Di Giulio Gasparin
Gloria Pizzichini è una donna forte e non bisogna farsi ingannare dall’altezza minuta e dal sorriso che le si vede quando scherza con i suoi bimbi della scuola tennis. Una carriera passata a combattere contro leggende del tennis femminile, ma soprattutto contro un fato avverso e tantissimi infortuni gravissimi, l’hanno resa capace di decisioni difficili, determinata e soprattutto chiara nelle proprie posizioni. Dopo aver tentato (con apprezzabili risultati) di sistemare il mio disastroso dritto, la ragazza di Osimo si è concessa ad una lunga chiacchierata in cui si è parlato un po’ di tutto, dalla stupenda vittoria al torneo WTA di Bol (quest’anno rientrato in calendario seppur nel circuito $125k), alla sua visione del tennis moderno rispetto a quello di un ventennio fa, dal momento attuale del tennis italiano alla transizione tra junior e pro, in cui non poteva mancare un riferimento a Gianluigi Quinzi.
Cominciamo con una domanda semplice, ad oggi, cosa fai e dove ti trovi nel mondo?
Dopo tre anni di scuola tennis a Cordenons, all’Eurosporting, ho deciso di trasferirmi ad Imperia, dove ho cominciato da poco a lavorare. Sono un po’ triste perché comunque il fatto di aver deciso di andar via non significa che non si lasci qualcosa di bello che si è instaurato con qualcuno dei miei allievi un po’ di ogni età, con i genitori e tanto altro. Diciamo che, comunque, quanto decidi di cambiare o sei una persona a cui non frega di niente e quindi te ne vai a cuor leggero, oppure, se sei una persona che ci tiene, sai che ti lasci dietro dei rapporti umani costruiti e rafforzati nel tempo. Però insomma, so che i miei allievi sanno che possono sempre contattarmi se hanno bisogno o vogliono sentirmi, perché come dico sempre, il lavoro può finire, ma i rapporti umani vanno avanti.
E ora?
Come ti dicevo, dal primo di luglio ho iniziato a lavorare al Circolo Tennis Imperia, ovvero dall’altra parte, vicino alla Francia! Non era in preventivo l’andare lì, non c’erano contatti né nulla, ma poi nel giro di 20 giorni abbiamo definito la cosa e sono contenta di andare in un posto, innanzitutto sul mare, perché io sono nata e cresciuta sul mare quindi sono contenta di tornarci, anche se non è il mio. Poi mi piace il posto e le persone, nonché il progetto e il fatto che mi hanno cercato e voluta, facendo grossi sacrifici per avermi, perché non vado a rimpiazzare un maestro, ma sono un’aggiunta. Mi piace che ci sia una divisione delle responsabilità della scuola tennis e mi fa piacere che sia così, vicino al maestro storico che hanno lì.
Parliamo un po’ di te, come ti sei avvicinata al tennis?
Io ho avuto mio papà che era lo sportivo di casa: noi siamo fratelli e sorelle tutti di età simile, mentre mia mamma era l’antisport per eccellenza, quindi di certo lo stimolo non è arrivato da lei! Sostanzialmente dove abitavo io, ad Osimo, 35 anni fa c’erano solo due sport che andavano, non era come oggi che c’è una scelta maggiore e molti ragazzini fanno due o addirittura tre sport. A quel tempo se ne facevi uno era già tanto, quindi io potevo scegliere tra il karate o il tennis. Un giorno, papà ci porta a vedere karate e stanno dando una lezione di cintura nera: vediamo questi che si danno certe randellate che noi, che avevamo 6-7 anni, ci giriamo e diciamo “no, no, no, papà! Facciamo tennis!” Non avevamo nemmeno mai visto il tennis, ma avevamo già deciso. Poi io ho continuato e da lì è iniziata la mia storia nel tennis.
