di Alessandro Mastroluca
Un altro giro di giostra. E a questo punto verrebbe da chiedersi: how many times? Gianluigi Quinzi cambia ancora coach. Dopo solo un mese, Giancarlo Petrazzuolo ha lasciato l’incarico. “Avevo bisogno di capirne il carattere e la predisposizione al lavoro” ha spiegato nell’intervista concessa a Marco Caldara di Tennisbest. “In questo aspetto, purtroppo, ho riscontrato delle incompatibilità fra il suo e il mio modo di ragionare, di vedere certe cose. Ne ho parlato con lui, ci siamo confrontati e mi ha ascoltato, ma siamo troppo diversi. Quindi siamo giunti alla conclusione che per Gianluigi fosse meglio un allenatore in grado di gestire meglio alcune situazioni che a me risultavano troppo complicate”.
E’ una confessione che fa sorgere almeno due domande: quali sono queste situazioni? E, visti i coach già testati, scartati e allontanati, chi rimane ancora? Esiste il coach giusto per Gianluigi Quinzi?
Dalle parole di Petrazzuolo, che non ha voluto fornire ulteriori dettagli sulle “situazioni” di incompatibilità, si può presumere che la divergenza di vedute non fosse di natura tecnica. “La mia idea era quella di far vivere a Gianluigi partite e tornei come un percorso di crescita, lungo e impegnativo, da affrontare con serenità, e non come un esame” ha spiegato. E dal punto di vista del gioco, il percorso disegnato avrebbe dovuto vertere su una maggiore aggressività al servizio e con i colpi di inizio gioco, e su una maggiore libertà di manovrare lo scambio col dritto: i due colpi-base del suo gioco che lo stesso Gianluigi è sempre stato consapevole di dover affinare.
Non sarà che in queste “situazioni” abbia un qualche peso una famiglia molto coinvolta, sempre molto presente, senza sfociare nell’interferenza sul lavoro quotidiano dei coach, nella carriera di GQ? Non può essere del tutto un caso se, nell’anno più difficile, segnato dagli infortuni, dalla fatica di rispettare le aspettative, Quinzi abbia cambiato più allenatori del Palermo di Zamparini. In pochi mesi hanno lasciato lo storico Eduardo Medica, dopo quattro anni di collaborazione, Tomas Tenconi, Marc Gorriz (ex numero 88 del mondo e già coach di Haas, Giraldo e Falla), Federico Torresi e Mariano Monachesi.
E’ una questione antica, è un eterno ritorno per una carriera ancora giovane ma già scandita da troppi passaggi di tempo, da troppe deviazioni, da troppe ripartenze. Già all’inizio del 2011, papà Gianluca spiegava come mai si era interrotto nel 2009 il rapporto con Riccardo Piatti. “Da un po’, Gianluigi ha ricominciato a sorridere” raccontava a Vincenzo Martucci della Gazzetta dello Sport, “non ci stava a perdere per crescere e vincere domani, come voleva, in buona fede, Piatti”. E’ questione di priorità: far prevalere il bene del Gianluigi ragazzo oggi o inseguire il bene del Gianluigi tennista domani? La sensazione è che si sia scelta la prima opzione, nella convinzione che fosse causa e origine della seconda. Ma così, bisogna ammetterlo, non è stato. Non ancora.
L’addio di Petrazzuolo è un altro “break in the all”, un’altra crepa nella costruzione della fiducia di una promessa ancora non mantenuta. Una promessa dal carattere fortemente competitivo, che ha sempre odiato perdere e amato vincere già da piccolo, quando sfidava i ragazzi più grandi sui kart. Un giocatore che oggi avrebbe bisogno di porre il suo bene (e il suo male) al di sopra di se stesso come una legge, ma che sembra aver smarrito la strada per conoscere quale sia il proprio bene. Tanto oggi, quanto domani.
Gli elementi a disposizione consentono analisi. C’è un giovane giocatore dal carattere forte e dal grande potenziale, circondato da attese, circonfuso dalla luce di essere il grande campione che l’Italia ormai aspetta dai tempi di Panatta, e c’è un coach che ragiona su un orizzonte più lungo, sulla costruzione del giocatore, e del campione, che è operazione meno immediata, meno tangibile della vittoria in qualche torneo junior, seppur importante, in più.
Privilegiare il breve rispetto al lungo periodo è una scelta di campo che nel breve ha pagato. Ma come tutte le scelte, nel lungo periodo presenta il conto. E Quinzi, a due anni dal trionfo a Wimbledon junior, ha camminato mentre i coetanei che allora batteva hanno corso. Perché ogni cambio di coach è un rallentamento e un reindirizzamento nel percorso di crescita, e troppe svolte non fanno avanzare, nascondono la strada fino a renderla quasi indistinguibile. Anche la resa al terzo set contro Cipolla al Challenger di Milano, una resa più mentale che fisica, racconta di un giocatore che adesso recita a soggetto.
Di tempo ce n’è, ma comunque non così tanto. Perché l’età anagrafica è sempre dalla sua, ma tra infortuni e cambi di guida tecnica ha perso un anno e mezzo in un momento fondamentale nella crescita di ogni giocatore, nel momento in cui un tennista definisce la sua identità in campo. E il tempo per dare forma alla potenza, per dare sostanza alla forma, non è più così tanto. Non è più così tanto soprattutto perché si avvicini a realizzare le ambizioni che da sempre lo accompagnano. Tutti i discorsi, anche provocatori, interni ed esterni alla famiglia, su Quinzi top-20, Quinzi top-10, hanno plasmato le visioni, prodotto i comportamenti, creato le condizioni perché Gianluigi, giustamente puntando al massimo, tracciasse la sua strada.
Ora, davanti all’ennesimo vicolo cieco, all’ennesimo ritorno indietro, benché ancora solo alla soglia dei vent’anni, è arrivato il momento di chiedersi se quella strada portasse davvero dove avrebbe voluto arrivare. E se, dopo aver cercato stimoli nei nomi nuovi, con l’impazienza di chi ha bisogno di risultati subito per tornare a guardare l’orizzonte con spirito nuovo, non sia meglio tornare indietro, riannodare qualche filo e ripartire.
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