Non so se si farà ancora, ma una volta, almeno nelle scuole del nord Italia, era d’obbligo la famosa “gita ai luoghi manzoniani”. Una sorta di via crucis letteraria con diverse tappe nei vari posti e paesaggi che più o meno direttamente ispirarono l’autore dei Promessi Sposi: il castello del’Innominato, il palazzo di don Rodrigo, la casa di Lucia, il convento della monaca di Monza, e via dicendo. Una sosta ineludibile prevedeva naturalmente la contemplazione di quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno fra due catene non interrotte di monti… Un quarto d’ora in ammirazione estatica cercando di deglutire, con l’aiuto di un succo tropicale tiepido, un panino elasticizzato al salame, primi lontani segnali di globalizzazione gastronomica. Tutto questo mi è venuto in mente mentre pianificavo il mio week-end a Maiorca, che ho immediatamente ribattezzato dentro di me “gita ai luoghi nadaliani”. Un piccolo pellegrinaggio, motivato non da devozione ma da semplice curiosità, nella terra di Rafa Nadal. Se volete ve lo racconto.
Palma di Maiorca è il capoluogo e la porta di accesso all’isola. Ha il fascino che hanno le città portuarie, anche se in parte svilito dal turismo di massa. Ma la mia fortuna è che l’inverno ed il turismo di massa in una città di mare rappresentano concetti antitetici, e allora mi perdo tranquillamente per i vicoli quasi deserti del quartiere retrostante l’imponente cattedrale, per poi spuntare nella zona commerciale, dove solo i negozi di souvenir e di perle di “Majorica” (le perle sintetiche prodotte qua e famose in tutto il mondo), mi ricordano che d’estate la musica deve essere alquanto diversa. Dalla finestra del mio hotel sul lungomare vedo le barche ormeggiate, in lento letargo, e decine e decine di locali di tutte le fatte, la maggior parte dei quali chiusi, in attesa delle prossime battaglie estive.
Sono venuto qua per perlustrare l’isola, e per questo è imprescindibile una macchina. Lo so, avrei dovuto affittare un’Aston Martin come quella di Rafa, ma non ho fretta e Maiorca è appena più grande della Valle d’Aosta, così ho ripiegato su una Citroën DS3. Se Manzoni nell’incipt dei Promessi Sposi è risucito a dedicare quasi tre pagine alla descrizione di quel ramo del lago di Como, si sarebbe sbizzarrito nel descrivere la varietà paesaggistica di quest’isola, mentre la mia penna, lontana mille miglia da quella del Gran Lombardo, si limiterà a fare quello che può. Il mio primo e inaspettato impatto è stato con la montagna, montagna vera, con tanto di neve e un vento mai sentito, quello della Serra de Tramuntana, che non è stata battezzata così per caso. E la prima tappa obbligata è Valldemossa, nota sopratutto per la Certosa dove Chopin, su consiglio dei medici per la cura della sua tubercolosi, trascorse alcuni mesi a cavallo fra 1838 e 1839 con la compagna George Sand, che immortalò il soggiorno nel diario Un hiver à Majorque. Dal punto di vista terapeutico l’operazione si dimostrò fallimentare, e per giunta la coppia non riuscì a integrarsi, lui troppo poco “macho” per i rudi isolani, lei troppo disinibita, con tanto di pantaloni lunghi e cicca in bocca, per le sottomesse isolane. Con il tempo Valldemossa si è trasformata in una meta di pellegrinaggio di turisti, quelli un po’ più evoluti e curiosi, che abbandonano per un giorno spiaggia, lungomare e discoteca per visitare il museo di Chopin, la stanza di Chopin, il busto di Chopin, il piano di Chopin, e così via.
Da Valldemossa parte una strada panoramica stretta e tortuosa, che passa per Sóller, Fornalutx, Pollença, fino ad arrivare, sulla striscia di terra a nord dell’isola, al panoramico Cap de Formentor, che però una violentissima tramontana mi ha sconsigliato di raggiungere. Vi suggerisco comunque questo itinerario, che parte dal mare, si affaccia su strapiombi mozzafiato, passa per laghi e pinete e arriva ai piedi di montagne innevate, con l’avvertenza per i guidatori di non guardare troppo attentamente il paesaggio, e per chi soffre il mal d’auto di imbottirsi di Xamamina.
Ma il vero motivo del mio viaggio è la visita ai luoghi che hanno visto nascere, crescere e verosimilmente vedranno invecchiare Rafael Nadal. Manacor, famosa per essere la “città del mobile” e per aver visto i natali del campione spagnolo, è a una cinquantina di chilometri di autostrada da Palma. Mi dispiace deludere i “devoti” distruggendo un mito, ma si tratta di una cittadina che non ha proprio nulla di particolare. Si respira, rispetto a Palma, aria di provincia, come dimostrano i ritmi lenti, le molte persone che si salutano per strada, e l’uso molto più generalizzato del catalano, o meglio della sua variante locale, il mallorquí. È giorno di mercato, una vera fortuna per me, che giro guardando, ascoltando e annusando tutto. Compro in una bancarella una collezione di vecchie pesetas del 1982, serie dedicata alla commemorazione del famoso Mundial che vide trionfare l’Italia di Paolo Rossi, Bearzot e Pertini. Non vedo tracce tennistiche, neanche lotane. Poi entro in un bar che sembra fermo agli anni cinquanta e ordino una coca, che non ha nulla a che vedere con l’omonima sostanza stupefacente, tranne forse per il suo potere di generare dipendenza. È una sorta di pizza locale, con una base simile alla pasta frolla e di solito condita con verdure, con diverse variazioni sul tema, una delle quali ripiena a mo’ di piccolo calzone. Cerco tracce di Nadal, ma l’unica che trovo è un poster ingiallito che dice El món del tennis als peus del manacorí, che in maiorchino significa “il mondo del tennis ai piedi del cittadino di Manacor”, e poi i numeri 1,2,3,4…. con altrettante foto che corrispondono ai primi quattro trionfi al Roland Garros. Sorrido, perché non si sono a quanto pare preoccupati di aggiornare le vittorie del loro illustre concittadino, che nel frattempo sono arrivate a nove.