Come avrai visto, quest’anno si è tornato a giocare il torneo WTA di Bol e quest’anno sono 20 anni dalla tua vittoria lì…
Avevo visto qualcosa… Il torneo è un torneo che merita perché l’organizzatore è uno che ci ha sempre investito e creduto, tanto che, essendo lui anche il proprietario di due alberghi oltre che del circolo, ha sempre dato l’ospitalità anche quando di fatto poteva anche non farlo. Poi comunque dobbiamo pensare che ha fatto tutto questo anche dopo la guerra e ora sono tornati a farlo, pur essendo lontani da grandi centri e quindi non è facile trovare sponsor. Sai, quello per me è stato un torneo incredibile. Ricordo di esser partita con una bagnarola da Ancona, dove mi allenavo e poi un altro traghetto da Spalato a Bol. Io ero partita per giocare le qualificazioni e ricordo bene che erano gli anni in cui ancora c’era la guerra nei Balcani, tanto che l’ultima ad aver vinto il torneo era stata Sandra Cecchini e poi l’hanno ripreso nel 1996, dopo una pausa di 5 anni. Insomma, arrivo lì ed il direttore del torneo mi dice che sono entrata in tabellone, per cui per due e tre giorni mi alleno e vedo che c’è anche Iva Majoli, numero 4 del mondo e che l’anno dopo avrebbe vinto il Roland Garros. Comincio a giocare il torneo e mi sento di giocare bene, anche perché venivo da un periodo positivo con un titolo ed una finale in $50k, e arrivata ai quarti mi trovo proprio la Majoli. Al terzo set vinco giocando sempre meglio e anche lei in conferenza stampa ha detto che avevo meritato io e conoscendola anche fuori dal campo so che avrebbe detto la verità se non fosse stato così. Poi in semifinale ho battuto proprio la Cecchini ed in finale ho battuto di nuovo un’altra croata, giocando divinamente e nonostante fossi in Croazia contro una croata tante volte tutti si alzavano in piedi ad applaudire per alcuni punti. Quindi per me è stata un’esperienza incredibile perché è stato l’unico torneo che ho vinto e da lì poi sono entrata tra le prime 60 del mondo, chiudendo l’anno 40.
Da lì però è iniziato un calvario di infortuni e problemi, che ricordo ne hai e come ti hanno segnato?
Sì, è vero, da lì è stato tutto molto difficile, fino a quando ho subito un grave incidente in cui ho rischiato la vita: ho preso una buca di 30cm in moto a velocità abbastanza elevata, tanto che dalla buca a dove mi hanno poi trovata c’erano circa un centinaio di metri. Lì, fondamentalmente, è finita la mia carriera: sono seguiti due anni di calvario, mi si era aperto un piede in due e mi sono dovuta operare diverse volte, poi c’è stata un’infezione… un disastro. Ho ripreso a 29 anni, mi sono allenata e ho giocato il mio ultimo anno, ma mi sono accorta di non essere più competitiva, non tanto fisicamente, anche se ho un 20% di invalidità permanente al piede, non lo ero più a livello mentale: lo stare lontano dalle competizioni dopo due anni non è facile. Certo ci sono atleti che ce l’hanno fatta, che sono tornati a livelli altissimi dopo infortuni terribili, lunghi stop o maternità, vedi Kim Cljisters, ma ci sono tanti atleti che come me non ce l’hanno fatta a rientrare, perché la testa non è più lì e nemmeno a fine dell’anno del mio rientro ho scelto di lasciare l’attività ed iniziare a lavorare.
Hai lavorato in diversi circoli e scuole tennis, sei stata vicina ad una tennista di alto livello come Alberta Brianti, ma mai come allenatrice full-time. Se un domani ti chiamassero per seguire un ragazzo o una ragazza nel circuito lo faresti?
Allora, sì, lo farei, però ci deve essere un atleta in cui veda le potenzialità di crescita e miglioramento, ma deve anche essere una persona che mi piace, perché non potrei girare con qualcuno per cui non ho stima e rispetto. Non vuol dire che dobbiamo andare d’amore e d’accordo, però deve esserci una connessione caratteriale e deve essere reciproca perché si possa passare così tanto tempo assieme e soprattutto lavorare bene. Non è come andare a timbrare il cartellino: se non c’è una reciproca intesa non si può lavorare. Però so che è una cosa complicata, perché vuol dire seguire una persona e quella deve spendere moltissimo per poter pagare un allenatore e tutte le spese per averlo sempre dietro, per cui o sei molto forte o hai una famiglia dietro che può permetterselo.
Tu sei stata coinvolta nel tennis per molti anni, avendo giocato in un momento d’oro per il tennis femminile come gli anni 90. Cosa pensi sia cambiato da allora ad oggi?
Quello che vedo è che si è andato molto a discapito della qualità di gioco: quando ero numero 40 del mondo e prendevo le prime 100 del mondo, 30 giocavano bene e 20 molto bene, oggi se arriviamo a 5 è tanto. Penso che sia dovuto anche al fatto che quando giocavo io si contava la media dei tuoi punteggi, mentre oggi è la somma dei migliori, per cui puoi fare anche tanti primi turni e rimanere comunque lì, quindi si paga di più l’exploit della continuità. Nel mentre poi tutto è evoluto: palle, corde, racchette; per cui ora la palla cammina molto di più, direi un 30% di più rispetto a 20 anni fa. Ma questa evoluzione è andata a discapito della qualità del gioco e del fisico: ora gli atleti si fanno molto più male, perché si gioca tanto e la preparazione atletica è ovviamente esasperata perché bisogna gestire queste palle più pesanti. Questo escludendo il doping, che c’è dappertutto e secondo me è aumentato anche nel tennis, perché è vero che sono migliorate le tecniche e gli studi degli allenamenti, ma alcuni di questi giocano 30 tornei, sempre come delle bestie, mentre io ricordo che quando facevo due tornei di fila e arrivavo in fondo ero morta. Comunque anche non fosse, il problema è che è saltata l’idea di fare un paio di tornei e poi allenarsi e cominciare un nuovo ciclo, oggi è tutto un continuo e quindi si spingono i fisici di questi atleti oltre i loro limiti e alla fine si rompono.
