di Giovanni Cola
Chiariamolo subito: Dominika Cibulkova non è il più fulgido esempio di sportività che si possa trovare su un campo da tennis. Pugnetti di sfida ripetuti, diverse malcelate imprecazioni e un box fin troppo rumoroso (chiedere a Robertina Vinci) sono solo alcuni esempi in proposito. Nonostante ciò, questa giocatrice in formato mignon continua a migliorarsi tecnicamente e agonisticamente, riuscendo a stupire una volta di più noi addetti ai lavori e non solo.
Il successo su Maria Sharapova, in questa ottica, è un autentico gioiellino. Si è trattato del trionfo del suo gioco operaio, fatto di improvvisi cambi di ritmo e di pochi punti di riferimento dati all’avversaria. E’ proprio con questi ingredienti che la slovacca ha saputo imporsi con merito su Masha in tre set (3-6 6-4 6-1), raggiungendo il suo personale traguardo di aver ottenuto almeno i quarti di finale in tutti gli Slam pur non essendo mai stata una top 10 in carriera. Uno score sicuramente significativo per una giocatrice che finora non è mai riuscita davvero a sfondare nel tennis che conta. E’ sempre mancato qualcosa nel momento di compiere il salto di qualitá decisivo. Aveva fatto più parlare di sè per i suoi flirt con Monfils e Melzer piuttosto che per i suoi exploit “on court”.
Un capitolo a parte lo merita in ogni caso la Sharapova, apparsa molto incerta già dai turni precedenti quando, tra l’altro, aveva salvato la pelle per un soffio contro la nostra Karin Knapp. La siberiana è sembrata molto contratta, con troppi errori al servizio (non è purtroppo una novità) e con una debolezza molto evidente nel reggere gli scambi prolungati. Era arrivata a Melbourne tutt’altro che al top della forma. Dopo Serena Williams cade cosí un’altra big in meno di 24 ore. Che sia diventato davvero il torneo delle outsiders?
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