Teste di serie: quando raddoppiare non porta benefici

Wimbledon

di Claudio Maglieri

Tutti noi appassionati di tennis ricordiamo Wimbledon 2001 principalmente per due motivi: la clamorosa vittoria finale di Goran Ivanisevic e lo storico passaggio di consegne tra Pete Sampras e Roger Federer, con il giovane svizzero capace di imporsi in cinque set nell’ormai epico scontro degli ottavi di finale. Eppure, quell’edizione dello Slam londinese è importantissima per una terza motivazione: l’introduzione del meccanismo delle 32 teste di serie, al posto del collaudato sistema delle 16. Un cambiamento che all’apparenza sembrò innocuo, ma che invece ha rivoluzionato lo svolgimento dei quattro Major.

Fino al Roland Garros di quindici anni fa, per intenderci quello vinto da Gustavo Kuerten su Alex Corretja (con tanto di cuore disegnato sulla terra del Philippe Chiatrier), soltanto i primi sedici del ranking beneficiavano di una testa di serie: Kuerten, nello specifico, avrebbe potuto incontrare la prima (numero 15) agli ottavi di finale, ovvero Jan Michael Gambill, però lo statunitense perse al primo turno e così “Guga” sfidò Yevgeny Kafelnikov (numero 7) solo ai quarti. Ma il brasiliano, nel match di esordio, si trovò di fronte un giovane pericoloso come Guillermo Coria, all’epoca numero 26 delle classifiche e terraiolo già discreto.

Da dove nasce questo articolo? E’ il Roland Garros attuale a (ri)darci lo spunto: rimanendo al tabellone maschile, su 32 teste di serie solo sei (Federico Delbonis 31, Fabio Fognini 32, Kevin Anderson 18, Philipp Kohlschreiber 24, Marin Cilic 10, Steve Johnson 33) hanno perso al primo turno. Togliendo Cilic, si tratta di giocatori di media classifica per cui le loro eliminazioni sono state tutt’altro che uno shock: il meccanismo delle 32 teste di serie, di fatto, ha garantito un’enorme protezione ai top players, che fino al terzo turno non hanno mai l’occasione di affrontare un avversario tra i primi 32 del mondo. Anche coloro compresi tra la diciassettesima e la trentaduesima posizione sono più tutelati: certo, ogni tanto ci sono le sorprese (senza andare troppo lontano, Rafael Nadal e Roger Federer a Wimbledon contro Lukas Rosol, Dustin Brown e Sergiy Stakhovsky), lo stesso Andy Murray ha rischiato grosso sia con Radek Stepanek che con Mathias Bourgue, eppure negli Slam attuali (quelli su terra e cemento, soprattutto) è sempre più raro che un big faccia le valigie anzitempo. Colpa dell’omologazione del tennis, del divario sempre più netto tra i migliori e il resto del plotone: tutto giusto, ma il sistema delle 32 teste di serie ha garantito ai più forti un ulteriore vantaggio, di cui francamente non se ne sentiva il bisogno.

Nel 1990, a Parigi, Stefan Edberg e Boris Becker (numero 1 e 2 del seeding) uscirono entrambi all’esordio, sconfitti rispettivamente da Sergi Bruguera e Goran Ivanisevic (due futuri vincitori di Slam). Altri tempi, altro tennis, ma sarebbe bello se ancora oggi i migliori fossero messi un po’ più in difficoltà nei primi turni di un Major (e un sorteggio più ostico darebbe una grossa mano in tal senso). Oggi la prima settimana di uno Slam si risolve troppo spesso una noia mortale: pochi, pochissimi colpi di scena, partite molto simili a sessioni di allenamento (Nadal-Groth), televisioni costrette a mandare in onda incontri a dir poco prevedibili.

I tornei Master 1000, seguendo questo ragionamento, sono molto più incerti e non di rado escono risultati assolutamente inattesi: paradossalmente, certe volte è molto più semplice portare a casa uno Slam piuttosto che un Indian Wells qualsiasi. Perché non reintrodurre di nuovo le 16 teste di serie? Chissà, magari cambierebbe poco ma almeno avremmo molta più suspense al momento dei sorteggi.

Leggi anche:

    None Found