da Londra, Matteo Torrioli
Forse non sono fatto per certi luoghi. Magari è un mio limite ma, dopo un po’, alcune situazioni non le reggo proprio. Dopo un primo impatto più che positivo, ho cominciato ad avere la nausea di Casa Italia. Mai nome fu più azzeccato. In piccolo, infatti, il quartier generale della spedizione azzurra ricalca quello che è il nostro paese. Piccoli esempi. Uno mi è capitato pochi minuti fa. A Casa Italia ci sono tre luoghi aperti a tutti dove si possono vedere gli eventi. Il maxischermo della hall, quello doppio dell’auditorium e uno al primo piano, vicino agli stand degli sponsor. Nella hall è stato deciso che deve esserci sempre il mosaico di Sky: insomma, non si vede nulla. Per gli altri sembra esserci qualcuno che decide cosa si può vedere e cosa no. Cominciano i quarti di finale di Mauro Sarmiento nel Teakwondo. Il mosaico della hall non si può toccare, vabbè. All’auditorium, però, mi accorgo che da un lato si stava dando la ginnastica ritmica, in attesa della gara delle nostre (giustissimo) e sull’altro gli incontri di boxe senza però italiani in gara. Chiedo quindi di cambiare canale, dato che c’era un italiano che stava combattendo per i nostri colori. La risposta è stata semplice: “Non siamo noi che decidiamo il palinsesto”. Infatti, lo decidono gli organizzatori delle Olimpiadi e, alla fine, chi stava all’auditorium non ha potuto vedere in azione la medaglia d’argento di Pechino 2008. Forse avevo chiesto troppo. Prendersi una responsabilità del genere avrebbe potuto causare problemi ma, secondo me, il rischio si poteva correre: gli spettatori ne sarebbero stato sicuramente contenti.
Capitolo ristorante. È lì, infatti, che si consuma il nostro modo di essere italiani. Ogni sera si vedono persone, mai viste né sentite, le quali, però, sono amici degli amici degli amici. Molti giornalisti ed addetti ai lavori, compresi i volontari e gli inservienti di Casa Italia, non possono entrare al ristorante. Se invece sei la presunta nuova autista di Tizio, la nipote di Caio o la vecchia fiamma di Sempronio il via libera è assicurato. All’ingresso c’è un’addetta inflessibile con tutti ma se arriva il dirigente giusto ecco che a tavola ci si può sedere anche il figlio di Satana. Io ed Alessandro siamo riusciti a farci invitare da un cuoco per una sola sera. Al banco dove sono registrati gli invitati, invece di chiedere i nostri nomi, ci hanno chiesto chi ci mandava o chi ci aveva dato l’invito. Quello, infatti, è importante a Casa Italia. Se sei “qualcuno” ma, soprattutto, se hai le giuste conoscenze, puoi accedere ad un vero e proprio paese dei balocchi. Ecco, queste scene cominciano a darmi sui nervi. Sarà la stanchezza, saranno le ore piccole ma non riesco più ad assistere alle passerelle serali di persone accompagnate dalle macchine di servizio, saltare tutte le file ed entrare in tutti i luoghi con un arroganza di italico stampo. Il vero spettacolo, più che durante i pranzi le cene, avviene durante l’aperitivo al lounge bar. Tutti gli amici degli amici si ritrovano per bere e mangiare con grande classe, mettendo in mostra il loro status. Peccato che poi lascino sui tavoli dei veri e propri porcili, consapevoli che tanto ci sarà qualcuno, che non è amico degli amici, che andrà a pulire. I secchi ci sono ma se sei l’aiutante autista di Tizio, la collega di Caio o la baby sitter di Sempronio ti puoi permettere tutto. Addirittura si è assistito ad una signora discutere con un cameriere perché il figlio, di meno di dieci anni, voleva la pasta in un determinato modo dato che il piatto dello chef stellato di turno non era di suo gradimento. Sapete con chi se l’è presa la signora amica degli amici di Tizio, Caio e Sempronio, quando le è stato detto che non era possibile soddisfare la sua richiesta? È ovvio, con il cameriere il quale, non essendo amico di nessuno, doveva obbedire e basta. E si perché tutti quelli che hanno il famigerato “Guest Pass”, non appena messo al collo questo magico amuleto, si sentono padroni di tutto e tutti ma, soprattutto, di tutti. Bene, certe scene non le sopporto proprio più. Ripeto, potrebbe essere un mio limite ma, francamente, preferisco la mia mentalità di provincia. Preferisco pensare che siamo tutti uguali e che tutti meritiamo lo stesso rispetto, dall’amico di Tizio al figlio di nessuno. La colpa, se succedono queste cose, è però di tutti. Quanto sarebbe stato bello prendere quel telecomando dell’auditorium e cambiare canale oppure versare la pasta in testa alla signora e a suo figlio? Ancora. A chi non sarebbe piaciuto prendere l’amico dell’amico e fargli pulire e spolverare il tavolo sporco di vino e stuzzichini? Finchè avremo timore degli amici degli amici, purtroppo, tutto questo non potrà mai succedere. Il sogno, ovviamente, è che prima o poi qualcuno dica a Tizio, Caio e Sempronio una frase molto semplice, che raramente hanno sentito: “No, non si può”.
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