Molto spesso nella cinematografia moderna e contemporanea il tennis ha svolto la funzione di sfondo e collante narrativo, scenografia naturale e graziosamente descrittiva di luoghi, situazioni e classi sociali. Talvolta è stato usato come pretesto per raccontare storie banali, altre volte è parso un mero espediente riempitivo. Tre grandi registi sono stati invece capaci di mettere in scena il tennis restituendogli la dignità e la significanza che merita. Ricostruendo una cronologia dei grandi autori che hanno mirabilmente inserito la racchetta nella loro cinematografia, riconosciamo come apripista l’immenso Alfred Hitchcock. A un occhio attento, previa visione della sua vasta produzione autoriale, appare evidente come il tennis sia un tema ricorrente in moltissime delle sue pellicole. A partire da ‘Fragile virtù’, film muto del 1928, la storia della discesa agli inferi di Larita, una libertina ribelle del bel mondo dell’epoca. Nel film vi è una scena memorabile in cui la protagonista assiste a un match di doppio e viene colpita al volto da uno dei tennisti in campo. In seguito il giovane finirà per innamorarsi perdutamente di lei ma il passato da femme fatale di Larita le precluderà la felicità ancora una volta. L’originalità della scena in questione sta nella scelta stilistica di Hitchcock, che inquadra l’intera azione attraverso la rete di una racchetta, poggiandola sopra la telecamera.
Come non ricordare inoltre ‘L’altro uomo’, capolavoro del 1951 tratto da un racconto di Patricia Highsmith, il lavoro in cui ha più profuso il suo amore per il tennis. Nella pellicola un noto tennista viene avvicinato da un estraneo su un treno che lo riconosce e lo lusinga. L’estraneo, presentatosi come Bruno Anthony, gli propone uno scambio di omicidi per poter entrambi beneficiare dalla morte di chi li ostacola nella loro ricerca della serenità e del benessere. Alla star della racchetta pare all’inizio uno scherzo di cattivo gusto ma gli toccherà ricredersi quando scoprirà che la sua ex moglie, cocciutamente contraria al loro divorzio, è stata misteriosamente soffocata in un luna park. In questo lavoro di Hitchcock il culmine della suspence viene raggiunto proprio durante un match di tennis. Il maestro del giallo ha qui intelligentemente fuso l’intreccio con lo svolgimento dei game, risaltando al massimo la tensione del momento. Come non ricordare ancora che il protagonista di ‘Delitto Perfetto’ del 1954, magistralmente interpretato da Ray Milland, è un tennista professionista in declino che, proprio per paura di restare senza soldi, organizza l’omicidio della ricca moglie innamorata di un altro uomo. In moltissime altre pellicole di Hitchcock, ‘Prigionieri dell’oceano’ e ‘Nodo alla gola’ tra gli altri, il tennis torna ad essere metafora sottile di una forma competitiva addomesticata, espressione e catarsi di quella rabbia e quell’insoddisfazione implosa in un universo ordinato e dotato di regole, colpevoli e innocenti, carcerieri e vittime.
