Erano trascorsi ben tre lustri dall’ultima (e unica, nell’era moderna) volta in cui una nazione aveva conquistato l’insalatiera d’argento disputando tutti gli incontri in trasferta. C’era riuscita la Francia di capitan Forget in quel 2001 culminato con il capolavoro di Melbourne, laddove nemmeno l’erba stesa dentro l’arena di Flinders Park riuscì ad impedire a Nicolas Escude di divenire eroe nazionale per un week-end e trascinare la sua squadra al successo.
Quindici anni dopo, nello stato in cui la popolazione quechua ha chiamato pampas le sue vaste e fertili pianure, si poteva dare il via alla festa che metteva la parola fine al lungo inseguimento. La consacrazione, solo sfiorata con la mancata – e invero assai discussa – conquista della vetta del ranking mondiale da parte del figliol prodigo Guillermo Vilas, era arrivata al termine di quattro viaggi transoceanici con destinazione Europa: Danzica, Pesaro, Glasgow e infine Zagabria per una Coppa Davis che Daniel Orsanic aveva frequentato una sola volta e con poca fortuna da giocatore (perdendo un doppio nel ’99 contro l’Ecuador in coppia con Lucas Arnold Ker, sì quello che ha battezzato la carriera ufficiale di Roger Federer) mentre da capitano era riuscito a dare concretezza al concetto di squadra. Nella stagione della rinascita di Del Potro, anche Leonardo Mayer, Guido Pella e Federico Delbonis si erano rivelati fattori determinanti.
Quest’ultimo, sceso in campo sulla situazione di 2-2 contro “Ivone” Karlovic con un bilancio in carriera di 18 vinte e 40 perse sul duro, con i quindicimila sugli spalti pronti a trasformare l’avveniristica Arena Zagreb in un inferno croato, ebbene la vittima sacrificale Delbonis era stato glaciale e chirurgico nel disinnescare il gioco del gigante con risposte e passanti per regalarsi il momento più bello della sua vita sportiva e consentire all’Argentina di toccare il cielo del tennis con le dita dei suoi eroici portacolori.
IL PASSATO – Ciò che i suddetti avevano colto era stato fallito da loro illustri predecessori, che ben quattro volte si erano spinti fin lì per poi essere respinti. I primi a provarci erano stati Vilas e Clerc nel 1981 ma gli Stati Uniti se l’erano legata al dito la batosta di Buenos Aires dell’anno prima (4-1 con McEnroe sconfitto in entrambi i singolari) e per la finale di Cincinnati avevano scelto di stendere un tappeto sintetico dentro il Riverfront Coliseum, tristemente balzato agli onori della cronaca esattamente due anni e una settimana prima, quando undici persone erano morte sotto la calca della folla che spingeva per assistere al concerto degli Who. Quella volta Josè-Luis Clerc fece il massimo: sconfisse Tanner in tre set e portò McEnroe al quinto sia in doppio (con Vilas) che nel singolare decisivo, ma non bastò e fu 3-1 per i padroni di casa.
Nel primo decennio del Duemila, ci furono altre due opportunità. Persa la prima a Mosca (2006), due anni più tardi all’Estadio Polideportivo Islas Malvinas di Mar del Plata tutto era pronto per la festa annunciata. Ci aveva pensato Juan Martin Del Potro ad infiammare la vigilia, dicendo che quella volta avrebbero “smutandato” Nadal. Quando poi il numero 1 del mondo annunciò, a Bercy, che la sua stagione si chiudeva lì, per l’Argentina quella finale sembrò una pura formalità. Invece i dissapori in famiglia tra i due galletti di casa – Nalbandian e lo stesso Delpo – favorirono la catastrofe. David liquidò in apertura Ferrer ma non fu affatto tenero nei confronti del compagno di squadra (reo, a suo dire, di aver compromesso l’esito di quella sfida giocando il Masters pur in condizioni di forma approssimative) che venne sconfitto da Feliciano Lopez e diede forfait per le altre due giornate. Sullo score di 1-1, gli iberici vinsero il doppio e poi Verdasco spense l’illusione biancoceleste recuperando da 1-2 e battendo Acasuso al quinto. Persa la grande occasione in casa, non si poteva chiedere all’Argentina di espugnare Siviglia nella “riperdita” del 2011; con la terra rossa sotto i piedi e Nadal a pestarla, Juan Monaco e Del Potro si arresero e i sudamericani allungarono solo l’agonia portando a casa il doppio.
