di Fabio Colangelo
Dire che nel tennis moderno, in cui tutti giocano benissimo, e tutti (o quasi) sono degli ottimi atleti, l’aspetto mentale stia assumendo un ruolo sempre più preponderante è un po’ come pensare di aver scoperto l’acqua calda. A qualsiasi livello ed età i più coraggiosi e forti “di testa” sono quelli che ottengono più risultati. Quante volte abbiamo sentito dire di un nostro potenziale avversario : “gioca molto bene ma nei momenti importanti concede sempre qualcosa”. O a fine partita a chi non è capitato di pensare : “Se non avessi avuto il braccino…” E cosi vediamo i ragazzini iniziare a giocare pallonetti sempre più alti e sempre più corti per evitare l’errore. Ragazze commettere una serie di doppi falli inspiegabili. Uomini di qualsiasi categoria cercare una soluzione che può apparire coraggiosa, ma che invece nasconde la voglia di “togliersi” dalla responsabilità di quel momento il più in fretta possibile. Nell’immaginario comune però tutto questo accade ai comuni mortali, mentre i campioni sono immuni da questa sindrome. Diventa quindi automatico crocifiggersi e pensare di non avere la stoffa del campione. Chi conosce bene il tennis invece, sa che anche i migliori (chi più chi meno) hanno paura. Quello che li distingue da noi comuni mortali è l’attitudine con la quale affrontano quei momenti, cercando di non lasciar trasparire nessuna emozione all’avversario, e il fatto che a livello molto alto basta accorciare il gioco di pochi centimetri, o diminuire la velocità di palla di qualche km/h (per paura di sbagliare), che l’avversario è pronto a ribaltare l’inerzia dell’incontro. Tante volte queste variazioni sono talmente impercettibili (ma fondamentali nell’economia dell’incontro) che, viste dalla televisione soprattutto, fanno pensare che il giocatore in svantaggio sia semplicemente salito di livello. Troppo facile! Qualcuno penserà: “Io quando ho paura non accorcio di pochi centimetri. Quasi non arrivo a rete!!” Altri diranno: “Ma io se mi imbraccino non centro più il campo!!” Ed invece questo capita anche ai grandi. E non cosi raramente come uno potrebbe pensare. A melbourne ho avuto l’occasione di vedere da vicino due tracolli a dir poco clamorosi. Thiemo De Bakker è uno dei migliori giovani del circuito. Da tempo auspico un suo ingresso nei top 20 e rimango convinto che il suo posto sia quello. Al primo turno conduceva per due set a 0 con Monfils, e quando si è trovato a servire per il match nell’aria c’era già il sapore della prima grossa sorpresa del tabellone maschile. Sul 15 pari però è successo l’inspiegabile. L’olandese, impeccabile fino a quel momento, ha commesso tre errori consecutivi a dir poco grossolani. Rimaneva comunque in vantaggio di due set e 5-4 nel terzo penserete voi. E’ vero, ma da quel momento il suo gioco si è letteralmente sciolto, e nonostante il vantaggio ha racimolato solo tre giochi nei rimanenti due set e mezzo. Janko Tipsarevic è stato l’eroe della semifinale di Davis vinta dalla Serbia ai danni della repubblica ceca. Ha sconfitto il numero 6 del mondo Berdych la prima giornata, e sul due pari ha regolato in tre set Stepanek. Un vincente in poche parole. Down under si trovava di fronte ad un’ottima chance. Superato agevolmente il primo turno si trovava in vantaggio per due set a uno contro il top 10 parso più fuori forma in questo inizio di stagione, Fernando Verdasco. Sul 6 a 5 del quarto il serbo serviva per il match. Il “braccino” era già evidente da qualche minuto, ma al terzo match point la contesa sembrava veramente chiusa. Il serbo invece non chiudeva due facili palle nei pressi della rete (una quasi clamorosa), e perso quel game ha ceduto di schianto. Sette punti a 0 nel tie break e 6/0 il set finale. Un primo e un secondo turno dello stesso torneo dello Slam. Come ho già detto non voglio scoprire l’acqua calda, ritengo solo giusto ricordarsi qualche volta che quelli che vediamo in Tv (a parte i primissimi) non sono marziani e che con il duro (durissimo) lavoro si possono ottenere risultati molto importanti. Facile no?
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