Ad Ho Chi Minh il calore è insopportabile. La percentuale di umidità supera il 75%. Gli spalti del Phu Tho Tennis Club sono semivuoti. Una enorme bandiera con su una Bahuinia blakeana stilizzata copre un minuto gruppo di tifosi assonnati, alcune coppiette mangiano, scherzano, fissano lo schermo del cellulare. Sembrano poco interessate al tutto. Nel primo week-end di Coppa Davis dell’anno Vietnam ed Hong Kong si giocano l’accesso alle semifinali. Semifinali del Group II, Asia/Oceania. Lontani dalla gloria, dimenticati ed ignorati da quasi tutto il mondo. Si è giunti alla domenica sul punteggio di 2-2, il match è decisivo. Thien Nguyen Hoang, ventidue anni da compiere a breve, indossa al collo due vistosi anelli attaccati ad una catenina. Ha la stella gialla vietnamita cucita sul petto e stecca spesso il suo rovescio ad una mano durante il palleggio di riscaldamento. È al numero 1443 delle classifiche ATP. Dall’altra parte della rete c’è un giocatore con il cappellino, zuppo di sudore dopo neanche dieci minuti dall’ingresso in campo. Capitan Michael Walker ha compiuto una scelta del tutto inaspettata perché in campo è sceso Karan Rastogi. È palese che Karan non ha per nulla i tratti somatici tipici della stragrande maggioranza cinese della (quasi) nazione più verticale al mondo. Nato a Mumbai, ex grande promessa del tennis indiano e, sostanzialmente, ex giocatore. Rastogi aveva appeso la racchetta al chiodo nel 2012 per trasferirsi a 3600 km di distanza da casa ed accettare l’insolita proposta di aiutare ad allenare le squadre di Coppa Davis e Fed Cup di quella che è una regione amministrativa speciale della Cina, Hong Kong. In un afoso fine settimana di febbraio, a trent’anni, si è preso una piccola-grande rivincita. Contro la sfortuna e gli infortuni. Grazie a perseveranza e determinazione.
La storia di Rastogi comincia tra le strade caotiche ed affollate di Mumbai. Come tantissimi bambini in India la mazza da cricket è la prima a far sognare Karan. Ma il suo si rivela essere un amore passeggero. A quattro anni mette per la prima volta piede in un campo da tennis ed in breve capisce che quella pallina gialla sarà la sua ossessione per la vita intera. Diventa in breve tempo la grande speranza del tennis indiano. Raggiunge a mano a mano la vetta di tutte le classifiche del tennis giovanile locale, è eletto miglior giocatore under 14 asiatico. Giocando tra gli Juniores dimostra tutto il proprio talento, diventando numero 4 al mondo, grazie alla semifinale ottenuta agli Australian Open. Insieme ad un ragazzino scozzese dai capelli rossi di nome Andy Murray e ad un già sviluppato ragazzone di origini guadalupensi chiamato Gael Monfils è un nome su cui si punta forte in chiave futura. E ad accorgersene subito è Nick Bollettieri, che bussa alla sua porta e gli offre un contratto. A quattordici anni Rastogi lascia l’India e si trasferisce presso l’IMG Tennis Academy, a Bradenton, Florida. Un passo importante per quella che fino ad ora sembra essere l’inizio della storia di un vincente.
Se Karan aveva realizzato il suo sogno di essere una stella brillante del firmamento tennistico Juniores, il duro passaggio al mondo del professionismo stroncò le sue ambizioni di esserlo anche tra i “grandi”. Una serie di infortuni martoriano il suo fisico, il recupero delle condizioni fisiche ottimali è lento ed ostacola pesantemente la voglia di scendere in campo. Il livello degli avversari cresce, mentre quello del tennista indiano non riesce ad innalzarsi e a dimostrare trai pro la grande solidità che aveva caratterizzato la sua carriera tra gli junior. Anche giocatori che prima venivano battuti agevolmente sembrano diventare ostacoli insormontabili. Karan Rastogi però non si è arreso: la passione per il tennis era troppo grande. Gira il mondo, gioca i tornei Futures in Europa, Asia ed Africa e non ha nessun intenzione di mollare, l’età è ancora dalla sua parte. Nel 2007 riceve una wild-card per il torneo di Chennai ed al primo turno ottiene quella che sarà l’unica vittoria in carriera in un torneo ATP. Sconfigge il brasiliano Thiago Alves e si concede al secondo turno Rafael Nadal, numero 2 del mondo. Il punteggio dice 6-4, 6-1 per il maiorchino. Entrambi nati nel 1986, aspirazioni simili, promesse ottime per entrambi, risultati totalmente differenti alla fine. Con il senno di poi Rastogi ricorderà quel match come uno dei più belli ed importanti della sua carriera, nonostante la sconfitta.
