La donna delle tre bandiere ha un ricordo da cancellare. Un regalo amaro che il solito destino burlone le ha fatto recapitare in quello che poteva essere il giorno più bello della sua vita. Ma si sa, c’è modo e modo per passare alla storia e il suo non è stato il modo migliore. Quando ancora la Bielorussia non era ufficialmente nata, in quel maledetto pomeriggio del 5 giugno 1988, di passaggio a Parigi nel suo viaggio in cinque tappe di nome Golden Slam, una giovane tedesca – che serviva le prime con due palle in mano per risparmiare tempo – avrebbe vinto la finale più corta di sempre in un major in gonnella tenendola in campo tra i 32 e i 34 minuti, un dato incerto probabilmente a causa dell’interruzione per pioggia che costrinse il giudice di sedia a interrompere l’incontro per circa un’ora. Secondo più, secondo meno, a Natalia (nome da sovietica, che provvederà a cambiare quando cambierà patria) Zvereva quella mezzoretta appena abbondante trascorsa sul centrale del Roland Garros sarà parsa una piccola eternità, la brutta fine di un lungo sogno che, ancora in età da torneo juniores, l’aveva proiettata troppo presto tra le grandi per poi chiudersi nell’incubo di un doppio 0-6 dal quale aveva estratto appena tredici punti, quasi tutti errori della sua avversaria. Certo, anche se di poco più anziana, Steffi Graf stava ponendo le basi del suo dominio sul tennis ma tale consapevolezza attenua solo lo shock, non lo cancella. Invece, complice il mutato quadro socio-politico europeo e mondiale, qualche anno dopo tutto inizierà a cambiare e stavolta la donna delle tre bandiere indosserà quella definitiva rossa e verde con il fregio della sua nuova nazione: la Bielorussia.
IL PASSATO – In poco meno di trent’anni di storia (e nonostante i retaggi di un passato in cui il tennis era il diavolo, così come tutti gli sport dei ricchi e dei capitalisti) la Bielorussia ha saputo ritagliarsi il suo piccolo angolo di paradiso. Se i termometri più affidabili sono i tornei dello slam e le classifiche mondiali, i numeri della cosiddetta “Russia Bianca” sono di tutto rispetto: 31 titoli e 232 settimane al n°1 del ranking.
Classe 1971, la prima giocatrice bielorussa di livello assoluto è stata dunque Natasha Zvereva. Predestinata fin dalla giovane età, quando ancora rappresentava l’Unione Sovietica, Natasha brucia le tappe e poco più che quindicenne fa suo il titolo juniores di Wimbledon nel 1986. L’anno dopo domina il circuito giovanile (Roland Garros, Wimbledon, US Open e Orange Bowl) e chiude la stagione con due finali perse in quello maggiore e un ranking da top-30. L’ottantotto è l’anno della svolta: il doppio, destabilizzante 6-0 patito a Parigi non la scalfisce più di tanto e, pur continuando a perdere finali (Eastbourne, Montreal, Worcester), il solo fatto di giocarle le garantisce una classifica da prime dieci e i quarti al Masters WTA di New York.
Il carattere mite e una certa qual remissività solo apparente aiuteranno a comprendere il suo bilancio negativo in carriera nelle finali (4-15) ma non spiegheranno il gesto di reazione in una di queste (Hilton Head 1989) quando, al microfono del compianto Bud Collins, sventolerà l’assegno appena ricevuto affermando: “Per me questa è solo carta” in riferimento al fatto che i suoi guadagni finivano quasi interamente nelle tasche dello stato. Di lì a poco la nativa di Minsk si fa mettere sotto contratto dall’agenzia Pro-Serv e solo l’imminente disfacimento dell’URSS minimizza l’entità del gesto, assolutamente rivoluzionario all’epoca in cui venne compiuto.