Purtroppo poi si tirano solo randellate e a guardare la didattica di molti miei colleghi vedo solo quello: quintalate di dritto-rovescio a 200km/h e via. Ovvio che non è così per tutti, però alla fine anche in televisione non sono più in molti quelli che mi diverto a veder giocare: c’è Federer, la Vinci, la Kvitova un po’, c’era la Henin, la Halep un pochino… però di belle mani ne vedi poche, purtroppo e penso che sia anche per come si insegna. Ad esempio a me ogni tanto arrivano ragazzini a 13-14 anni che hanno già una buona classifica nazionale e non sanno fare una volée, hanno il servizio con l’impugnatura sbagliata…
Io forse ho avuto la fortuna di imparare da un bravo maestro, ma la mia idea è che prima impari a fare tutto e poi capisci quali sono le cose che sono più importanti per il tuo gioco e le tue attitudini, ma prima bisogna imparare a fare anche quanto non è naturalmente tuo: back, smorzate, volée etc. Io in questo sono stata fortunata, però da quello che vedo, oggi non è così.
Ma secondo te c’è spazio per il tennis “all’antica” per essere efficace nel tennis di forza di oggi?
Penso proprio di sì, ma non è facile ed innanzitutto devi avere qualità sotto mano: quando vedi una ragazzina a 15 anni lo vedi se ce le ha o no. Ad esempio in Roberta Vinci le vedevi, anche se era sovrappeso e non vinceva una partita, perché giocava bene e avevi solo bisogno di inquadrarla. Stesso discorso per Flavia Pennetta, a cui a 17 anni dicevo: “vedi di capire bene quando attaccare e quando giocare più in difesa, che c’hai le potenzialità per diventare numero 10 del mondo”, e lei quasi mi rideva dietro. Però sono cose che vedi, lei l’ha capito e ci è arrivata. Quindi sì, devi trovare qualcuno che le potenzialità per fare quel tipo di gioco ce le ha e poi lavorarci sopra e plasmarle. È chiaro però che se alleni solo alla ricerca della potenza e della velocità è difficile fare un discorso del genere, un po’ come il padre della Giorgi, non so se la figlia sente la palla, e dal di fuori sembra più no che sì. Ovvio che non tutti hanno la mano di Roberta, però se c’è un po’ di sensibilità bisogna lavorarci sopra e questo non si può fare lavorando come fanno la maggior parte dei maestri oggi.
Ultimamente si parla tanto del futuro del tennis italiano, specie dopo i risultati poco esaltanti di quella che da sempre è la superficie di punta, ovvero la terra rossa. Tu cosa ne pensi?
Penso che ci siano più cose da dire: siamo stati abituati negli ultimi anni a vedere grandissime cose, specie da parte delle donne, però parliamo di Pennetta, Schiavone, Vinci, Errani… sono tutte ragazze che sono uscite da buone annate e poi sono sono diventate fantastiche. C’è anche da dire che molte di loro sono uscite dall’Italia per formarsi, ma comunque sono maturate al meglio. Ora questo ciclo sta per finire: Schiavone per me, con tutto il rispetto per quello che ha fatto, è come se non giocasse e non ha senso quello che sta facendo, però va beh; Flavia si è ritirata; Roberta ha iniziato l’anno bene, però anche lei siamo verso la fine, nel senso che può fare ancora buone cose però non è il futuro; per la Errani è un discorso diverso perché c’è un momento di crisi di fiducia e di problemi fisici… però ormai siamo a fine ciclo e comunque per ognuna di loro c’è una storia diversa e va analizzata. Il discorso non va comunque fatto sui singoli, ma sul movimento e tolte loro è difficile: la Giorgi per quello che ha detto e quello che sta facendo non la voglio neanche nominare, però dietro non c’è niente. Se vai a vedere il tabellone delle prequali di Roma, c’è il vuoto. Io ho seguito per un breve periodo la Caregaro e le voglio un sacco bene, ma a 23 anni è ancora 250 del mondo ed era super promettente, ha vinto il Lambertenghi e tanto, però è ancora lì: non è che a 17 anni devi essere nelle prime 100 nel mondo, però non si può aspettare per sempre e ora dietro al vertice c’è questa situazione qui.