Ad una carriera che tra vicissitudini varie non riesce a decollare si aggiunge ancora una volta la sfortuna. Nel 2008 la schiena fa crack e Rastogi è costretto a stare lontano dal tennis per più di diciotto mesi. Meticolosamente non demorde, ritorna a giocare ed ottiene i risultati migliori della sua carriera. Tocca il best ranking di numero 284 nel febbraio del 2011. Poca cosa rispetto alle previsioni rosee che qualcuno aveva fatto appena pochi anni prima. Il fisico di cristallo di Karan non lo lascia in pace quasi mai ed i risultati stentano ad arrivare. Nel giugno del 2012 è nella natia India per giocare il Future di Mysore, la sua classifica sta cominciando già a crollare. Quando il ragazzino diciannovenne Sidharth Rawat, che non ha neanche un punto ATP, lo batte al secondo turno decide che, ad appena ventisei anni, con il tennis giocato ha chiuso. Quello che poteva essere un sogno si era trasformato in un incubo. Per qualcuno semplicemente Rastogi va annoverato come una delle tante promesse non mantenute del panorama tennistico dei primi anni 2000. Senz’altro i guai fisici ne hanno condizionato l’intera carriera. Ma la storia non finisce qui.
Karan non voleva abbandonare il mondo del tennis, in ogni caso e nonostante tutto. Dopo aver brevemente allenato in India, riceve una proposta dalla Hong Kong Tennis Association e su due piedi accetta. Ma non a caso. Vuole in modo serio e professionale diventare coach. Lavora con Claudio Pistolesi ed Alberto Castellani ed ottiene la qualifica presso la GPTCA. Giunto ad Hong Kong, lo stato di salute tennistico non era dei migliori: “Quando sono arrivato pensavo di trovare una situazione non troppo dissimile da quella che avevo vissuto in India. Dopo un po’ ho dovuto accettare la realtà. Alcuni giocatori non avevano neanche idea di cosa fosse la vittoria in un match di Coppa Davis”.
Rastogi ha rappresentato l’India in Coppa Davis in tre diverse occasioni, tra il 2004 ed il 2011, senza mai ottenere una vittoria. Si dichiara disponibile ad un eventuale ritorno al tennis per Hong Kong. Secondo le regole dell’ITF un giocatore non deve avere rappresentato nessun team nella competizione a squadre per due anni e deve essere residente nella nuova nazione per cui desidera giocare. “Quando mi hanno proposto di ritornare a giocare, non mi sono lasciato sfuggire l’occasione e mi sono rimesso subito in forma. Certo, adesso mi bastano un paio di ore al giorno di allenamento. Fare il coach è la mia priorità. Ma sono a disposizione del capitano ogni volta ne avesse bisogno”. Quel giorno è arrivato nel 2017. Non giocava un match ufficiale in singolare da più di cinque anni.
Ad Ho Chi Minh il caldo è sempre infernale. L’atmosfera si infiamma. Thien Nguyen Hoang con un passante di rovescio, non impeccabile stilisticamente ma molto efficace, sposta l’inerzia del tie-break dalla sua parte e lo conclude in pochi minuti con il punteggio di 7-4. Rastogi ha lottato, ha avuto le sue occasioni per passare a condurre ma alla fine il primo set lo ha perso. Sembra essere un po’ la storia della sua vita. Ma questo non va giù ad uno come Karan. I sacrifici di una vita sembrano ripagarlo magicamente. A partire dal secondo set non sbaglia più una palla. Diventa troppo solido per Nguyen Hoang. Inanella tre set di fila lasciando le briciole al tennista di casa. 6-1, 6-2, 6-1. Al match point i pochi tifosi nascosti dalla bandiera gigante si alzano in piedi, la squadra intera esulta. Rastogi alza le braccia al cielo. Torna a rivincere un match dopo una vita, lui che è ormai più coach che giocatore. Vince per la prima volta un match in Coppa Davis, un match decisivo che garantisce anche la semifinale del Group II, non per l’India ma per la sua patria adottiva Hong Kong. Una vittoria in un match dimenticato, lontano dai riflettori, che non sarà ricordato negli annali del tennis ma che per Karan Rastogi significa molto. Una vittoria che mostra quanto un giocatore possa amare uno sport. Per quel ragazzino che sognava la gloria, rimasto con un pugno di mosche, una vera e propria medaglia da appendere all’anima.
Leggi anche:
- None Found