Pur con un best-ranking da n°5 e almeno i quarti di finale in ciascuna prova del Grande Slam, non sarà certo il singolare a renderle la gloria che merita; piuttosto, lo sarà la decisione di fare coppia fissa in doppio con la statunitense di Portorico Gigi Fernandez. Dopo un ’91 da rivali e con tre slam a testa già in bacheca, l’anno dopo le due scelgono di compensarsi a vicenda (la calma, gli angoli, le rotazioni e i lob di Natasha con l’irruenza, il servizio, le volee e lo spettacolo di Gigi) e nel triennio ‘92-’94 “Ice and Fire” vincono nove dei dodici major a cui partecipano (sei consecutivi) e sfiorano per ben due volte il Grande Slam. Saranno tre semifinali a negare loro il passaggio dalla stanza della storia a quella della leggenda: le prime due (Australian Open 1992 e US Open 1993) per mano di Sanchez-Sukova, che poi si prenderanno il trofeo; la terza, la più bruciante, contro Katerina Maleeva e Robin White, di nuovo a Flushing Meadows nel 1994. Natasha e Gigi continueranno a vincere insieme fino a Wimbledon ’97 (per un totale di 14 slam, oltre a due Masters) ed entreranno insieme nella Hall of Fame di Newport, nel 2010. Per finire, Zvereva sarà la prima tennista del suo paese a conquistare la prima posizione mondiale (in doppio), mantenuta per un totale di 124 settimane (quinto posto assoluto dietro Martina Navratilova, Liezel Huber, Cara Black e Lisa Raymond)
Compagne di squadra in Fed Cup della Zvereva e con carriere pressoché identiche, Olga Barabanschikova e Tatiana Poutchek non sono mai riuscite a portare la Bielorussia oltre il WG2. Della prima si ricorda la vittoria nel doppio juniores al Roland Garros 1996 (in coppia con Amelie Mauresmo) e il bronzo olimpico sfiorato a Sydney 2000, quando – insieme a Zvereva – perse la finale per il 3° e 4° posto con la coppia belga Callens-Monami. Ha invece dovuto accontentarsi di una mezza dozzina di ITF Ksenia Milevskaya, classe 1990 e promettente doppista, vittoriosa a livello juniores sia al Roland Garros che agli US Open nel 2007 (insieme alla sorellina di Aga, Urszula Radwanska) che però ha interrotto l’attività lo scorso anno dopo un’assenza dai tornei di quasi sei anni.
Per restare nel passato (sia pur recente) e continuando nel solco degli slam e dei n°1 ma trasferendoci nel maschile, è arrivato il momento di Max Mirnyi, il più importante tennista bielorusso di questi trent’anni. Soprannominato “The Beast” per la sua straordinaria prestanza fisica – e non certo per l’ottimo carattere – e depositario di un meraviglioso tennis offensivo, Mirnyi ha raccolto i suoi maggiori successi in doppio (specialità di cui è stato leader mondiale per 57 settimane) e nel misto, sublimando la sua personale carriera con la conquista della medaglia d’oro sui prati insolitamente colorati di Wimbledon 2012 in occasione dei Giochi Olimpici di Londra. Ottimo Top-20 in singolare (un solo titolo, Rotterdam, e tre finali perse, tra cui quella del 1000 di Stoccarda 2001), dal 2009 si è dedicato solo ai doppi, specialità nella quale aveva iniziato la raccolta di major già nel 1998 con la doppietta Wimbledon-US Open in coppia con la giovanissima Serena Williams. Alla fine, saranno 10 gli slam complessivi, con una particolare e insolita predisposizione per la terra rossa (5 Roland Garros). L’indiano Bhupathi, lo svedese Bjorkman e il canadese Nestor i suoi compagni più importanti; la connazionale Azarenka e la ceca Hlavackova le partner, oltre alla già citata Serena.
Dei quattro soli tennisti capaci di raggiungere la semifinale in un torneo dello slam partendo dalle qualificazioni, uno è bielorusso: Vladimir Voltchkov. Arrivato a Wimbledon, nell’edizione del 2000, da n°237 del mondo dopo essersi allenato in patria sull’erba sintetica, Vladimir pena nelle qualificazioni (lascia un set a Iwabuchi, quasi perde con Dupuis e sfrutta il ritiro di Knowle all’ultimo turno) e nuota contro corrente fino al quinto sia al debutto con Chela che due giorni più tardi con Pioline. Ma il francese, giova ricordarlo, è il sesto tennista del ranking e proprio lì, su quei campi, appena tre anni prima è arrivato in finale. Dal terzo turno in poi il bielorusso affronta trappole, pressione e insidie con la tranquillità di chi, in fondo, ha sempre pensato che Wimbledon fosse il suo posto, avendoci vinto nel 1996 il torneo juniores. Curiosamente, per arrivare ad eguagliare il record di McEnroe (l’altro semifinalista qualificato nella storia dei Campionati), dovrà battere tre tennisti africani: Younes El Aynaoui, Wayne Ferreira e Byron Black. Al penultimo atto, Voltchkov ci prova anche contro Sampras ma non va oltre una dignitosa difesa. Con una sola finale in carriera (persa a Tashkent) ma un best-ranking di n°25 ottenuto il 30 aprile dell’anno dopo in mezzo a una raffica di otto sconfitte consecutive al primo turno, Vladimir sarà buon compagno di doppio di Mirnyi in Davis, competizione in cui la Bielorussia conquisterà la semifinale del World Group nel 2004.