Appassionato della racchetta dentro e fuori dal set, Woody Allen, un altro indiscusso maestro del cinema, ha sempre avuto un tale debole per il tennis tanto da renderlo parte integrante di suoi svariati film. Come dimenticare il fatto che in ‘Io e Annie’, magnifico film del 1977, Alvy incontri Annie per la prima volta proprio durante un doppio misto giocato tra amici comuni, su un campo sintetico newyorkese? E che le prime battute che i due si scambiano sono a proposito del rispettivo gioco? Vale la pena ricordare che anche nella sua ultima commedia, ‘Magic in the moonlight’, viene messo in scena un match, questa volta su un delizioso campo di terra rossa in Costa Azzurra, sfondo della conversazione tra i due protagonisti a colazione. Certamente il film che più di ogni altro ha restituto alla cellulosa l’amore che Allen nutre da sempre per questo sport è ‘Match Point’, pellicola del 2005. Qui il regista di New York trasla il tennis fino a renderlo un’allegoria del senso stesso della vita, caricandolo di significati filosofici dall’eco fatalista. Nelle prime scene del film riecheggia prepotente il pessimismo cosmico nietzschiano. Sulle prime note di ‘Mi par d’udir ancora’ dell’opera ‘I pescatori di perle’ di Georges Bizet, appare un’inquadratura di una rete e si vede scorrere una sequenza di scambi di palle. Ad un tratto la pallina tocca il nastro ma il regista non ci mostra da che parte cadrà. Le parole che sceglie di far recitare al suo protagonista sono profetiche e rivelano il taglio che Allen ha scelto di dare alla storia che sta per raccontare: “Chi disse: “Preferisco avere fortuna che talento” percepì l’essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince. Oppure no e allora si perde.” Il film narra le vicende di Chris, ex tennista di buon livello, ora costretto a fare il maestro di tennis in un prestigioso circolo londinese. Grazie alla sua passione per l’opera e per la letteratura russa del 1800, fa amicizia con Tom, suo facoltoso allievo, che subito lo introduce alla sua famiglia. Chris frequenta ufficialmente Chloe, sorella di Tom, ma allo stesso tempo porta avanti una relazione clandestina con la fidanzata di Tom, Nola, un’attrice americana incline alla bottiglia. Presto Chris farà i conti con le difficoltà che sorgono dentro di lui, diviso tra passione e convenienza, ragione e sentimento. Nonostante vi siano molte scene di tennis nel film, lo sport emerge soprattutto nella filosofia complessiva dell’opera.
Quante volte la fortuna ha influito nei più memorabili match della storia di questo sport? Quanti nastri hanno pregiudicato trionfi e quanti hanno regalato sorprese? Da appassionati di tennis è impossibile restare indifferenti alla sorte, talvolta provvidenziale e a volte davvero avversa. Quale altro grande regista ha saputo utilizzare il tennis in modalità rappresentativa del suo universo estetico? Sicuramente Wes Anderson. Se già in ‘Rushmore’, film del 1998, aveva deliziato i suoi fan appassionati di tennis, mostrando i tre protagonisti in perfetta tenuta da match con la sua solita cifra stilistica originale e retrò, ne ‘I Tenenbaum’ regala molto più sport. Grande fan del tennis nella vita reale, Anderson, nel suo film più celebre, ha scelto di ritrarre un tennista in disgrazia tra i protagonisti, Richie Tenenbaum. Richie, segretamente innamorato della sorella adottiva Margot, ha un crollo di nervi durante un match a causa della presenza in tribuna della sorella col marito appena sposato e in seguito all’episodio decide di ritirarsi anzitempo dal tennis professionistico. La scena è assai ironica e paradossale, Richie, soprannominato dai suoi ammiratori ‘Baumer’, smette di giocare e si prodiga in un teatrino dell’assurdo causando lo stupore assoluto dei due commentatori del match: “E’ la settantaduesima volta che Tenenbaum sbaglia la risposta, sta giocando malissimo, che cosa avrà, lo chiedo a te Tex?” “Non lo so Jim, c’è qualcosa che non va, ora si è tolto le scarpe e uno dei calzini, mi sembra che stia piangendo.” Richie fissa sconsolato Margot e si arrende all’avversario, causando anche un danno finanziario all’opportunista padre, scommettitore assiduo, sempre convinto delle capacità del figlio fino a quel momento. Anderson ci dipinge una dimensione colorata di tinte pastello e personaggi bizzarri, dove il tennis è un ennesimo colorito artificio utilizzato sapientemente allo scopo di descrivere un piccolo mondo fragile ma straordinariamente autentico.
In conclusione si può affermare che grandi autori del cinema di oggi e di ieri abbiano posto spesso il tennis al centro della loro arte. Questo perché certamente ne hanno compreso la bellezza, la forza e il sacrificio. Perché hanno speso molto del loro tempo ad assistere a match memorabili disputati nei grandi teatri del tennis mondiale tra i più i grandi dei campioni mai esistiti, così come ne hanno investito nel giocare loro stessi a questo bellissimo sport. Il fatto che abbiano sentito il bisogno di renderlo parte della loro espressione artistica conferma non solo la loro passione personale ma sottolinea soprattutto come il tennis sia ormai patrimonio culturale dell’umanità.