Nello sport possono capitare quei momenti in cui ti senti fuori posto, un piccolo puntino che avverte lo sguardo dell’arena che lo avvolge. Non c’è spazio per numeri o strategie perché in fondo ti trovi davanti ad un bivio molto chiaro: farsi mangiare dall’arena o cavalcarla? Lo scenario, ovviamente, dev’essere tutt’altro che banale, quindi se ti trovi sul centrale del Foro Italico e lo speaker ha appena presentato Federer dopo di te, è necessario occupare lo spazio tra il suo talento e il tuo con una dose folle, esagerata, di coraggio. Solo così Filippo Volandri poteva evitare di sentirsi fuori posto in quel pomeriggio di maggio del 2007.
Pochi giorni prima dell’inizio del torneo le pubblicità e gli sponsor amplificavano il duello Federer-Nadal all’inverosimile. Lo svizzero aveva vinto negli ultimi due anni 157 partite su 167 giocate, numeri obiettivamente non umani, ma la particolarità stava proprio in quelle 10 sconfitte che, per metà, furono causate da Rafael Nadal. La sfida tra questi due modi radicalmente opposti di giocare a tennis era lanciatissima e tutto sembrava girare intorno a loro. A questo si aggiungeva il momento drammatico del movimento italiano maschile: nessun top 50 e nessun iscritto al tabellone principale del torneo, l’unico modo per colmare la lacuna era quello di assegnare le 4 wild card a tennisti azzurri. Ed ecco che furono catapultati con i più forti i nostri Volandri, Starace, Bolelli e Bracciali. La speranza era quella di aumentare la truppa grazie al torneo di qualificazioni, ma neanche quello riuscì a risollevare le già basse aspettative azzurre, dato che al turno finale furono eliminati Seppi, Luzzi e Fognini.
Volandri era l’italiano con la classifica più alta (numero 53 del mondo) oltre che ad essere l’unico in attività ad aver vinto almeno un torneo ATP. Il suo inizio stagione era stato piuttosto problematico con cinque primi turni consecutivi ed i soliti problemi a giocare su superfici diverse dalla terra, ma i segnali incoraggianti in vista del Foro Italico arrivarono dal torneo di Barcellona: pur uscendo agli ottavi contro Davydenko in due tie-break, si era fatto notare per l’inaspettata vittoria contro Nicolas Almagro in tre set. Gli stessi ottimi segnali si avvertirono, infatti, dopo il primo match giocato a Roma contro il qualificato Gabashvili, un tennista totalmente anarchico che in quel giorno portò a casa solo tre giochi. Il problema, però, nasceva subito nel turno successivo da giocare contro Richard Gasquet.
Qualche mese prima i due si erano incontrati al primo turno degli Australian Open e il risultato fu piuttosto netto: 64 64 62 per il francese. Ma, in un tennis moderno sempre più omologato, lo specialismo terraiolo di Volandri poteva spostare gli equilibri. Alla fine di un pomeriggio esaltante il tennista livornese riuscì a staccare il biglietto per gli ottavi di finale regalandosi una sfida contro Federer. Il simbolo di quel match fu sicuramente uno dei break decisivi del terzo set messi a segno da Volandri grazie ad un dritto vincente in salto, simbolo dell’esplosività atletica e della fiducia con cui era arrivato a quel torneo. Alla festa si aggiunse anche Potito Starace che vinse per 62 36 62 contro Juan Carlos Ferrero. Con l’eliminazione di due importanti teste di serie il torneo degli azzurri poteva considerarsi almeno salvo, c’era la sensazione di aver avuto una bella boccata d’ossigeno dopo mesi molto grigi.
Arrivava, quindi, il momento di prendere quel bivio. E a quella scelta partecipò non solo Volandri, ma tutto il pubblico del Foro Italico. Federer è esageratamente amato dagli appassionati di tennis, con Roma c’è anche un feeling piuttosto particolare perché quel torneo è uno dei pochi assenti nella sua smisurata bacheca. Nell’edizione 2006, ad esempio, fu battuto da Nadal che gli annullò anche due match point. Era chiamato ad un riscatto. Nessuno si aspettava l’impresa, per molti Volandri aveva già vinto il suo torneo battendo Gasquet e la speranza dei tifosi era quella di vedere una bella partita, evitando magari di assistere al solito monologo del campione che fa a pezzetti il beniamino di casa.