IL PRESENTE – Strettamente legato al passato ma non senza spiragli di luce per il futuro, il presente del tennis bielorusso è sostanzialmente femminile. Infatti, anche se appena due anni fa la squadra maschile di Davis si trovò avanti 2-1 nel play-off contro la Svizzera per accedere al World Group (poi perse 3-2), attualmente il bielorusso con classifica più alta è Ilya Ivashka (144) seguito abbastanza da vicino da Egor Gerasimov (157). Sono entrambi tennisti capaci di qualche acuto nei challenger, così come la promessa mancata Uladzimir Ignatik, campione al Roland Garros e finalista a Wimbledon juniores nel 2007 attualmente posizionato al n°262 ATP.
Altra musica, come anticipato, quella suonata dalle donne, la cui regina indiscussa è ancora adesso Victoria Azarenka. L’attuale n°41 del ranking WTA è infatti terza nella classifica del suo paese (dietro a Sabalenka e Sasnovich) ma il suo passato la colloca di gran lunga in cima alla montagna bielorussa. Il suo biennio è stato il 2012-2013, periodo nel quale ha disputato le quattro finali slam sul duro: vittoriose quelle alla Rod Laver Arena di Melbourne, meno fortunate quelle dell’Arthur Ashe di New York. Sempre nello stesso periodo, Vika è stata per 51 settimane (quasi consecutive) n°1 del mondo ma già nel 2014 , complice anche un infortunio, è iniziata la sua discesa nel ranking, protrattasi per tutto l’anno successivo fino al clamoroso ritorno del 2016, culminato con il prestigioso “Double Sunshine”. Di lì a poco, l’annuncio della maternità, avvenuta il 20 dicembre 2016, ma i successivi dissidi con il padre del figlio Leo le hanno impedito di rientrare nel circuito con la dovuta serenità. Campionessa anche da giovane, Azarenka sfiorò il Grande Slam in doppio nel 2005 (vinse le prime tre prove in coppia con l’ungherese Szavay ma a New York Marina Erakovic, la sua compagna, si infortunò proprio contro di lei nella sfida di singolare e le due furono costrette ad abbandonare il torneo di doppio) e sempre lo stesso anno dominò i due major sul duro (Australian e US Open). Come per Mirnyi, anche per lei la medaglia d’oro olimpica a Londra 2012 ha rappresentato un momento particolarmente emozionante; una specialità, il misto, che l’ha vista trionfare anche a Melbourne 2007 (sempre con Max) e al Roland Garros 2008 (con Bob Bryan).
Come anticipato qualche riga sopra, prima di Vika ci sono altre due bielorusse in classifica: la Top-10 Arina Sabalenka e Aliaksandra Sasnovich. Classe 1998, di una fisicità a dir poco prorompente, Arina ha avuto un impatto importante sul circuito maggiore pur in assenza di grandi risultati da juniores. Nel 2018 ha scalato più di 60 posizioni, passando dall’iniziale 73 al conclusivo 12 anche grazie alle vittorie di New Haven e, soprattutto, del Premier 5 di Wuhan. In questa stagione, dopo il debutto vittorioso a Shenzhen, sta faticando a mantenere le aspettative. Non ha invece mai vinto un torneo maggiore la Sasnovich, venticinquenne che solo a inizio 2018 (con la clamorosa finale conquistata a Brisbane partendo dalle qualificazioni) ha invertito la rotta di una carriera che pareva destinata all’anonimato. Semifinalista a Sydney di nuovo partendo dalle qualificazioni, quest’anno Aliaksandra è stabilmente tra le prime 40 del mondo anche se nelle ultime settimane ha raccolto solo sconfitte al primo turno.
Buona doppista (fu campionessa juniores a Wimbledon nel 2004 in coppia con Azarenka) ma anche quattro volte finalista in singolare nel circuito WTA, Olga Govortsova ha avuto un passato da n°35 ma adesso è costretta a disimpegnarsi nel circuito ITF, dal basso della sua 270esima posizione mondiale.
IL FUTURO – Campionessa juniores agli Australian Open 2016, il futuro bielorusso si chiama Vera Lapko. Le due vittorie consecutive del 2018 negli importanti ITF di Khimki e Saint-Gaudens l’hanno proiettata stabilmente dentro le prime 100, posizione però che la giovane di Minsk non ha saputo mantenere negli ultimi mesi. Nelle attuali classifiche mondiali juniores, la Bielorussia non ha alcun giocatore e giocatrice tra i primi 50 del ranking.
I TORNEI – Inevitabilmente assente fino all’indipendenza dall’Unione Sovietica, la Bielorussia non ha mai ospitato tornei dei due circuiti maggiori. Nell’attuale calendario maschile è previsto un ITF M15 a Minsk in agosto mentre proprio nelle scorse settimane si sono giocati due W25 consecutivi, sempre a Minsk sulla terra rossa, vinti entrambi dalla britannica Francesca Jones, classe 2000. In passato, nella stessa capitale, si giocarono quattro edizioni della Pavlov Cup (dal 2010 al 2013), ITF sul cemento indoor e nell’albo d’oro spiccano i nomi di Sasnovich e Gasparyan.
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