Comunque la FIT ora sta facendo qualcosa che ritengo molto positiva, ovvero il progetto over 18. Penso sia una cosa ottima perché non si può mollare queste ragazze appena fanno i primi passi nel tour, però anche lì ci sono cose da rivedere, con i maestri che sono a volte part-time, a volte no, non vanno a tutti i tornei, poi anche Tirrenia: alcune ci vanno, altre solo un po’…. poi non tutti i maestri ci vogliono stare per 8 mesi all’anno, per cui non vogliono accettare contratti a tempo determinato come vorrebbe Binaghi, ma preferiscono altri tipi di contratto. Purtroppo, per me, ad oggi se uno è bravo e può farlo, gli conviene ancora allenarsi privatamente, sennò non ne esce. Comunque il fatto è che per anni ora avremo un bel buco e guardando dietro, anche il gioco che esprimono, non ce n’è una che puoi dire che non può non arrivare. Guardando il tabellone delle prequali non metterei la mano sul fuoco per nessuna che tra le prime 100 del mondo ci arrivi. Qualcuna gioca bene, ovvio, e mi auguro con tutto il cuore che ce la facciano a salire e togliersi qualche soddisfazione, ma penso sia impossibile che nel prossimo futuro venga rifatto qualcosa di lontanamente simile agli ultimi anni. Certo, il tennis è cambiato ed è più competitivo anche nelle retrovie, con questo nuovo tennis io non entrerei tra le prime 100 del mondo a 17 anni, non è fattibile, ma a 20 penso proprio di sì. Il fatto è che se vuoi fare un tipo di carriera, comunque a 20 anni se sei ancora 2-300 del mondo comunque sei in rimessa, quindi o hai la federazione dietro o una famiglia che può permettersi di mandarti in giro.
Hai parlato del gruppo storico di Fed Cup, ma di Camila Giorgi cosa pensi?
Sui Giorgi non voglio esprimermi perché non mi piacciono le dichiarazioni che hanno fatto e come si sono mossi. Poi ognuno fa come vuole e rispetto le scelte e le opinioni di tutti, però io non la vedo come una che può fare il salto di qualità ora in queste condizioni. L’unica opzione che ha è quella di allontanare il padre ed usare la sua testa, solo così si può vedere se c’è qualcosa in più dell’entrare in campo e tirare a 200km/h. È evidente che è brava, perché se è stata 30 del mondo, scarsa non è, però ripeto a me non piace che chi dice di no alle chiamate in nazionale, specie se in maniera non giustificata: la Vinci quando ha detto di no era perché dopo aver sempre dato la sua disponibilità ha voluto poi puntare su un torneo che ha poi vinto. Comunque di principio per me non vanno rifiutate le chiamate in azzurro. Poi ovvio, io sono un ex-giocatrice e ora maestra, quindi sostanzialmente il mio pensiero non conta nulla, però posso comunque dare un mio parere.
Tu sei stata anche una promettente junior, a 16 anni raggiungesti i quarti del RG junior. Come valuti la transizione da quel punto al circuito pro?
Anche qui c’è da fare una differenziazione sui singoli soggetti: ad esempio prendiamo Zverev che appena uscito è arrivato subito top 50, segno che è fortissimo. In passato ci sono stati altri tipo Pistolesi che da numero 1 al mondo under 18, l’anno dopo era top 30. Prendiamo Quinzi e siamo al delirio. Il punto quindi non è la transizione di sé e per sé, ma è il singolo atleta: però non è così sorprendente, perché anche quando perdeva alcune partite, Zverev vedevi che gli mancava poco per essere pronto. Quando Quinzi ha vinto Wimbledon io comunque avevo i miei dubbi. Ci mettiamo che poi comunque non ha la testa da tennista professionista e purtroppo i dubbi che avevo quando vinceva da junior si sono confermati.
Quindi non è la transizione a livello di gioco tra i due circuiti a fare la differenza, ma il modo in cui i ragazzi e le ragazze arrivano a fine del ciclo da junior con la testa. Diciamo che quando hai occhio queste cose le vedi ed è difficile sbagliare, perché vedi al di là della velocità di palla e della tecnica proprio la personalità che viene portata in campo, quella con cui capisci che, anche se lo metti con il numero 50 del mondo, lui fa partita. L’idea nel vedere Quinzi è che con i primi 50 non ce la fa ed infatti è ancora 300 del mondo, se è ancora 300 del mondo.
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