di Sergio Pastena
Gli Slam sono davvero strani, a volte: alla vigilia, facendo i consueti pronostici, li tari sulle condizioni di forma delle atlete in quel momento e vedi che, all’apparenza, le gerarchia sembrano fatte. Il problema è che il traguardo è due settimane dopo, che nel tennis a volte sono un’era geologica.
Così, nel singolare femminile di questo Australian Open 2013, le gerarchie sono cambiate non una, ma due volte nel giro di due settimane. Prima della vigilia, infatti, il ruolo di favorita d’obbligo spettava a Serena Williams e, a seguire, c’era Agnieszka Radwanska, data in gran forma e pronta per il primo exploit serio della carriera. Ebbene, la polacca è stata l’unica a non arrivare in semifinale tra le prime quattro al mondo, mentre Serenona è stata fermata da una connazionale, la Stephens, su cui difficilmente qualcuno avrebbe scommesso un soldo bucato.
La prima settimana, invece, era stata tutta della Sharapova, che aveva praticamente decimato le avversarie lasciando loro la miserie di sette games nei primi quattro match, che comprendevano anche un confronto tutt’altro che tenero con Venus Williams. La russa sembrava volare verso la finale e la vittoria e, dopo l’uscita di Serena, nessuno sembrava poterla contrastare. In semifinale è uscita.
A sbarrarle la strada una cinese, Na Li, che forse prima degli Australian Open era esattamente nello stato di forma in cui un’atleta dovrebbe trovarsi alla vigilia di uno Slam: stava “cominciando a giocare bene”. Non stravinceva le partite, ma vinceva. Non dominava, ma era sicura. Et voilà, è arrivata nella seconda settimana nelle migliori condizioni possibili, giungendo fino in finale.
La cinese, tuttavia, è stata sfortunatissima: si è infortunata due volte alla caviglia nel corso del match e il torneo se l’è aggiudicato in tre set quella che, ranking alla mano, sarebbe dovuta essere la logica favorita della vigilia, ovvero Victoria Azarenka. Vika in finale ha sofferto, cedendo il primo set all’avversaria, ma nel complesso ha tirato giù uno slam da applausi, per giunta agevolata da un tabellone non tremendo.
Tanto di cappello e numero uno confermato.
E noi? Beh, le delusioni del singolare sono state ampiamente addolcite dal titolo in doppio della magnifica coppia Errani-Vinci, capace di battere in finale il duo australiano composto da Casey Dellacqua e dalla stellina Ashleigh Barty, che comunque hanno ben figurato. Il capolavoro, però, le italiane l’hanno compiuto nei quarti eliminando clamorosamente le sorelle Williams, che come sempre erano state relegate in modo miope a mine vaganti del tabellone. La conferma che Sarita e Roberta non solo dominano il doppio, ma riescono ancora a crescere. Più che applaudire non possiamo fare: le parole sono finite.
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