(Mika Llodra – Foto Nizegorodcew)
di Fabio Colangelo
Guardando la finale di Shangai non ho potuto fare a meno di chiedermi per la milionesima volta cos’è realmente il talento nel nostro sport. Per tutti il talentuoso nel tennis è quello che ha un “gran braccio”. Federer appunto, ma anche Gulbis, Gasquet, o gli Stich, Edberg, Henman di un passato più o meno recente. Tra le tante definizioni che si trovano su dizionari e internet, la più interessante mi è sembrata quella di Wikipedia che dice: “Il talento è l’inclinazione naturale di una persona a far bene una certa attività.” Questa spiegazione a mio avviso è perfetta per chiarire che non esiste solo il talento del braccio o della mano. E Murray domenica è stato straordinario a dimostrare quanto questo sia vero. Non farà mai le stop volley o le smorzate di Federer. Mai lo abbiamo visto trafiggere avversari col passante sotto le gambe, ma trovava sempre la contromisura giusta ad ogni giocata dello svizzero, difendendosi in un modo strepitoso. Per “certa attività”, infatti, si intende anche avere una coordinazione fuori dal comune, una forza fisica eccezionale, una capacità di concentrazione sopra la media; tutte qualità che nel tennis contano quanto (se non di più) la facilità di gioco. E non vero che sono più allenabili. Che basta fare 2 ore di atletica in più, o rimanere un’ora in più sul campo per colmare certe lacune, ma che il braccio di Petr Korda (per i romantici) te lo da solo il Signore. Nessuno arriverà mai ad avere la forza fisica di Nadal, anche se si dovesse allenare 10 ore al giorno in palestra, come lui non avrà mai la manualità di Federer. Ma proprio lo spagnolo ci ha dimostrato che con l’allenamento sulla tecnica si può quasi diventare talentuosi (passatemi il termine). Chi ricorda il primo Rafa sa benissimo che la smorzata (il colpo di tocco per eccellenza) con la quale spesso trova il punto nelle ultime stagioni, non era presente nel suo repertorio. E’ ovvio che è più diverente veder giocare Llodra rispetto a Monaco, e sempre lo sarà. Ma è indubbio che l’argentino possiede un talento naturale in una “certa attività” che si sposa benissimo col nostro sport ne più e ne meno di quello del francese.
Fortunatamente, col tempo, il luogo comune del “talento = gran braccio” è meno radicato nelle convinzioni degli addetti ai lavori e non, ma capita ancora spesso vedere dei ragazzi più o meno giovani etichettati in base a questo unico parametro. Su alcuni vengono riposte troppe aspettative, altri smettono perché gli fanno credere di non essere all’altezza. Non sapremo mai quanti “talenti” abbiamo sprecato perché magari sembravano poco dotati tecnicamente. E’ per questo motivo che non ritengo fondamentali i risultati dei tornei giovanili, almeno fino a 13-14 anni. Chi ha più manualità è ovviamente favorito per via della moderata velocità di palla, come chi cresce prima fisicamente. Sono importanti perché è comunque giusto che i ragazzi imparino a stare in campo, giocare partite e prendere confidenza con la vittoria e (soprattutto) la sconfitta, ma non così rilevanti.
Ho avuto modo di assistere da vicino alla crescita di Filippo Volandri (siamo coetanei). Fino ai 14-15 anni vinceva molto poco, e non era certamente un giocatore appariscente e divertente da veder giocare, ma era abbastanza evidente che aveva “qualcosa in più”. La serietà, la dedizione nell’allenamento e determinate qualità fisiche che lo hanno portato ad essere il miglior giocatore italiano dello scorso decennio. Per non parlare di Francesca Schiavone che nella defunta coppa delle regioni Under 14 (ora coppa Belardinelli) non era neanche tra le singolariste della nostra Lombardia giunta solamente settima. Si potrebbero poi fare 1000 esempi di giocatori con immensi talenti tecnici che pensavano di potersela cavare con quello e che sono rimasti bruciati dal fatto di non aver allenato a dovere tutti gli altri aspetti.
In definitiva sarebbe importante (anche se non è affatto facile) riconoscere e distinguere in quale “certa attività” inerente al tennis il bambino-ragazzo è più talentuoso in modo da poter impostare il lavoro e percorso in relazione a questa e tutte le altre peculiarità.
(Fabio Colangelo – Foto Nizegorodcew)
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