In Giappone ancora non ci credono. Eppure il tabellone del Community Stadium di Brighton, Coppa del mondo di rugby 2015, lasciava spazio a pochi dubbi: i favoriti sudafricani, che nell’ambiente sono noti come gli “Springboks” (quelli di “Invictus”, il film di Clint Eastwood), avevano 32 punti; dall’altra parte c’erano i giapponesi, da sempre derisi in questo sport capace di esaltare il fisico più di ogni altro, che ne avevano messi a segno 34.
Ma la settimana miracolosa del Giappone non finiva lì perché il giorno dopo, nella lontana Colombia, un ragazzo di 22 anni alle prime esperienze in nazionale consegnava il punto della vittoria negli spareggi di Coppa Davis, ed ecco che viene la volta del tennis. Queste vittorie non possono essere messe a confronto ma danno l’idea di come questa nazione si stia aprendo sempre di più ad altri sport lontani dalle sue tradizioni (arti marziali in primis).
Per chi frequenta i circoli delle province italiane, non dev’essere nuovo sentire il nome di Taro Daniel. Probabilmente lo ricorderà il pubblico del challenger “Roma Open 2014”, tutto pronto per accogliere la promessa di casa Quinzi, salvo poi dover accettare una sconfitta in tre set proprio per mano di questo tennista dagli occhi a mandorla, mentre il giorno dopo è toccato all’esperto Potito Starace racimolare la miseria di 5 giochi contro di lui. Oppure possiamo chiedere al pubblico del challenger di Vercelli, territorio dove il giovane Daniel qualche mese fa ha vinto il primo torneo di questo circuito dopo una dura finale con Filippo Volandri, altro beniamino di casa.
Da noi non è passato inosservato, nonostante il pregiudizio che vede i tennisti asiatici da sempre ostili alle lente superfici terraiole dei challenger europei.
Ed è qui che scatta l’anomalia: Taro Daniel oltre che essere nato da padre americano e madre giapponese, ha un’estrazione tennistica mista tra Giappone (luogo in cui è vissuto fino ai 14 anni) e Spagna, precisamente Valencia, la meta scelta dalla sua famiglia per far crescere il suo tennis e quello della sorella Kana (due anni più giovane, top 800 WTA). Una decisione in controtendenza rispetto a quella presa dalla maggiori parte dei tennisti asiatici, che appena fanno vedere sprazzi di talento attraversano subito il Pacifico per diventare professionisti negli Stati Uniti (la punta di diamante Nishikori è un prodotto della Bollettieri Academy).
In Europa si sviluppa la vena terraiola di Daniel: tanti futures in Spagna nei primi anni di professionismo ed un lavoro graduale per plasmare il suo tennis, ma soprattutto la mentalità necessaria per non soffrire il salto di categoria. Dal 2010 ad oggi ha migliorato costantemente il suo ranking al punto di arrivare alle porte dei primi 100 del mondo a metà agosto: ad ogni buon risultato sono seguite le conferme e poi i gradini successivi senza mai fallire.
Fino a due anni fa alternava i futures (4 tornei vinti) e i challenger con diversi risultati di rilievo: nel suo primo torneo da professionista giocato in casa, l’edizione 2012 del challenger di Yokohama, riuscì a battere il connazionale Tatsuma Ito (numero 66 del mondo) e arrivare fino alle semifinali, un anno più tardi arrivò anche la prima finale challenger in Corea del Sud persa contro l’americano Klahn: riuscì a chiudere la stagione nei primi 250 del mondo.
Con il mondo dei futures ormai alle spalle, il 2014 di Daniel doveva essere necessariamente proiettato verso il circuito maggiore: quarti di finale nell’ATP 250 di Vina del Mar (parte dalle qualificazioni e batte Bellucci e Delbonis), un risultato che varrà la sua prima convocazione in Coppa Davis in un match di World Group contro la Repubblica Ceca. Poi arriva anche la qualificazione nel 250 di Oeiras, il primo match giocato in un torneo dello Slam dopo aver brillantemente passato le qualificazioni dello US Open e la finale nel challenger di Siviglia.