Ma Volandri, prendendo la strada giusta del bivio, iniziava subito a giocare un tennis tatticamente perfetto: palla profonda e ricerca sistematica della diagonale di rovescio dove poteva avere sicuramente più possibilità, 3-0. La scelta sembrava funzionare, Federer non riusciva a pungere e quelle poche volte che aveva la palla buona per attaccare perdeva le misure del campo. La sensazione che si aveva era che Volandri stesse scrivendo un copione che Federer a stento riusciva a capire, infatti perse il servizio per ben tre volte. Il primo set finì con un sonoro 6/2 e il pubblico, stordito e sorpreso da quell’inizio, aumentava gradualmente il volume intuendo la particolarità del momento. Magari Federer si sarebbe ripreso subito andando a vincere il match in scioltezza, ma per 40 minuti Volandri aveva abbattuto i pronostici. Nel secondo parziale le cose sembravano mantenersi tali: il numero 1 del mondo si era fatto strappare il servizio alla prima occasione utile e si era buttato a capofitto in una affannosa rincorsa, provando a reagire con l’orgoglio in una giornata in cui era lui quello a sentirsi fuori luogo: dagli spalti si respirava l’aria dell’impresa.
Quella sensazione vacillò sul 5/4 (30 pari) dove si presentava l’ultimo bivio per Volandri: con due punti entrava nella storia, ma se li faceva Federer rischiava di perdere il controllo del match e di sfiorare appena un sogno che difficilmente si sarebbe ripetuto. La paura di vincere può fare scherzi impressionanti, ma stranamente si avvertì solo la paura di perdere dello svizzero che iniziò a giocare dei colpi poco ficcanti. Era come trovarsi davanti ad una porta storicamente inviolabile che in quel momento presentava una piccola fessura: Volandri buttò in campo il coraggio ed entrò in quella fessura con il carro armato. 62 64 e giro di campo a toccare le mani delle tribune che si allungavano verso la sua.
Quando si vivono giornate del genere è impossibile riprendersi dopo 24 ore, con l’informazione che si esalta e il tuo nome che viene ripetuto in ogni angolo dentro e fuori dal circolo. Si arrivò al match dei quarti di finale in un clima diverso: dopo Gasquet tutti erano convinti che Filippo avesse vinto il suo torneo, ma dopo Federer l’arena voleva ancora di più, voleva la finale. Nei quarti c’era Berdych, altro macigno da spostare lungo la strada. Alla fine del match sembrava che Volandri, dopo la vittoria contro Federer, non fosse mai uscito dal campo, non avesse fatto nessuna doccia ed era rimasto tutta la notte sulla linea di fondo campo del Centrale ad aspettare il suo avversario. Vinse 62 63: un italiano in semifinale a Roma, non succedeva da 29 anni.
Del match contro Fernando Gonzalez c’è davvero poco da raccontare, forse tutto può essere racchiuso nel volto di Volandri che avvertiva di non riuscire ad esprimere il suo tennis, sentiva la sua testa svuotarsi mentre il match scivolava troppo velocemente verso la fine. L’avversario aveva il doppio delle sue energie, la violenza dei colpi era impressionante, sembra quasi di giocare con la versione tennistica di Dave Grohl. Ma questo non ha tolto la commovente standing ovation riservatagli dal pubblico all’uscita dal campo. Qui finisce la magica storia di Volandri al Foro Italico, il momento più alto della sua carriera e forse di tutta la decade 2000-2009 dell’Italitennis maschile. Da quel giorno ha legato il suo nome a quella terra rossa di Roma e se per caso vi ritroverete tra i corridoi del Foro Italico ad ammirare un bel rovescio ad una mano probabilmente potrete sentire qualcuno dietro di voi dire: “eh, ma il Volandri del 2007 era tutta un’altra cosa”.
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