L’avevamo notato ad aprile nel box di Annika Beck durante il torneo di Stoccarda. Il collega Giulio Gasparin, inviato sul posto, mi aveva subito interpellato per riconoscere quel personaggio dal sapor mediorientale nell’angolo della tedesca. Ma sì, non c’erano dubbi, il coach della n.37 del mondo era proprio Francesco Aldi, palermitano classe 1981, un passato da tennista a ridosso dei primi cento, una carriera interrotta da troppi, ripetuti infortuni in un’età in cui tanti suoi colleghi sono invece all’apice della forma. Nei tre mesi di collaborazione con Francesco, Annika ha potuto migliorare il suo best ranking (ha iniziato la stagione da n. 58 e oggi è alla posizione n. 37), giocare in doppio a Stoccarda con Roberta Vinci e avere un assaggio di vita italiana sotto il sole di Palermo.
La voce calda, sicura, profondamente siciliana mi racconta con piacere della sua prima esperienza internazionale al fianco di una top player ed è felice come un bambino quando mi svela cosa gli riservi l’immediato futuro, questa volta in compagnia dell’amico e suo ex allenatore Francesco Cinà.
Allora Francesco, lavori ancora con Annika Beck? Come siete venuti in contatto?
No, non collaboriamo più. Sono venuto in contatto con lei attraverso il suo manager che mi ha chiamato inizialmente intorno a febbraio, chiedendomi di fare il coach full time. Per impegni che avevo già preso qui a Palermo non ho potuto dedicarmi a lei da subito, così ci siamo risentiti successivamente e abbiamo iniziato questa collaborazione part time. Lei è venuta qui a Palermo una settimana prima della Federation Cup, si è trovata molto bene e da lì abbiamo cominciato a programmare i tornei che poi abbiamo fatto insieme.
Raccontami un po’ del tuo percorso: quando hai pensato che il tuo futuro sarebbe stato da allenatore?
Purtroppo è stata una scelta quasi forzata perché nel 2011, dopo sei mesi fermo per via di una forte infiammazione cronica al gomito, avevo perso punti in classifica e a un certo punto non avevo più voglia di ricominciare da zero, in più avevo sempre dolore. Proprio durante questo infortunio sono entrato in contatto con Marco Cecchinato, pure lui di Palermo, e il passaggio è stato immediato perché subito dopo aver smesso ho cominciato a seguire lui per più di un anno. Poi ho seguito Omar Giacalone e il gruppo siciliano: con Omar ho fatto un buon lavoro per un anno e mezzo, l’ho portato alla soglia dei 300, poi anche lui ha deciso di fare un percorso diverso e quest’anno sta andando così così.
Come ti sei trovato ad allenare una ragazza dopo tanti anni in cui hai seguito uomini? Forse bisogna stare un pochino più attenti all’aspetto mentale-emotivo?
Sì, diciamo che le difficoltà con Annika erano anche di lingua, visto che era la mia prima esperienza a livello internazionale, e in più fino a quel momento avevo allenato solo uomini. A livello psicologico con le ragazze devi starci un pochino più dietro, bisogna parlare molto, creare un ottimo rapporto a tutti i livelli. Poi c’erano anche delle differenze di cultura, lei è tedesca… era una macchinetta sul lavoro, le piaceva tantissimo allenarsi e non ho avuto grossissime difficoltà con lei. L’ho seguita fino al Roland Garros, poi avevamo programmato altri tornei insieme ma lei purtroppo si è infortunata e ha saltato almeno tre tornei sull’erba. È andata direttamente a Wimbledon, lì in teoria sarei dovuto andare anche io ma essendo ancora un pochino infortunata ha preferito andare per conto suo. A quel punto mi ha chiesto di trasferirmi a Stoccarda definitivamente. Quello è stato il motivo che ci ha fatto interrompere il rapporto perché, sebbene sia stata una bellissima esperienza, è capitata purtroppo ad anno in corso, quando io avevo già preso l’impegno di aprire un’accademia a Palermo con Francesco Cinà. Quindi c’era questo progetto che stava nascendo e staccarmi adesso mi era veramente difficile. Se lei fosse venuta qui a Palermo avremmo potuto continuare tranquillamente, ma per una serie di motivi lei ha preferito chiamarmi a Stoccarda e questo è stato il freno alla collaborazione. Non volevo lasciare i ragazzi con cui avevo iniziato un certo tipo di lavoro.
Quindi nel tuo futuro c’è un’accademia con Francesco Cinà! Quando comincerete?
