jankovic a Pechino) e inizio 2011 (semifinali ottenute a Sydney ai danni di Flavia Pennetta), non è mai davvero riuscita a raggiungere quei livelli tanto sognati a livello juniores. E’ stata brava negli anni a mantenere una classifica comunque dignitosa tra le prime 40 del mondo grazie a buonissime prestazioni in tornei non eccezionali ma che in ogni caso assegnano un buon numero di punti (vedi Baku, Tashkent o i tornei da $125.000 in Cina), ma forse ciò le ha dato poche motivazioni nel provare ad affrontare con costanza le migliori per completare il suo tennis di potenza e pressione da fondocampo. Capace solo nel 2013 in Australia di raggiungere la seconda settimana di uno Slam (vittorie su Date-Krumm e Safarova), non è mai stata in grado di insidiare come mostrato nei primi anni di carriera le migliori. Lo scorso anno è sì stata capace di eliminare la Azarenka da Wimbledon, ma quella era una tennista ben diversa dalla grande atleta che conosciamo quando si presenta in forma agli eventi che davvero contano. Riuscisse investire davvero al 100% sul tennis e sulla tenuta atletica potremmo non stupirci più delle settimane in qui riesce ad eliminare Garcia e Keys prima di dare del filo da torcere alla Sharapova come mostrato a Roma, ma le sconfitte contro Zhang e Vekic su terra e Wang e Ozaki su cemento ben fanno intuire come mai questa settimana stazioni in posizione numero 113 del ranking.
Kaia Kanepi
Autentica mina vagante in ogni tabellone, specialmente a livello Slam, è stata in grado in carriera di raggiungere per ben 5 volte i quarti in prove dei tornei Major, non importa se partendo da unseeded player, da testa di serie o addirittura da qualificata. Il suo tennis di grande potenza, caratterizzato da un ottimo servizio e da fondamentali da fondo che si equivalgono come valore e capacità di generare vincenti, non riesce e permetterle di stare con costanza tra le prime 20 del ranking. Sicuramente un carattere troppo schivo non le permette di portare a termine quei match contro le Top Players che troppo spesso la vedono condurre ma anche crollare quando si tratta di chiudere la contesa. Un vero peccato anche il fatto che sia troppo spesso vittima di infortuni, specialmente al tallone: ad oggi è in posizione numero 124, seconda estone del ranking dopo tantissimi anni. Scavalcata dalla rampante Kontaveit, di esattamente 10 anni più giovane, alla soglia dei 30 deve ben capire se riuscirà a riprendersi dall’ennesimo stop per provare a far ancora paura alle migliori o se dovrà accontentarsi di traguardi minori.
Una menzione speciale meritano altre due atlete: Cornet e Lucic. Entrambe sono state in grado di raggiungere risultati interessantissimi da giovanissime, prima di finire però ingoiate in un ciclo di eventi negativi che avevano a che fare, rispettivamente, con una tenuta mentale non delle migliori e con una situazione famigliare tragica. Specialmente nella scorsa stagione sono riuscite a prendersi delle rivincite importanti e a tornare su buoni livello (vedi vittorie multiple di Alizé su Serena e di Mirjana su Halep) ma se per la Lucic tutto quanto di positivo sta arrivando in questi ultimi anni di cariera è tanto di guadagnato, la lenta discesa della francese dopo la lenta risalita post 2008 non è per nulla un buon segnale.