Nel suo percorso di crescita non ci sono risultati roboanti che permettono balzi notevoli in classifica, ma delle tracce lasciate qua e là che settimana dopo settimana lasciano immaginare quello che succederà più avanti. Una crescita che unisce la costanza di un tipico terraiolo alla rapidità dei tennisti asiatici: Daniel è un difensore che copre alla grande tutto il campo e riesce ad adattarsi molto bene alle varie tipologie di avversario. Ancora tanto lavoro deve essere fatto con il suo fisico (troppo leggero per reggere una stagione intera nei top 100) e sul servizio: dall’alto del suo metro e novanta, infatti, sono ancora pochi i punti che riesce ad ottenere direttamente con la battuta, invece è notevole la capacità di leggere i match tipica di un veterano abituato a sudarsi ogni vittoria.
L’impresa portata a segno in Davis contro Alejandro Falla nasce soprattutto dall’abilità nello sfruttare l’unico calo avuto dall’avversario nel primo set (Daniel era sotto 5-2), vincere il tie-break e spostare l’inerzia dell’incontro verso di sé, nonostante la pioggia abbia aiutato ancora di più il padrone di casa. Chi aveva visto il match di venerdì contro Giraldo, perso in cinque set dal giapponese, poteva rendersi conto di quanto fosse rischioso arrivare al quinto match (su terra) contro un lottatore come Daniel. Anche qui, questa storia ha delle tracce che risalgono a quella prima convocazione in Davis di un anno e mezzo fa contro la Repubblica Ceca. Rosol-Daniel, quasi 200 posizioni di differenza e una pesantezza di palla totalmente a favore del tennista ceco: sembrava la ricetta per una sonora sconfitta e invece si trasformò in una battaglia (comunque persa) di cinque set.
Se prendiamo i risultati di questa stagione ci rendiamo conto di come siano una naturale evoluzione di quel 2014 privo di tornei vinti. Il gradino successivo ai piazzamenti nei challenger è stato raggiunto con la vittoria del challenger di Vercelli a cui sono seguite le qualificazioni in tanti tornei del circuito maggiore (Roland Garros, Montpellier, Casablanca, Amburgo) e il bis concesso nel challenger di Furth, forse la migliore settimana della sua carriera dopo quella appena conclusa. Per la vittoria del torneo tedesco, gli avversari sconfitti nelle ultime fasi sono stati Zeballos, Rola e Montanes: insieme contano 7 atp e 23 challenger vinti, ma a stupire sono i 15 games lasciati complessivamente da Daniel nei tre match.
Nonostante sia cresciuto lontano da casa, dopo la prestazione in Davis contro la Colombia, l’attenzione su di lui è cresciuta in maniera esponenziale. Il continente asiatico è affamato di tennis e il fenomeno-Nishikori ha contribuito ad elevare l’interesse verso questo sport. Nella “periferia” europea, Daniel ha trovato la sua giusta dimensione e, nonostante le prossime settimane siano proprio quelle dei tornei asiatici, il piccolo eroe giapponese ha scelto il challenger di Trnava e quello di Roma della prossima settimana per continuare la sua scalata verso i primi 100 del mondo. Un percorso che va in controtendenza con chi lo vorrebbe tra le wild card nel prossimo ATP 500 di Tokyo.
In Giappone amano Nishikori e si aspettano da lui almeno uno Slam nei prossimi anni, ma da questa settimana hanno capito che il talento allenato da Chang non è più solo: anche Taro Daniel sembra essere pronto per il salto di qualità definitivo che potrebbe arrivare già dal 2016; la personalità messa in campo in Colombia non può che portarlo lontano. Senza contare che con un 1995 come Nishioka nei primi 150 del mondo, neanche la Davis sembra un traguardo così irraggiungibile in futuro: d’altronde i giapponesi attendono una finale dal 1921. Se c’è da sognare, il rugby insegna.
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