E poi faccio e dico quello che mi ero ripromesso di non fare e di non dire, in un vano tentativo di sfuggire la banalità. Mi avvicino al padrone, e gli chiedo: “Scusi, ma Nadal si vede ogni tanto da queste parti?”. Lui, gentilissimo (o forse rassegnato) mi risponde che personalmente non l’ha mai visto in città, e che lo si vede di più a Porto Cristo, oltre che ovviamente nei campi dove si allena. Decido di andarci, ma prima passo dal Club Tenis Manacor, dove Rafa ha imparato e giocare e dove per molto tempo si è allenato. Mi dispiace deludere ancora i nadaliani ortodossi, ma nulla di speciale: il normalissimo circolo di una normalissima cittadina di provincia, con il campo centrale, dove Rafa avrà giocato mille volte, oggi scenario di una sfida all’ultimo sangue fra due ultraveterani, e gli altri campi occupati dalla scuola tennis.
Superata ormai la barriera della banalità, mi piego perfino a un selfie e a una chiacchierata con il custode, che mi dice che Rafa qua non ci viene più e mi indica il posto esatto dove si allena adesso. A pochi chilometri, sulla strada che da Manacor va verso Cales de Mallorca, c’è il Polisportiu Miquel Angel Nadal, il centro sportivo comunale dedicato allo zio di Rafa, ex calciatore del Mallorca, del Barcellona e della Nazionale. Lì accanto le ruspe stanno lavorando per la costruzione dell’accademia di Rafa e ci sono i campi dove si allena abitualmente, tre in terra battuta e cinque in cemento, di proprietà di Nadal, ma per il momento ceduti in usufrutto al Comune di Manacor. È sabato ed è una giornata meravigliosa, ma i campi sono deserti. No, un momento… non proprio deserti … in lontananza si intravvede un maestro che sta dando lezione ad una ragazzina. Più mi avvicino, più la sua sagoma mi risulta familiare: ma certo! è Tomeu Salvá, anche lui di Manacor e amico fin dall’infanzia di Rafa, con cui da bambino ha iniziato l’avventura nel mondo del tennis. Scambio due parole con lui e mi dice che i campi verranno poi inglobati nell’accademia e che lui, naturalmente, farà parte dello staff. Tomeu, insieme a Rafa e Marcel Granollers, è stato campione del mondo under 14, campione d’Europa junior, poi ha intrapreso la strada del professionsimo, ma con risultati non proprio eclatanti: un best ranking intorno al 300 mondo, una decina di Futures vinti, un paio di finali in doppio in tornei Atp insieme a Rafa, e un ritiro prematuro a 22 anni, con 100.000 dollari in banca, il budget dedicato da Nadal in un anno per l’acquisto delle noccioline. Chissà se l’hanno fermato le lesioni o la frustrazione o i sogni infranti o la mancanza di fondi, e chissà che effetto gli fa pensare che in questo preciso momento Rafa sta giocando agli Australian Open davanti a milioni di persone. Mi chiedo chi in fondo sia più felice, se il campione che passerà alla storia del tennis, ma che non può né potrá mai andare a farsi una passeggiata in nessun angolo del mondo senza essere riconosciuto, oppure il suo amico “sfigato” ma anonimo per i più, e sinceramente non so che cosa rispondere. Felicità, successo e ricchezza non necessariamente procedono di pari passo. E questa è vera democrazia.
Proseguo il mio itineriario verso Porto Cristo, a una decina di chilometri da Manacor, antico porto di pescatori oggi gettonata destinazione turistica, famosa anche per le spettacolari grotte del Drach. Le leggende sull’origine del nome sono molte, ma secondo alcuni si chiama così perché anticamente dei pescatori italiani vollero ringraziare con un’immagine votiva di Gesù la buona sorte che li aveva fatti scampare a un naufragio. Da queste parti, mi dicono, Rafa viene spesso avvistato, anche perché ormeggia la barca con la quale ama andare a pescare. Di barche, barchine e barchette ce ne sono a centinaia, per tutti i gusti e i portafogli, e chissà dove sarà la sua. Il porto è deserto, i locali chiusi, tranne un paio di ristoranti. Penso al frastuono che ci deve essere in alta stagione, mentre adesso sento solo il cigolio che fanno le gomene tese per l’oscillare delle imbarcazioni, e un rumore lontano di piatti e posate che proviene da uno dei pochi appartamenti aperti. Il mare d’inverno… è un concetto che il pensiero non considera … dice la canzone. Mi prendo un cappuccino con una ensaimada, il dolce tipico maiorchino a forma di spirale, una sorta di perverso incrocio fra un croissant e un bombolone, alterato geneticamente per avere un maggior numero di calorie. Poi prendo l’Aston Martin e torno a Palma.
La tradizione scolastica prevede che, alla fine di una gita, si ritorni verso casa “ripensando alla bella giornata trascorsa”, magari con il terribile sottofondo di canzonette assurde, che parlano di briganti che bevono whisky (iuhu!) in una caverna del monte Nero pensando ad amori lontani. Sulla strada del ritorno il mio sguardo all’indietro segue invece le parole del cantante degli Oasis che dall’autoradio mi suggerisce: don’t look back in anger. Ottimo consiglio, Noel. Me lo segno.
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