Quando esiste un sistema scolastico che invece di complicare la vita agli sportivi li aiuta, il passaggio dal tennis alla finanza può essere molto breve. Ne sa qualcosa Carlo Donato, 18 anni da Pisa, che quel sistema a formato di atleta l’ha trovato negli Stati Uniti, volando dalla Toscana alla Virginia con le racchette in valigia per il suo piccolo sogno americano: far conciliare tennis e studi, così da appendere una laurea in salotto senza trascurare quelle palline che lo accompagnano da quando aveva sei anni. La sua è una delle storie di quei tanti ragazzi che al termine delle scuole superiori si trovano di fronte a un bivio importante: mollare lo sport per studiare, o rinunciare all’università per puntare a una carriera professionistica? Per fortuna esiste anche una terza via, quella del college americano, non vicinissima all’Italia ma nemmeno così difficile da raggiungere, a patto che ci sia un buon background sportivo, fondamentale per accedere alle borse di studio. Donato le basi le aveva eccome, fondate su una classifica Atp ottenuta a soli 17 anni e forgiate da un paio di stagioni passate sotto l’ala protettrice della Federtennis, prima a Tirrenia e poi a Foligno. Tanto gli è bastato per vedere la propria casella e-mail intasata da oltre trenta proposte a stelle e strisce, ma che in realtà non ha nemmeno valutato particolarmente. “Perché – racconta – avevo già scelto Virginia Tech, a Blacksburg. Ho incontrato il coach del team di tennis in Italia e mi sono subito trovato in sintonia”. Non ci ha pensato molto: il suo futuro sarebbe stato in Virginia, a studiare Business Finance e a giocare il campionato NCAA con gli “Hokies”, il soprannome degli atleti del college.
Ottenuta la borsa di studio, gli è bastato solamente superare un test d’inglese e compilare i vari documenti richiesti dall’ateneo, passaggio reso molto più agevole da StAR – Student Athletes Recruitment, l’agenzia italiana che si occupa di dare supporto agli atleti che puntano ad accedere al college. “Ho scelto questo percorso – continua Donato – perché considero importante avere un titolo di studio che possa servirmi al termine della carriera tennistica”. Già, perché la priorità non è cambiata e resta lo sport, da qualche mese abbinato ai banchi dell’università, che occupano più o meno metà della sua giornata. Il resto è solo allenamenti con la squadra, in palestra e in campo. “L’ambiente è perfetto, e l’unico aspetto negativo, se proprio devo trovarne uno, è la carenza di tempo per giocare tornei internazionali”. Ma quello fa parte del gioco, e a compensare le difficoltà nel competere a livello individuale ci pensano le gare a squadre NCAA. “Il clima è elettrizzante, ci sono tifosi che urlano per ore senza sosta”. Una sfaccettatura che vale da sola qualche anno lontano da casa. “Viaggiare per l’America con il proprio team, giocando ad alti livelli e nel frattempo studiando, è l’esperienza perfetta per ogni tennista. Non posso fare altro che consigliarla”. Anche perché l’età media del tennis “pro” si è alzata, e si può diventare ottimi giocatori anche a 25 anni, al termine del percorso di studi. “È ciò che mi piacerebbe fare – chiude – ma è presto per pensarci. Davanti a me ho ancora 4 anni”. Per crescere, prendere una laurea e diventare un tennista migliore. Tutto in un colpo solo.
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