Uniqlo, come comunicare grazie al tennis

Novak Djokovic Uniqlo

di Dario Pennino (DP Sport Management)

Ginza, distretto del lusso a Tokyo, Nanjing West Road a Shanghai, 31 W 34 th Street a New York: cosa hanno in comune queste tre luoghi? La presenza dei negozi Uniqlo. La marca di abbigliamento nipponica, alquanto sconosciuta in Italia e poco diffusa in Europa, acquisisce una sua visibilità attraverso la sponsorizzazione di Novak Djokovic, oltre che di Key Nishikori. La materia è di interesse specifico nell’ambito delle leve del marketing (comunicazione), e merita un approfondimento. Marche generaliste, sia di abbigliamento che di altri settori merceologici, restano spesso al di fuori dei processi di comunicazione del tennis, definendolo un settore di nicchia. Il colosso giapponese smentisce tutti, ricolloca la propria brand-value, entra prepotentemente a livello europeo e mondiale associandosi nel 2012 alla immagine di Djokovic, il serbo esordisce al torneo del Roland Garros di quell’anno (rompendo il sodalizio con la Sergio Tecchini). Ed è un successo. Uniqlo (posizionamento fast retailing) si presenta così al grande pubblico, potenzia il numero dei negozi in Asia e in Europa (al momento non è presente in Italia), e allarga significativamente il grado di popolarità. L’azienda ottiene performance soddisfacenti tra il 2011 e il 2012, attraverso un piano di espansione attuato a livello internazionale che conferma la posizione strategica nel mercato asiatico. Il giro d’affari del gruppo si attesta attualmente a 8,1 miliardi di euro.

Numerosi i negozi nel mondo www.uniqlo.com: dai quattro piani di New York, si passa a quello di Shanghai, fino ad arrivare al mega-store di Tokyo, quattordici piani (di pura esperienza sensoriale). Il layout nei punti vendita è il medesimo: si sceglie (autonomamente) tra capi maschili e femminili, rivolti ad un pubblico essenzialmente medio-giovane, con medio-bassa disponibilità economica, o anche ad una upper class che ha voglia di cambiare capi ogni anno e sentirsi alla moda. I prezzi al pubblico (negozio di NY, collezione 2014-15) vanno dai 99 dollari di una giacca uomo, stile moderno, materiale finto-cashmire, ai 35 dollari per pantaloni classici e jeans, disegno slim. Il rapporto prezzo-qualità è ottimo. I capi possono subire regolarmente lavaggi domestici e in lavanderia che non ne modificano colori e qualità dei tessuti. L’aspetto interessante si riscontra nel fatto che l’azienda continua a non avere nel proprio core-business la vendita di capi tecnici (non presenti negli spazi fisici, l’abbigliamento sportivo è relegato esclusivamente all’e-commerce, anche se nei negozi di NY sono comparsi calzini bianchi da tennis a 9,90 dollari:  questo preconizza cambiamenti nella strategia?). Il tennis (-sta) travalica dunque il confine di target di nicchia. La ratio è legata al fatto (ovvio) che milioni di tennisti-amatori destinano budget più ampi all’acquisto di capi di abbigliamento generici piuttosto che a capi strettamente tecnici. Cosi’ come acquistano regolarmente prodotti generici di ogni tipo.

Chi sarà il prossimo (big) sponsor che riterrà utile pubblicizzare il proprio marchio attraverso il mondo-tennis? Alcune aziende generaliste sono già impegnate, come la Peugeot, sempre con Djokovic, Bovet (orologi di altissimo profilo e prezzo) con Ferrer, Rolex con Federer, la coppia Agassi-Graf con Longines, non ultima le cucine Smeg e i servizi di telefonia Wind con la Pennetta, per non parlare dei servizi finanziari che sostengono grandi tornei, come la BNL (gli Internazionali d’Italia), oppure la BNP Paribas (il Roland Garros).  Prefiguriamo un numero crescente di aziende appartenenti a variegati settori merceologici che reputeranno produttivo (in termini di ritorno sugli investimenti) avvalersi del tennis. Un valore aggiunto da destinare alle logiche di comunicazione, alla percezione della marca, alla vendita dei propri prodotti/servizi sui mercati di riferimento.

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