“La sfida più grande è essere paziente”. Smaltita l’euforia del primo titolo slam e giunta a patti con la realtà del circuito maggiore, Emma Raducanu potrebbe aver ritrovato la retta via fuori dal campo. Subito dopo l’exploit newyorchese, il mancato rinnovo del part-time con Andrew Richardson aveva aperto tanti interrogativi sul futuro della britannica, divisa tra la volontà di trovare un tecnico con più esperienza e la convinzione dichiarata di potersi gestire in autonomia. Nel mese successivo, tra Indian Wells e Cluj-Napoca, si è consumata una piccola rivoluzione d’ottobre (in questo caso nessuna necessità di ricorrere al calendario giuliano). “Non ho tanta esperienza nei match notturni”. “Non ho giocato tanti incontri in lotta a livelli così alti”, sono solo un paio delle tante dichiarazioni in netto contrasto con la precedente convinzione, durata giusto il tempo di un Met Gala ed una prima di 007, di poter rimandare la scelta del nuovo coach. Un errore di gioventù al primo contatto con la fama, si può tranquillamente soprassedere, le difficoltà spesso sono più un’occasione che una condanna. Giustamente tappezzata di sponsor ed attenzioni Emma ha la fortuna e la sfortuna, a seconda dei risultati, di essere britannica. Affrontare un improvviso picco di popolarità non è facile, figuriamoci nel Paese che più di tutti porta i suoi idoli dall’attico allo scantinato senza passare per il pianterreno.
La gestione Torben Beltz è iniziata con un pre stagione rovinato dalla positività al coronavirus – costata l’esibizione di Abu Dhabi – e con il 6-0 6-1 incassato a Sydney contro Elena Rybakina. L’esordio nel primo major dopo il trionfo di Flushing Meadows presenterà Sloane Stephens, giocatrice sparita dai radar di assoluto vertice dopo l’affermazione slam. Una sorta di fantasma per Emma, presto oggetto di paragone con l’americana e l’ancora più bistrattata Jelena Ostapenko. Eventuali passaggi a vuoto potrebbero alimentare un circolo vizioso, ma proprio qui sarà fondamentale la pazienza, cosa che Emma sembra aver capito. Il 2022 sarà un anno di prime volte più che di conferme, tant’è vero che Raducanu nonostante sia già campionessa slam, non ha mai affrontato una top ten in carriera. Questa non è cosa da poco, specialmente se paragonata all’altra campionessa slam del nuovo millennio Iga Swiatek. A differenza della polacca, la giocatrice al servizio di Sua Maestà si è catapultata nell’élite senza un background di vittorie e sconfitte nel circuito maggiore.
Lo shock è stato forte, ma al netto delle tante sfumature, guai a mettere in dubbio il tennis dell’attuale numero 18 WTA. L’impresa resterà a prescindere, ma salvo eventi imponderabili, quello di Raducanu difficilmente sarà un unicum. Come la quasi totalità delle colleghe farà su e giù nel corso di mesi, a volte di settimane; ed è già stato così se si pensa che nel 2019, anno del primo titolo $25.000, non si è spinta oltre il primo turno di Australian Open e Wimbledon Junior. Della cavalcata newyorchese sorprese tanto la facilità di gioco, una condizione simile di inconsapevolezza mista spensieratezza non si presenterà mai più, ma colpi, mobilità e lettura tattica non svaniscono nel nulla. Pazienza Emma, serve solo pazienza.
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