Avrebbe potuto fare la storia, come solo altri due prima di lui ci erano riusciti; avrebbe potuto far parlare di sé e del suo paese per i decenni a venire. Invece tutto si è fermato, come spesso accade, a due passi dal traguardo; in questo caso a un turno di battuta o a due, poi tre palle-break per andare a servire per l’incontro di primo turno a Wimbledon 2010. Un primo turno niente affatto banale in quanto giocato contro uno dei re incoronati su quei prati. Per i nomi vi rimandiamo ai capitoli successivi di una storia che ci fa volare – per la quarta volta in questa rubrica dopo Argentina, Brasile e Cile – in Sudamerica: la Colombia.
IL PASSATO – Quando, nell’ultimo fine settimana di novembre del 1997, sul Taraflex dello Scandinavium di Goteborg la Svezia conquista la sua sesta e penultima Coppa Davis strapazzando in finale gli Stati Uniti di Chang e Sampras, da poco più di due mesi la piccola Colombia capitanata da Alvaro Jordan ha ottenuto la prima storica qualificazione al G1 battendo nell’ordine Portorico, Perù e, soprattutto, l’Uruguay di Marcelo Filippini. Di quella squadra, che tre anni dopo sarebbe transitata di nuovo in purgatorio solo per scendere nell’inferno del G3, il ruolo di singolaristi è affidato ai “traghettatori” Mario Rincon e Miguel Tobon. Entrambi sulla soglia dei trent’anni, i due hanno sempre frequentato i bassifondi del ranking ATP (193 il primo, 205 il secondo come miglior piazzamento) con pochissimi acuti. Tobon ha vissuto in patria la settimana della vita quando, nel 1995, conquista la finale a Bogotà battendo anche tre Top-100 (Frana, Alami e Meligeni) prima di perdere con il giovanissimo Nicolas Lapentti. Rincon dal canto suo metterà a referto come exploit la qualificazione agli US Open 1990, torneo in cui giocherà il suo unico incontro a livello slam raggranellando appena otto giochi contro lo svedese David Engel.
Prima di quella data, molto prima, la Colombia era stata al centro dell’attenzione tennistica mondiale tra la fine del 1973 e l’inizio del 1974 quando si qualificò per la finale interzone della Davis a spese di Venezuela, Messico e Stati Uniti. Gli eroi di quella esaltante stagione furono Jairo Velasco e Ivan Molina. Quasi coetanei, i due ebbero il supporto del pubblico amico del Club Los Lagartos di Bogotà quando sconfissero Harold Solomon ed Erik Van Dillen in singolare per il 4-1 conclusivo che li proiettò verso la sfida contro il Sudafrica. Qui però, pur giocando nuovamente in casa, nulla poterono al cospetto di Ray Moore e della coppia Hewitt-McMillan che chiuse la pratica già il secondo giorno dominando il doppio.
Nessuno, nella nazionale colombiana, ha giocato più incontri in Davis di Jairo Velasco (33-23 il suo record, 24-12 in singolare) che fu protagonista anche dell’altra finale interzone disputata dal suo team – quella persa nel 1981 contro il Cile – mentre non era presente alla revenge statunitense del 1979, quando gli americani vendicarono l’affronto di cinque anni prima e travolsero la Colombia al Cleveland Skating Club con un 5-0 (incontri), 15-0 (set) e 91-38 (giochi) senza attenuanti. Chi invece fu costretto a subire l’ira funesta di John McEnroe, Peter Fleming e Dick Stockton fu Ivan Molina. Quello che per alcuni è il miglior tennista colombiano della storia ha avuto il merito non trascurabile di iscrivere per primo la propria nazione nell’albo d’oro di uno slam. Mancina come lui, la compagna che si scelse per disputare il doppio misto nell’edizione 1974 del Roland Garros era una robusta ragazzotta cecoslovacca di Praga non ancora diciottenne che proprio da lì, da quella vittoria in finale contro la coppia di origine messicana formata da Rosa Maria Reyes – divenuta francese nel 1960 dopo essere convolata a nozze con il collega Pierre Darmon – e Marcelo Lara, avrebbe inaugurato la sua più che trentennale bacheca di trofei dello slam: Martina Navratilova. Finalista a Nizza e Teheran nel 1975, Molina sfiorò la doppietta a Parigi nel misto ma nella finale del 1977 – stavolta in compagnia della rumena Florentia Mihai – dovette soccombere ad un’altra stella nascente mancina, John McEnroe, che si impose insieme alla connazionale Mary Carillo.
Gli ’80 furono anni di transizione per il tennis colombiano; dopo la suddetta finale persa con il Cile, dal 1982 al 1990 la squadra di Davis raccolse quasi solo delusioni, comprese le due sconfitte contro Cuba nel G2. Tuttavia, proprio in quel periodo fece il suo debutto in squadra Mauricio Hadad, ancora oggi detentore di due primati: è l’unico colombiano ad aver vinto un titolo ATP (a Bermuda nel 1995) ed è quello con il maggior numero di successi in Davis (35 a fronte di sole 11 sconfitte).