Sul versante femminile, le cose sono andate decisamente meno bene. Presente in Fed Cup dalla seconda edizione (1964), l’Argentina rosa colse il suo miglior risultato con le semifinali del 1986 e del 1993. La prima volta, Gabriela Sabatini (nella foto in basso a sinistra, all’epoca quindicenne durante gli Internazionali d’Italia) e Mercedes Paz persero dalle cecoslovacche Sukova e Mandlikova; la seconda, a Dusseldorf, Ines Gorrochategui e Florencia Labat sconfissero nei quarti le statunitensi Lindsay Davenport (ancora sedicenne) e Lori McNeil per poi cedere all’Australia il giorno dopo.
Tuttavia, se l’Argentina può vantare la sua presenza al top delle classifiche mondiali lo deve proprio a due ragazze. La prima è Paola Suarez, nativa di Pergamino, già top-10 in singolare nel 2004 (n°9 all’indomani del Roland Garros in cui si spinse fino alle semifinali, battuta dalla Dementieva) e dominatrice, insieme alla spagnola Virginia Ruano Pascual, del doppio. Nel quinquennio 2001-2005 la coppia in questione conquistò ben otto slam (1 Australian Open, 4 French Open, 3 US Open consecutivi) e perse altre quattro finali, tra cui due a Wimbledon. Il 9 settembre 2002, Paola Suarez diventò la 17esima regina del ranking di doppio, posizione che avrebbe mantenuto per un totale di 87 settimane.
La seconda – e come potremmo dimenticarla, noi italiani? – è stata Gisela Dulko. Nata a Tigre, in uno dei 24 dipartimenti che formano la Grande Buenos Aires, la futura sposa di Fernando Gago, centrocampista che militò anche nella Roma, visse la sua stagione di gloria insieme a Flavia Pennetta nel 2010. Le due vinsero sette tornei (tra cui Miami, Roma, Montreal e il Masters) e si proiettarono nel 2011 culminando la loro bella favola con il titolo agli Australian Open 2011. Con la chiara prospettiva di dedicarsi alla famiglia, Gisela lasciò il tennis agonistico al termine del 2012 e adesso ai suoi figli potrà raccontare di essere stata, per circa sei mesi, la migliore di tutte in doppio.
Resi i giusti meriti a Suarez e Dulko, la storia del tennis femminile argentino non può prescindere da un’altra numero 1: Gabriela Sabatini. Certo, lo sappiamo! Gaby è arrivata al massimo sul terzo gradino del ranking ma nel cuore degli appassionati di tutto il mondo (specialmente maschili) non ha mai avuto rivali. In ogni caso, dei 7 major conquistati dal suo paese in singolare, l’unico al femminile è il suo e arrivò in parte inatteso.
Guidata da Carlos Kirmayr – un ex-tennista brasiliano di modesta fama che la convinse a rendere più aggressivo il suo gioco – la bis-nipote del marchigiano David fece suoi gli US Open 1990 battendo in finale Steffi Graf. Erroneamente ritenuta una specialista della terra, forse per via delle cinque semifinali parigine, in realtà Gaby ottenne i suoi maggiori successi lontano dal rosso. Oltre al già citato slam di Flushing Meadows, l’argentina mise in bacheca due Masters WTA sul sintetico del Madison Square Garden e perse una beffarda finale sul verde di Wimbledon, 8-6 al terzo dopo aver servito due volte per alzare il piatto. Oltre a una rosa e un profumo con il suo nome e una bambola con le sue fattezze, di Gabriela Sabatini resterà per sempre negli occhi degli appassionati il meraviglioso rovescio a una mano.
