di Daniele Sforza
L’edizione 2015 di Wimbledon Junior ci aveva portato a raccontare del successo di Sofya Zhuk ma, nel farlo, ci era capitato di citare Anastasia Potapova, aggiungendo che magari avrebbe potuto rubarle la scena nel giro di un paio di anni. Ebbene ci eravamo sbagliati, perché ci ha messo meno. Infatti è bastata una stagione ad Anastasia Potapova (a sinistra), classe 2001, per conquistare il trofeo più prestigioso, quello di Wimbledon Juniores, battendo in finale un’altra giovane interessantissima come l’ucraina Dayana Yastremska (a destra), classe 2000.
Lo ha fatto nel modo più assurdo possibile, chiudendo al settimo match point dopo che sembrava aver vinto la contesa in almeno due altri casi. Sì, sembrava. Nel finale è successo di tutto (guardare per credere) perché l’arbitro dopo aver chiamato “in” due servizi vincenti della Potapova si è dovuto ricredere di fronte alle richieste (disperate o meno) di Hawk Eye della giovane Yastremska poiché in entrambi i casi i servizi della Potapova erano fuori di poco. Il settimo match point, per il 6-4 6-3, è quello buono e, dopo un lungo abbraccio con la sua avversaria (cosa che non si vede spesso, soprattutto nel femminile), Anastasia e tutta la Russia (secondo titolo consecutivo qui a Wimbledon) possono esultare.
Queste le parole di Anastasia in conferenza stampa dopo il successo: “è difficile descrivere le emozioni provate nel finale. La prima volta ero convinta di aver vinto e quando ho sentito lei chiedere Hawk Eye e vedere che aveva ragione, quasi non volevo crederci, poi ho anche annullato la palla break e infine, ho visto la stessa situazione ripetersi e ancora non potevo crederci. Sul terzo match point ero davvero concentrata per raggiungere quella vittoria”.
Nata a Saratov, città della Russia europea e porto sul corso del fiume Volga, la 15enne russa si è presto spostata a Mosca per allenarsi nell’accademia di Alexander Ostrovsky dove si allena in particolare sotto la supervisione di Irina Doronina, ex tennista. Dal giorno in cui sua nonna l’ha portata a provare questo sport sono passati 10 anni ma la passione e l’amore per il tennis è stato dall’inizio forte ed è questo il motivo principale per cui Anastasia, nata da una famiglia di sportivi visto che sua madre era una pallavolista e suo nonno un giocatore di basket, non hai mai smesso di continuare a regalarsi emozioni e soddisfazioni sul campo. E in questa famiglia si aggiunge anche una papera, di nome Vita. Una Vita lasciata un po’ in disparte (difficile portarla ai tornei) per seguire una vita più importante, quella da tennista.
Lo scorso anno Anastasia affermava di voler entrare nella top 10 under 18, ora è semplicemente numero 1, a 15 anni e 3 mesi, dopo che ha ottenuto, negli anni passati, questo risultato negli under 14 e negli under 16 (vincendo i tornei più prestigiosi). Pensate solo che in questo 2016 non ha mai perso prima di quarti di finale o semifinali e quando ha perso lo ha fatto solo contro le più forti. E pensare che lei dice di preferire giocare su terra quando invece è probabilmente più immaginabile vederla fare bene, con quel rovescio a due mani che è semplicemente un capolavoro, su un campo veloce, magari su erba dove ha demolito le avversarie (oltre Wimbledon, dove ha perso un solo set, la russa si è aggiudicata anche Roehampton) o sul cemento, dove a questo punto diventa la favorita per gli Us Open Juniores. E in questo anno di Olimpiadi, il suo pensiero va anche a Tokyo 2020 dove vorrebbe rappresentare la sua Russia magari insieme a quella Maria Sharapova, suo idolo, che ora è costretta a restare lontana dai campi da gioco a seguito della squalifica. Per il momento i tornei Pro giocati sono solo 4 (di cui segnaliamo solo un quarto di finale in un $10.000) ma in questi 4 anni, viste le potenzialità, potrebbero cambiare davvero tante cose e chissà che il suo sogno non si avveri già nel 2020.
Ora provate ad osservare il viso di Anastasia quando chiede la pallina al ball boy per servire subito dopo il primo o il secondo Hawk Eye chiamato dalla sua avversaria. In quello sguardo, si può vedere tutta la differenza tra un campione e un giocatore normale.
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