Chiudiamo dunque questa rapida carrellata storica del tennis colombiano maschile con l’ultimo ritirato in ordine di tempo, che è anche il protagonista delle righe di apertura di questo resoconto: Alejandro Falla. Nato a Cali nel 1983, il mancino bimane ha raggiunto gli ottavi al Roland Garros 2011 provenendo dalle qualificazioni e si è aggiudicato 11 titoli challenger ma il suo nome è legato alla sconfitta patita contro Roger Federer a Wimbledon 2010. Avanti due set a zero e con la possibilità di servire per il match sul 5-4, finì per crollare 6-0 al quinto mancando l’opportunità di diventare il terzo tennista della storia (dopo Pasarell con Santana nel ’67 e Karlovic con Hewitt nel 2003) capace di eliminare al primo turno il detentore del titolo di Wimbledon. In coppia con il connazionale Carlos Salamanca, Falla vinse il doppio juniores al Roland Garros nel 2001.
Tutto – o quasi – il tennis femminile colombiano è racchiuso in un terzetto che ormai appartiene completamente al passato. Partiamo dunque dalla più titolata delle tre, ovvero Fabiola Zuluaga, classe 1979 e campionessa in cinque appuntamenti WTA: quattro volte in patria, a Bogotà (1999 e dal 2002 al 2004), e una in Brasile, a San Paolo (sempre nel ’99). Con un best-ranking di n°16 al mondo, raggiunto il 17/01/2005, riuscì ad arrivare – non senza un pizzico di buona sorte – alle semifinali degli Australian Open 2004; sfruttando un corridoio favorevole che le fece affrontare nell’ordine Asagoe, Diaz-Oliva, Craybas e Kapros, nei quarti beneficiò del ritiro di Amelie Mauresmo per terminare la sua corsa al cospetto di Justine Henin, allora n°1 del mondo.
Coetanea della Zuluaga, Catalina Castaño non andò oltre il n°35 WTA e dovette accontentarsi di una sola finale nel circuito, persa a Budapest nel 2005. La sua vittoria più importante fu però quella ottenuta contro il cancro al seno che le venne diagnosticato nei primi mesi del 2014 e che la costrinse al ritiro dall’attività agonistica.
Il terzetto si chiude con la più giovane (classe 1989) Mariana Duque-Mariño, campionessa a Bogotà nel 2010 e finalista sei anni dopo a Norimberga, sconfitta da Kiki Bertens. Il suo ultimo match risale alla sconfitta in semifinale nell’ITF di Montreux 2018 con la giovane polacca Iga Swiatek e proprio quest’anno a Bogotà, davanti al suo pubblico, ha annunciato il definitivo ritiro.
IL PRESENTE – Sono trascorsi poco più di vent’anni da quel novembre 1997 ricordato in apertura del capitolo precedente e il filo che collega passato e presente del tennis maschile colombiano porta nuovamente in Scandinavia. Tra meno di un mese, infatti, la squadra sudamericana sarà tra le 18 protagoniste delle Davis Cup Finals di Madrid e l’accesso alla storica manifestazione iberica si è concretizzato proprio battendo 4-0 la Svezia nello spareggio disputato lo scorso febbraio. Artefici di quella vittoria sono stati due singolaristi attualmente piazzati oltre la posizione n°200 del ranking e i due numeri uno del doppio.
Daniel Elahi Galan si è reso protagonista a Houston del suo miglior risultato stagionale giungendo in semifinale a spese di Lorenzi, Johnson e Thompson dopo aver superato le qualificazioni. Attualmente Galan è assestato al n°210, ovvero 42 posizioni più in alto rispetto a Santiago Giraldo, 31enne che è stato anche n°28 al mondo nel 2014 e ha giocato le finali di Santiago 2011 e Barcellona 2014. Se in singolare le cose non vanno proprio benissimo, in doppio la Colombia sta toccando il cielo con le dita della coppia regina del ranking.
Entrambi con un passato da singolaristi non indimenticabile, Juan Sebastian Cabal e Robert Farah fanno coppia fissa ormai da oltre un lustro e hanno raggiunto la gloria con un certo ritardo. Il primo dei due a mettersi in luce fu certamente Cabal che, nel 2011, raggiunse la finale al Roland Garros insieme all’argentino Eduardo Schwank ma la loro perseveranza è stata premiata soprattutto in questa stagione. Dopo un inizio altalenante – finale a Sydney seguita dalla bruciante sconfitta al primo turno degli Australian Open – e una primavera che li ha visti uscire dalle prime dieci coppie del ranking, da Barcellona (vinto) in poi i due colombiani hanno cambiato marcia. Bissato il successo agli Internazionali d’Italia e sconfitti in semifinale a Parigi da Chardy/Martin, la svolta è avvenuta sull’erba con l’antipasto di Eastbourne e la grande abbuffata di Wimbledon, dove i nostri sono entrati nella storia. Annullati cinque match-point nei quarti a Rojer/Tecau in una sfida terminata 11-9 al quinto, nella finale contro i francesi Mahut e Roger-Vasselin sono stati in campo quasi cinque ore; dopo un’equa divisione dei primi quattro set tutti terminati al tie-break, finalmente nel decisivo parziale i sudamericani hanno preso il vantaggio di un servizio chiudendo 6-3.
