Calcio o tennis? Tennis o calcio? Deve essersela ripetuta spesso, Federico Mattiello, questa domanda. Ne parlava anche con me della durissima scelta che, prima o poi, avrebbe dovuto fare, smettendo di praticare uno dei due sport che amava per dedicarsi a tempo pieno all’altro.
Conobbi Federico al torneo internazionale di Maglie 2007, quando, oltre all’età, ci accomunava la grande passione per il pallone. La sorte, rappresentata dal grande giudice arbitro Guastavino, ci fece affrontare al primo turno del tabellone principale in una partita che difficilmente potrò mai dimenticare. Quel giorno ebbi la sensazione di sfidare un formidabile atleta dalle straordinarie doti fisiche, ma la cosa che più mi colpì fu la sua voglia di mettere in campo qualunque risorsa pur di non perdere. Mattiello era (ed è) un giocatore che, una volta puntato l’obiettivo, deve raggiungerlo a tutti i costi. Credo che la sciagurata entrata che gli ha procurato il terribile infortunio durante Chievo – Roma sia giustificabile così, e, purtroppo, se in queste circostanze ti imbatti in un altro osso duro come Nainggolan rischi di avere la peggio. Federico odia perdere, che sia un incontro o un pallone vagante, e stavolta è andata male.
Nella sua stagione migliore (si parla ancora di tennis), ottenne grandi risultati, dimostrandosi all’altezza dei più forti d’Italia fino a conquistare la maglia azzurra. La seconda volta che lo sfidai rimontò da 6/3 4/3 in mio favore dando prova di infinito orgoglio e carattere, lo stesso messo in campo pochi mesi fa nella sua seconda apparizione con la maglia della Juve, all’Olimpico contro la Lazio, quando andò vicino al primo gol in Serie A.
Nel 2008 venimmo convocati ad un raduno al Centro Tecnico di Tirrenia. Al termine di un allenamento, io, lui ed altri due nostri coetanei ci sedemmo a parlare dei match da noi disputati negli ultimi mesi, facendo analisi piuttosto discutibili. Lui no. Federico esitava a dare giudizi, era in grado di spiegare in modo “maturo” le dinamiche delle sue partite ed esprimeva opinioni correttamente motivate. Stava “avanti”.
A calcio giocava esterno offensivo, proprio come me, e il pallone era un fattore tanto presente nelle sue giornate quanto la racchetta. L’ultimo giorno del raduno organizzammo una partita di calcetto sul campo dove si allena il Livorno Calcio: mai visto un tredicenne con la sua progressione palla al piede in vita mia. Ogni volta che prendeva palla, Mattiello si allargava ed arrivava sempre, e dico sempre, alla fine del campo per metterla in mezzo. Destro o sinistro cambiava poco, in area arrivavano cross tesi a ripetizione che dovevi solo appoggiare in porta. Con quelle gambe sarebbe potuto diventare tranquillamente un campione di atletica leggera.
Trascorsa qualche settimana, mi dissero che si era fatto male e che i tempi di recupero sarebbero stati lunghi. Non lo incontrai più, perché, una volta guarito, tornò solamente sui campi da calcio: aveva fatto la sua scelta, voleva diventare un grande calciatore. Nel 2009 la Juventus lo acquistò dalla Lucchese e da allora niente lo ha più fermato, venendo anche convocato per 16 volte nelle nazionali di categoria. Ho avuto modo di complimentarmi con lui dopo l’esordio in Serie A e l’umiltà delle sue parole mi rassicura sul fatto che diventerà un grandissimo.
Un infortunio non basta per sconfiggere un ragazzo tanto deciso, quindi Forza Fede, non mollare, e, come disse Muhammad Ali, “Dentro un ring o fuori, non c’è niente di male a cadere. È sbagliato rimanere a terra”.
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