La palla si alza all’improvviso, curva e profonda in una parabola perfetta sopra la bruna testa della giocatrice venuta a rete. Il braccio destro si allunga dietro alla spalla, la racchetta si issa in direzione della pallina e, precisa, scaglia uno smash vincente. Così Miss Virginia Wade rimette in parità il computo dei set, nella finale di Wimbledon 1977. Una finale che proprio non può perdere perché lei, suddita britannica, si trova al cospetto della Regina d’Inghilterra, scesa a rendere onore ai campi di Church Road per la prima volta in quindici anni. Ed è proprio da quelle Reali mani che, dopo aver sorvolato la sua avversaria nel terzo set, Virginia riceve il piatto d’oro riservato alla vincitrice, felice come una bambina, tra l’acclamazione generale del pubblico di casa.
Correva l’anno del centenario dei Championships e l’Inghilterra sonnacchiosa si accingeva a celebrare il giubileo d’argento di Sua Maestà Elisabetta II. Una ragazza ormai donna, originaria del Dorset ma cresciuta in Sudafrica, scosse improvvisamente una nazione intorpidita dal ristagno economico e dal disincanto giovanile, regalando al tennis inglese la sua estate più bella dall’ultima vittoria di Fred Perry nel 1936.
Nata in terra inglese quando ancora risuonavano gli ultimi echi di guerra, il 10 luglio 1945, Virginia trascorre i suoi primi 15 anni in Sudafrica, a Durban, dove il padre è arcidiacono. Cresce tennisticamente e caratterialmente in Africa ma quando torna in Inghilterra è una straniera in patria: mentre continua ad allenarsi la giovane Wade decide, su consiglio paterno, di completare gli studi fino alla laurea in Matematica e Fisica. Diventa una delle prime tenniste professioniste della storia nel 1968 e da quel momento fino al 1979 sarà costantemente tra le prime 10 giocatrici al mondo.
Dieci giorni prima del suo trentaduesimo compleanno si ritrova come d’incanto nella finale del torneo che tutti gli inglesi agognano fin da bambini e lo fa battendo in una tesissima semifinale la numero 1 del mondo, nonché campionessa uscente, la fidanzatina d’America Chris Evert. La Wade non è certo una novellina in fatto di tornei maggiori: a questo punto della sua carriera ha già vinto due Slam in singolare (Us Open ’68 e Australian Open ’72) oltre ai 4 in coppia fissa con Margaret Smith Court. Sono ormai 16 anni che solca questi campi e finalmente approda all’atto conclusivo, quando l’1 luglio 1977 va in scena la prima finale tra over 30 dal 1913. La sua rivale è la coetanea olandese Betty Stöve, che quell’anno non riesce proprio a incontrare i favori della santa erbetta londinese: raggiunge tutte e tre le finali (oltre al singolare, nel doppio femminile con Martina Navratilova e nel doppio misto con Frew McMillan) senza riuscire a vincerne nemmeno una. Anche se inizialmente la sorte gira a favore dell’olandese, che vince il primo set per 6-4 e costringe la Wade ad una insidiosa rimonta. Sostenuta dal pubblico e da un Royal Box particolarmente nutrito per l’occasione, la tennista britannica porta al successo una nazione con il punteggio di 4-6, 6-3, 6-1.
Nella sua lunga carriera mancano solo due gioie: la vetta del ranking (sarà numero 2 nel 1975 ma numero 1 in doppio) e il Roland Garros, dove in solitaria non andrà mai oltre i quarti di finale. Può meritatamente consolarsi con 55 titoli conquistati solo in singolare e con il fregio di Ufficiale dell’Impero Britannico, di cui viene insignita poco dopo il suo ritiro ufficiale nel 1986, a 41 anni. È una donna forte, spigliata ed energica Virginia, che non si ferma nemmeno dopo aver appeso la racchetta al chiodo: nel 1982 è la prima donna ad essere eletta nel comitato di Wimbledon e nel 1989 entra anche nella International Tennis Hall of Fame di Newport. Comincia l’attività di commentatrice e opinionista a carriera ancora in corso, lavoro che svolge attualmente per la BBC ed Eurosport.
Irriverente, schietta e senza peli sulla lingua come solo i più irriducibili inglesi sanno essere, non si risparmia nemmeno nei confronti del beniamino inglese per eccellenza, Andy Murray. Nel 2012 la Wade ha l’ardire di definirlo una “drama queen” per il suo comportamento lacrimevole durante il match al Roland Garros contro Nieminem, quando Murray minacciando un imminente ritiro vinse poi al quarto set. Due anni dopo, quando lo scozzese sceglie Amelie Mauresmo come nuovo coach al posto del robotico Ivan Lendl, la Wade proclama ampiamente la sua perplessità nei confronti di una donna troppo fragile per consigliare il giovane campione, tanto da confessare placidamente di non aver creduto inizialmente alla notizia avendola scambiata per uno scherzo. Anche il tennis femminile preso nella sua totalità non passa indenne alle critiche della Wade, tacciato com’è di sola forza bruta e automatismi sterili che non celano dietro la racchetta la benché minima personalità umana.
Così, dall’alto della tribuna d’onore di Wimbledon, Virginia Wade trascorrerà il suo 70esimo compleanno in qualità di ultima tennista britannica ad aver stretto tra le mani il Rosewater Dish. Non è ancora venuto il momento di abdicare, per questa indomita matrona del tennis.
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