di Sergio Pastena
I ritorni nel tennis sono qualcosa di frequente, anche perché storie all’apparenza simili di giocatori che crollano in classifica e poi tornano su nascondono in realtà tante differenze. Nel 2011, ad esempio, quasi tutti i comeback hanno alle spalle una storia particolare, differente dalle altre. Ci sono recuperi attesi e inaspettati, infortunati e anime in pena che han perso per strada il tennis migliore, giocatori che si ritirano e tornano in campo alla grande, atleti squalificati che provano a riprendere il filo da dove avevano lasciato.
Il ritorno di Juan Martin Del Potro, ad esempio, era ampiamente atteso: dopo l’esplosione del 2009 (vittoria agli Us Open e finale al Master) e un 2010 disgraziatissimo, saltato quasi per intero per via di infortuni vari, l’argentino si era presentato ai nastri di partenza oltre la duecentesima posizione. La sconfitta al secondo turno degli Australian Open ha rischiato di mandarlo oltre i 500 ma da lì è cominciata la risalita. Non si è visto, ovviamente, il Del Potro del 2009 ma un giocatore molto forte e solido: vittorie a Delray Beach ed Estoril, finale a Vienna, semifinale a Indian Wells e buone performance negli Slam (tra cui gli ottavi a Wimbledon, dove ha fatto soffrire Nadal). Risultati che lo hanno riportato nelle posizioni di classifica che gli competono, al punto che fino a quindici giorni fa era teoricamente in gioco per il Master. Dopo la semifinale di Valencia, però, ha preferito giustamente fermarsi. A gennaio non avrà tantissimi punti da difendere e gli Australian Open potrebbero essere la buona occasione per rientrare nella Top Ten. Bisognerà vedere, tuttavia, se riuscirà a occupare di nuovo il ruolo che gli compete, quello di possibile “virus” nel meccanismo dei Fab Four.
Diverso è il caso di Dmitry Tursunov, per due motivi: è vero che anche il russo ha saltato un anno a causa degli infortuni, ma innanzi tutto ha cinque anni più di Del Potro e sembrava aver dato già il meglio, inoltre il suo ritorno non è stato immediato. Al rientro a metà 2010, infatti, Tursunov aveva inanellato una serie di sconfitte brucianti: Gimeno-Traver, Ilhan, Peya, Kravchuk. Primi segnali di vita a Tokyo a fine 2010, ma il ranking in un anno era peggiorato di oltre 100 posizioni e recitava impietoso 262. La semifinale di San Pietroburgo ha inaspettatamente lanciato il moscovita, 29 anni tra un mese, verso un 2011 in netta ripresa: semifinali a Marsiglia (battendo Ljubicic e Melzer), qualche Challenger per metter fieno in cascinae il ritorno alla vittoria a ‘s-Hetogenbosch. Una serie di risultati di assestamento ha permesso a Tursunov di rientrare nei primi 40: non molti l’avrebbero previsto, vista l’età non verdissima e le sue caratteristiche di “mazzolatore”.
Storie che fa piacere sentire, quelle appena descritte, ma in alcuni casi i ritorni non sono proprio graditi. L’esempio classico è quello di Wayne Odesnik, americano ex numero 77 al mondo e finalista a Houston nel 2009. L’anno scorso gli vennero trovate in auto delle fiale contenenti somatotropina, un ormone della crescita, e venne squalificato per un anno. E’ tornato nel 2011, senza ranking e da reietto, attaccato da tanti colleghi. Tralasciando un giudizio sulla storia in sè visto che le decisioni spettano ai tribunali, va detto che Odesnik ha mostrato di avere quanto meno spalle larghissime: tralasciando qualche Future (e neanche tutti, visto che a Palm Coast ha dovuto giocare dieci match) nessuno ha ovviamente speso una wild card per lui e per arrivare all’attuale posizione 129, frutto di buoni risultati nei Challenger, si è dovuto districare nella giungla delle qualificazioni. Un’odissea meritata, verrebbe da dire, anche se a volte bisognerebbe fare attenzione: le polemiche sulla sua partecipazione a Washington, infatti, erano abbastanza ridicole considerando che è entrato come lucky loser per sorteggio.
Altro giro, altra corsa, stavolta parliamo di uno che col tennis aveva detto basta. Jean Renè Lisnard, il miglior tennista monegasco della storia (anche se è nativo di Cannes) non calcava i campi dal 2009 e, visti i suoi 32 anni, pareva ormai in archivio. Invece quest’anno ha ricominciato a giocare e pure con buon profitto. Niente di paragonabile al best ranking del 2003 al numero 83, ma il numero 363 di fine stagione è d’eccezione, specie se accompagnato dall’impresa degli Us Open, dove ha passato le qualificazioni e un turno facendo fuori Olivier Rochus prima di arrendersi a Florian Mayer. Per non farsi mancare nulla Lisnard ha dato un contributo decisivo alla sorprendente vittoria in Grecia della sua squadra di Davis, battendo Jakupovic: Monaco è rimasta nel gruppo II, per una nazione così piccola non è poco.
Anche Alexander Waske si era ritirato, eppure la sua storia è diversa da quella di Lisnard. Sì, perché parliamo di un doppista. Come singolarista Waske era stato discreto (numero 89 al mondo) ma in doppio poteva vantare un best ranking al numero 16 e alcuni risultati di rilievo con i suoi principali partner, Pavel e Kohlmann. Col rumeno aveva raggiunto la semifinale al Roland Garros del 2006 e, un mese prima, col tedesco, aveva portato la squadra tedesca a un passo dalla World Team Championship con 4 vittorie su 4. Waske aveva giocato tre tornei nel 2008 e due nel 2009 ma, de facto, non giocava più con continuità dalla metà del 2007. E’ tornato dopo quattro anni e in sei mesi, a 36 anni, è arrivato vicino alla Top 100. Il partner? Quello di sempre, Kohlmann, anche lui ormai 37enne: hanno fatto finale a Bangkok, ennesima dimostrazione che per un doppio affiatato gli anni passano molto lentamente.
E l’Italia? Anche noi abbiamo avuto la nostra rentrèe. Un ritorno sotto silenzio, senza riflettori, in punta di piedi. Tuttavia quello che ha fatto nel 2011 Manuel Jorquera merita una citazione. Argentino di Bahia Blanca, passaporto italiano, tra i migliori prospetti della sua generazione, ha avuto la carriera pesantemente limitata da un grave incidente a 14 anni che gli ha fatto perdere una fase fondamentale per la formazione di un tennista. Come se non bastasse la sua carriera è stata costellata da vari infortuni. Così si è ritrovato con un bottino modesto: best ranking al 305, un paio di Futures in bacheca e una finale al Challenger di Samarcanda (battendo Dodig nei quarti). Due anni fa aveva mollato per un infortunio alla spalla e si pensava che, a 31 anni, fosse arrivata la parola “Fine”. Invece è tornato, con un ranking protetto, e si è disimpegnato benissimo nei Futures, arrivando tre volte ai quarti di finale e centrando la semifinale a settembre a Bolzano, quando ha fatto soffrire Bellotti. In quattro mesi è rientrato nei primi 800: chapeau.
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