Partiamo da Nabuccodonosor. La Bibbia racconta che il re di Babilonia sognò un gigante con la testa d’oro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro e i piedi d’argilla, il che propiziò la sua caduta come conseguenza di un sasso gettato da Dio. Una profezia apocalittica, aperta come tale a diverse letture esegetiche. Io, nel mio piccolo, l’ho recuperata dal mio archivio mentale quando ho inziato a scrivere queste righe sulla situazione del tennis spagnolo. Un’apparenza florida, un passato e un presente con numeri da capogiro, ma un futuro che non pare proprio dei più promettenti.
Al di là della crisi di Nadal, il presente parla di due top ten (entrambi al Master di Londra), di Cervantes e Muñóz de la Nava giunti nella finale del Masterino di São Paulo, e di ben 15 giocatori fra i primi cento. Questo dice il ranking di questa settimana, che presenterà ormai variazioni minime rispetto a quello di fine anno, e che rispecchia una situazione più che abituale negli ultimi decenni. Sono infatti ben 23 anni (dal 1993) che la Spagna chiude con almeno il 10 rappresentanti nei Top 100, con una punta di 17 raggiunta nel 2003. Una costanza di rendimento mostruosa. Se esaminiamo il ranking di fine anno dal 1985, vale a dire gli ultimi trent’anni (non sono andato molto più indietro perché i dati dell’ATP diventano frammentari), possiamo vedere molto bene l’ascesa del tennis iberico, con un incremento quasi costante di un giocatore all’anno fra i cento, fino ad arrivare appunto alla stabilizzazione degli anni novanta. Interessante anche, come si può vedere nella seconda colonna dello schema seguente, la progressiva ascesa del numero uno spagnolo a partire da Sergio Casal nel 1985 (nº 38), per non parlare della presenza pressoché fissa nella Top 10 degli ultimi vent’anni (vedi l’ultima colonna) di almeno un rappresentante spagnolo, con ben tre giocatori nel 2002, 2007, 2010 e 2011:
( I dati si riferiscono al 31 dicembre di ogni anno, e per il 2015 alla settimana del 30/11)
Per l’anno in corso un dato significativo riguarda l’età media dei giocatori spagnoli in Top 100, fra i quali il più giovane (ma non più giovanissimo) è Pablo Carreño (classe ’91), il più vecchio è Feliciano López (’81), con una media che sfiora i 30 anni (29,9), più di due punti e mezzo al di sopra della media generale dei primi cento (27,3) che comunque, come è risaputo, si è notevolmente alzata negli ultimi anni.
Ma esistono giovani promettenti pronti per rilevare i “vecchietti”? È sempre difficile rispondere a questa domanda, ma se ci limitiamo ad analizzare i freddi dati statistici, scendendo i gradini del ranking la situazione non sembra delle più rosee: come si può infatti vedere nel seguente schema, il numero dei possibili rincalzi diminuisce drasticamente, ma soprattutto l’età media degli spagnoli, pur decrescendo, si mantiene su livelli abbastanza alti:
Limitandoci ai Top 500, vediamo poi che ci sono solamente tre giocatori del ’95, molto indietro in classifica – Pablo Vivero González (326) Albert Alcaraz Ivorra (378) Mario Vilella Martínez (455) -, nessuno del ’96, e solamente uno del ’97, Jaume Munar (439), da molti considerato la grande speranza del tennis iberico. I tempi di maturazione di un giocatore non seguono naturalmente gli stessi tempi, ma va considerato che, nonostante un’eta media semprè più alta, molti giovani di questa generazione hanno già fatto il loro ingresso fra i primi cento, come Kirgios e Edmund (’95), Coric, Chung e Kokkinakis (‘96) e Zverev (‘97) e fra i primi duecento, come Nishioka, Djere e il nostro Donati (‘95), Donaldson, Ymer e Khachanov (1996) e Rublev (‘97), o Tiafoe (‘98).
Si potrebbe ragionevolmente pensare che qualche giocatore abbia deciso di ritardare il suo ingresso fra i professionisti per farsi le ossa nel ciurcuito juniores, ma anche qua non troviamo nessuno spagnolo fra i migliori. Fra gli Under 18 due sole presenze fra i 100 ma nessun Top 10, al 14º posto Álvaro López san Marín (classe ‘97) e al 62º Eduard Guell Bartrina (‘98), mentre fra gli Under 16 troviamo al 62º posto Alejandro Davidovich Fokina (’99) e al 69º Nicolas Alvarez Varona (2001), che è però numero 7 nel ranking Under 14, dove si registrano anche al 64º posto Javier Vazquez (2001) e all’81º Pedro Vives Marcos (2001).
No, la situazione non fa molto ben sperare per il futuro. Non prevedo assolutamente un “effetto Svezia”, con il deserto creatosi dopo la generazione di Borg&Co. In quel caso l’esplosione si basò fondamentalemnte sull’effetto traino di un grandissimo campione, mentre in Spagna ci sono scuole, strutture, clima e tradizione sufficienti per garantire a mio avviso anche per il futuro una base di buoni professionisti. Se ci saranno anche grandi campioni nell’era post-Nadal, è invece tutto un altro paio di maniche e non è facile fare previsioni. Sono infiniti gli esempi di grandi promesse a livello giovanile poi perse nei meandri del professionismo, ma anche i casi di giocatori anonimi fioriti in età avanzata. I dati e i numeri che abbiamo riportato ci parlano dell’aria che tira, ma i venti del tennis sono in gran parte imprevedibili, E meno male. Se no, che gusto ci sarebbe?
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