Infine, per concludere la rassegna e tornare al maschile, non possiamo ignorare Patricia Tarabini – campionessa nel misto a Parigi 1996 (esattamente un decennio dopo aver conquistato il titolo juniores in singolare) insieme al connazionale Javier Frana e bronzo olimpico alle Olimpiadi di Atene 2004 – e due illusioni che la realtà ha sconfessato: Claudia Casabianca e, soprattutto, Maria Emilia Salerni. Claudia fu la prima del suo paese a conquistare uno slam juniores: successe sulla terra verde di Forest Hills sabato 10 settembre 1977 e al riguardo Vilas ebbe a dire: “Ho fatto colazione con le ragazze e sono rimasto impressionato dalla tranquillità di Claudia; non sembrava che dovesse di lì a poco giocarsi il titolo contro la favorita del torneo”. Infatti, la statunitense Antonopolis (n°1 del mondo) avrebbe dovuto confermare il pronostico e invece la Casabianca mise in atto un capolavoro tattico: “Con lei avevo perso a Wimbledon e sapevo quello che andava fatto: palle alte per tenerla lontana dalla rete ed entrare nello scambio. Quando, nel secondo set, mi accorsi che la cosa non funzionava più passai allo slice e alle palle basse, sulle quali lei faticava. Così iniziò a sbagliare e io realizzai il mio sogno.” Adesso Claudia ha due figli, insegna tennis ai disabili e ricorda con nostalgia quel magico settembre newyorchese, anche perché la sua carriera da professionista è stata tutt’altro che indimenticabile.
Alle soglie del 2000, il futuro era lei: Maria Emilia Salerni. La doppietta nei titoli juniores di Wimbledon e US Open e la conseguente prima posizione mondiale sembravano proiettare la 17enne di Rafaela verso la gloria. Invece “Pitu”, così la chiamavano, ebbe un approdo difficoltoso nel circuito maggiore, attardata anche da alcuni infortuni importanti che ne anticiparono il ritiro; alla fine dovette accontentarsi di 12 titoli ITF (di cui tre in Italia) e una sola finale maggiore, quella persa a Bogotà contro Nuria Llagostera Vives.
Anche se la storia del tennis maschile argentino passa attraverso i nomi di Vilas, Gaudio e Del Potro (ovvero i tre campioni slam in singolare), in realtà colui che inaugurò la serie fu Enrique Morea (a destra, nella copertina de “El Grafico”). Classe 1924, Morea vinse – insieme alla statunitense Scofield – la prima (Roland Garros 1950) delle quattro finali che disputò nel misto (le altre le perse a Wimbledon con tre diverse partner) oltre a quella del doppio maschile a Parigi nel ’46 insieme a Pancho Segura.
Dei 19 major complessivi conquistati dall’Argentina, poco meno di un terzo sono arrivati dal singolare maschile. Nel 1977, il “poeta” Guillermo Vilas fu praticamente imbattibile sulla terra, superficie sulla quale vinse ben 98 incontri e due slam, eppure il computer dell’ATP gli negò la leadership mondiale anche ad anni di distanza, nonostante il giornalista Eduardo Puppo fosse riuscito a dimostrare che per alcune settimane già nel biennio 75/76 il mancino lo avrebbe meritato. Al netto di questa presunta ingiustizia, Vilas ha avuto il grosso merito di inaugurare una scuola fin lì pressoché inesistente e che ha fatto registrare decine di ottimi giocatori, qualche campione e diversi acuti. Di questi, ci limiteremo a ricordarne alcuni senza avere la pretesa dell’esaustività:
- Alberto Mancini mette a segno la doppietta Montecarlo-Roma nel 1989 battendo in finale Boris Becker e Andre Agassi;
- Gaston Gaudio batte Guillermo Coria nella finale tutta argentina del Roland Garros 2004, l’ultima prima dell’Era Nadal;
- Al Masters del 2005 (anche per effetto di qualche defezione) si qualificano ben 4 argentini: Nalbandian, Coria, Gaudio e Puerta (David lo vincerà al termine di una clamorosa finale con Federer);
- Guillermo Canas “umanizza” Roger Federer battendolo sia a Indian Wells che a Miami nella primavera del 2007 (in precedenza “Willy” aveva vinto il 1000 di Toronto, nel 2002)
- Nell’autunno del 2007 David Nalbandian infila la doppietta indoor Madrid-Bercy: in Spagna batte i primi tre del ranking (Nadal, Djokovic e Federer) mentre in Francia si ripete con lo svizzero e lo spagnolo;
- Juan Martin Del Potro vince gli US Open 2009, battendo in finale Roger Federer (campione del torneo nelle cinque edizioni precedenti).