Inizieremo a settembre, si chiamerà Country Tennis Institute e avrà sede presso il Country Tennis Club Palermo. Lui ovviamente lavorerà sempre con Roberta Vinci, poi avremo altre ragazze che sia allenano già con noi, tra cui Federica Bilardo e altri ragazzi, un movimento nato e cresciuto qui a Palermo. Adesso se penso alla mia carriera da allenatore il mio primo pensiero è questo nuovo progetto con Francesco, questo è lo stimolo più grande che mi sta arrivando oggi, sono davvero molto carico!
A chi ti ispiri come coach?
Sicuramente a Francesco. Anche se cerco di prendere un pochettino da tutte le persone che mi hanno trasmesso qualcosa. Tra l’altro Francesco è stato anche il mio allenatore per 5 anni e adesso è meraviglioso poterci lavorare insieme, sono davvero molto contento di questo.
L’anno scorso Francesco Elia mi disse che: ”L’obiettivo di un allenatore non è plasmare un allievo a sua immagine e somiglianza ma fare in modo che la persona riesca a tirar fuori il meglio di sé in considerazione di quella che è la sua identità di gioco”. Questa forse è la difficoltà più grande per un ex giocatore?
Ha detto una cosa giustissima perché il rischio è proprio quello di plasmarli in base alla tua esperienza: cioè solo per il fatto che se tu hai fatto una strada allora loro devono fare le tue stesse cose. Ognuno ha il suo carattere, ognuno è logicamente diverso per natura e la difficoltà sta proprio qui, nel gestire al meglio tutte queste variabili e capire come tirare fuori il meglio da ognuno di loro. Per esempio io in campo ero uno abbastanza calmo, razionale, silenzioso e per me questa era una cosa positiva, mentre invece un’altra persona ha bisogno di qualcos’altro, magari di innervosirsi un pochino, bisogna capire se una cosa va bene per il singolo oppure no. Credo che la cosa più difficile per un allenatore sia staccarsi dal suo passato di giocatore e non rendere i propri allievi delle repliche di sé stesso.
Il tuo nome si è risentito durante il torneo di Halle, quando Seppi ha battuto Ferrer interrompendo la striscia delle 38 vittorie contro italiani da parte dello spagnolo che era cominciata proprio con te nel 2005, l’anno del tuo best ranking. Qual è il tuo ricordo più bello da tennista?
Senza dubbio quella partita me la ricordo molto bene, anzi è sicuramente la più bella partita che abbia mai giocato, perché avvenuta in casa mia a Palermo dopo una serie di anni in cui provavo a giocare in quel torneo e non riuscivo a superare un turno. Poi ci sono stati tantissimi momenti belli come la vittoria nel torneo challenger di Sanremo, dove ho battuto Fabio Fognini in finale, perché arrivava dopo un anno di difficoltà in cui avevo perso tantissimi posti in classifica, da 130 a 600, a causa di un infortunio alla spalla. Lì con una wild card che mi diedero gli organizzatori sono riuscito a vincere il torneo. Questi sono i primi due ricordi belli che mi vengono in mente della mia carriera da tennista.
Visto che in passato hai seguito Marco Cecchinato, pochi giorni fa è stato squalificato per 18 mesi per aver scommesso sull’esito di alcune partite e aver alterato un match, vuoi commentare la vicenda?
Voglio dire solo che mi dispiace tanto, perché lo conosco benissimo, abbiamo lavorato bene insieme, avevamo un bel rapporto professionale e umano. Non ho idea di come siano andate realmente le cose, posso dire solo che mi dispiace tantissimo.
In questi giorni fioccano le rinunce ai Giochi Olimpici per svariati motivi: Berdych, Halep, Raonic, Gasquet… mentre ci sono altri giocatori come Nadal o Federer che si sono cancellati dalla Rogers Cup per preservare energie. Cosa pensi del tennis come disciplina olimpica e com’è percepito questo impegno dai tennisti?
Io credo che per uno sportivo una medaglia olimpica sia l’apice della propria carriera, una cosa bellissima, punto. Ovvio, ci sono sportivi come Federer che sono, ma con lui non si può mai dire, a fine carriera e che se lo prefiggono come obiettivo irrinunciabile; altri invece che optano per fare altre cose, magari sono giovani e avranno più tempo e per il momento mettono i Giochi Olimpici in secondo piano. Tutto poi è soggettivo, di sicuro un giocatore giovane in ascesa che non è ancora al vertice dei primi 20-30 può pensare di più alla classifica in questo momento, quindi si programma diversamente; andare alle Olimpiadi per un tennista vuol dire modificare la programmazione dei tornei nei mesi precedenti, non è questione di saltare solo quelle due settimane, quindi posso pensare che un tennista giovane arrivi al compromesso di dire intanto penso ad andare avanti in classifica, tanto alle Olimpiadi ci potrò andare più avanti. Però in gioco c’è sempre una medaglia olimpica… e non è forse questo, in fondo, il sogno di qualsiasi sportivo?
Leggi anche:
- None Found