Ben più agevole è stato invece il cammino che li ha portati ad affiancarsi alle altre cinque coppie capaci, nell’Era Open, di mettere e segno l’accoppiata Wimbledon-US Open (Fleming/McEnroe tre volte, i Woodies due volte, Fitzgerald/Jarryd, Bjorkman/Woodbridge e Mike Bryan/Sock una volta); a Flushing Meadows infatti i colombiani non hanno dovuto fronteggiare match-point e hanno perso per strada un solo set in sei incontri. In finale, non senza sorpresa, erano arrivati Granollers/Zeballos che però non sono andati oltre una onorevole sconfitta.
Se il presente al maschile resta aggrappato al doppio e alla prestigiosa qualificazione per le finali di Davis, quello al femminile è piuttosto proiettato al futuro. La Colombia non ha, al momento, una giocatrice tra le prime 200 del ranking e le sue speranze sono legate a doppio filo ai risultati di una quasi diciottenne, con cui apriremo il prossimo capitolo.
IL FUTURO – Nata il 22/12/2001 a Cucuta, Maria Camila Osorio Serrano è la recente vincitrice del titolo juniores agli US Open. Per ora la sua attività si è limitata al circuito ITF, nel quale in agosto ha conquistato due titoli W25 consecutivi a Guayaquil e la recente semifinale nel W60 di Charleston. Al momento la Osorio Serrano è n°214 delle classifiche WTA, nettamente la migliore del suo paese che può contare anche su Maria Herazo Gonzalez (529) e Yuliana Lizarazo (573), che però hanno rispettivamente 22 e 26 anni. Non ci sono invece tennisti colombiani tra i primi 100 della classifica ITF riservata agli atleti sotto i 18 anni di età
I TORNEI – Che questo non sia il miglior momento per il tennis in Colombia è confermato dal fatto che non ci sono stati tornei maschili nel calendario ATP 2019, anche estendendolo al circuito Challenger. A Bogotà si è giocato a strappi dal 1977 al 2015, con diverse e sostanziose interruzioni, un torneo che ha fatto parte prima del circuito Grand Prix, poi dell’ATP. Nella prima tranche, della durata di quattro stagioni, gli International Championships of Colombia ebbero come vincitori Guillermo Vilas – nell’edizione inaugurale – seguito dal paraguayano Victor Pecci (che mise a segno una doppietta nel 78/79) ed infine dal francese Dominique Bedel, che sconfisse Kirmayr nella finale del 1980. Dopo ben tredici stagioni di assenza, la Colombia rientrò nel grande tennis di nuovo con un appuntamento sulla terra rossa che si giocò dal 1994 al 2001 con la sola eccezione del 1999. In questo periodo il torneo, sempre su terra rossa e sempre a Bogotà, mise a referto nell’albo d’oro ben sette diversi vincitori tra cui l’austriaco Muster (1996) e l’ecuadoriano Nicolas Lapentti che giocò tre finali consecutive aggiudicandosi solo la prima (1995) contro l’atleta locale Miguel Tobon. Infine, nel triennio 2013-2015 il Claro Open Colombia ha rilevato il posto nel calendario che era di Los Angeles organizzando un 250 sul duro vinto il primo anno da Karlovic e nei due successivi da Bernard Tomic prima di cedere il posto all’attuale appuntamento di Los Cabos.
Più fluida e rilevante la situazione nel settore femminile che vede la Colombia presente nel calendario WTA con un torneo di categoria International da ben ventidue stagioni. Nel 1998 infatti, di nuovo sulla terra rossa di Bogotà, è nata la Copa Colsanitas che annovera nel suo albo d’oro anche tre italiane: Pennetta (2005), Vinci (2007) e Schiavone (2017). Ineguagliabile, per ora, il record della giocatrice locale Fabiola Zuluaga che, come ricordato in precedenza, questo trofeo l’ha alzato in ben quattro occasioni. Oltre ad annoverare tra le sue campionesse anche una ex numero 1 del mondo – Jelena Jankovic, che trionfò nel 2013 – il torneo ha avuto una finalista spagnola in ben undici occasioni ma mai un derby. La detentrice del titolo è la giovane statunitense Amanda Anisimova. Per chiudere, oltre al WTA di Bogotà, si giocano in Colombia anche quattro ITF, che sarebbero stati cinque se l’importante W100 di Calì non fosse stato cancellato.
Leggi anche:
- None Found