Prima di passare al presente, uno sguardo doveroso alle vicende dei giovani argentini nella storia degli slam. Sono stati ben 6 i titoli conquistati, di cui 5 a Parigi (Guillermo Perez-Roldan nel biennio 86/87, Mariano Zabaleta nel 1995, Guillermo Coria nel 1999 e Agustin Velotti nel 2010) e uno agli US Open (Nalbandian nel 1998). Di questi cinque giocatori, solo Velotti (attualmente n°559 del ranking) ha fallito l’approdo al tennis dei grandi: per lui appena quattro incontri in carriera, tutti persi.
IL PRESENTE – Al momento in cui scriviamo, sono 7 gli argentini tra i primi 100 della classifica ATP: Del Potro (8), Schwartzman (24), Pella (32), Leonardo Mayer (62), Londero (66), Andreozzi (80) e Delbonis (83). Assai peggiore invece è la situazione in campo femminile: la prima argentina nel ranking WTA è infatti Paula Ormaechea, assestata al n°223.
Sono due i titoli vinti (e altrettante le finali disputate) da tennisti argentini in questo primo scorcio di stagione. Nel mini-circuito sudamericano di febbraio si sono distinti Guido Pella e Juan Londero (nell’immagine in basso, Foto Stefano Berlincioni); i due si sono affrontati nella finale del 250 di Cordoba, con vittoria del primo. Pella si è rifatto a San Paolo (altro 250) qualche settimana più tardi contro il cileno Garin mentre Diego Schwartzman, a Buenos Aires, si è dovuto accontentare della finale. Scarsa gloria anche nel circuito minore, con un solo titolo Challenger conquistato, quello di Matias Franco Descotte all’Open di Morelos. Non si registrano invece presenze significative di giocatrici argentine nel circuito ITF; l’unica ad aver ottenuto due quarti di finale (Launceston e Rancho Santa Fe) è stata la 22enne Nadia Podoroska.
IL FUTURO – Se il presente non è dei più rosei, non si vedono schiarite all’orizzonte nel tennis argentino. Nel ranking dell’ITF World Tennis Tour Juniors ci sono cinque giocatori tra i primi 50 ma il primo – l’ormai 18enne Thiago Agustin Tirante – è appena 17esimo mentre gli altri quattro (Luciano Tacchi, Alejo Lorenzo Lingua Lavallen, Santiago De la Fuente e Juan Bautista Torres) sono tutti oltre la ventesima posizione. Assai più preoccupante la situazione sul versante femminile, con la sola Ana Geller (classe 2002) tra le prime 100 (attualmente è numero 69) anche se l’interessamento della IMG nei suoi confronti potrebbe far ben sperare.
TORNEI – Con la prima edizione del torneo di Cordoba, sono due gli appuntamenti argentini nel calendario ATP. L’altro è quello storico di Buenos Aires, che ha visto la sua prima edizione nel 1931 e si è disputato ininterrottamente fino al 1970; dall’anno successivo l’appuntamento ha fatto registrare qualche sporadica interruzione (nel 1971, nel biennio 83/84, nel triennio 89/91 e nel 1996) mentre dal 1997 al 2000 è stato un Challenger. Attualmente il torneo si disputa al Lawn Tennis Club, collocato nel barrio di Palermo.
Nei cinque decenni dal 1929 al 1979, la capitale argentina ha ospitato anche un torneo femminile il cui albo d’oro è impreziosito da nomi eccellenti come la tedesca Cilly Aussem, May Sutton, Billie Jean King, Ann Jones e Virginia Wade. In seguito all’esplosione di Gabriela Sabatini, Buenos Aires riuscì ad ottenere un posto nel calendario WTA per due stagioni (1986 e 1987) ma, nonostante altrettanti successi della campionessa di casa, l’esperienza non venne ripetuta. Attualmente, dopo la riforma messa in atto dall’ITF, l’Argentina è sparita dal calendario internazionale e in questa stagione non ci sarà alcun torneo.
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