Partiamo da una premessa, ovvero che la premessa di questo pezzo è scorretta. Si parlerà, infatti, di “gilbertificazione” dei tennisti, con riferimento al celebre Winning Ugly di Brad Gilbert, ma non tutti gli esempi che citeremo sono un buon esempio di quel libro. Lo scritto di Gilbert, infatti, tratta principalmente di come erodere i nervi dell’avversario, ma non ci troverete scritto di menarlo nè tanto meno di portare avanti provocazioni senza senso. Winning Ugly è gelidamente concepito secondo il concetto di azione e reazione, ogni cosa ha uno scopo, mentre a volte provocazioni infantili senza effetto vengono erroneamente ascritte alla categoria delle “gilbertate”. Già, ma se volessimo fare una scala di tennisti in attività (con un’eccezione di lusso), quale sarebbe? Proviamoci.
Stanislas Wawrinka
Bravo e antipatico per definizione, lo svizzero viene spesso ascritto alla categoria degli scorretti. Mi permetto di dissentire. Una volta lessi un aneddoto su Koellerer, che fuori dal campo si era fermato a giocare a lungo a backgammon con un ragazzino: un gesto buono e spontaneo che marca la differenza tra uno che vuole sembrare insopportabile e uno che semplicemente lo è. Stanislas Wawrinka, infatti, a volte è insopportabile di brutto, ma non lo fa con uno scopo. Semplicemente è così. Prendiamo l’imitazione della zoppia di Cipolla agli Us Open: arrivò in un momento in cui lo svizzero stava rimettendo in sesto la partita e l’avversario aveva difficoltà fisiche, non c’era bisogno di innervosirlo. Oppure il divorzio dalla moglie, con cui già aveva rotto in passato adducendo come motivo la necessità di pensare solo al tennis: l’episodio ha tutto quello che serve per farsi detestare dal grande pubblico. Lascia una bella donna che però non è propriamente una wag e (si mormora) comincia a uscire con una diciottenne dal visino d’angelo tanto amato dagli uomini e tanto odiato dalle altre donne. Insomma, non fa lo stronzo, è proprio così. Ma quanto è bravo…
“Aspè, forse questa era calcolata…”
Livello di Gilbertificazione: 1/5
Thomaz Bellucci
Un nome che forse non tanti avrebbero detto, anche perché non è che abbia tutta sta visibilità mediatica. Lui, però, tra tanti tennisti ha la caratteristica di riuscire a collocarsi nel mezzo: non scende in campo con l’idea di infastidire l’avversario, ma quando la circostanza lo richiede è l’arcivescovo del “Fatte li cazzi tua”, una sorta di Razzi in pantaloncini e scarpette. Prendiamo il Challenger di Bogotà del 2013, quando perse il secondo set contro Lorenzi fallendo cinque match point di fila nel tie-break (ed era in vantaggio di un set). In una situazione psicologicamente tutta a favore dell’italiano l’arbitro chiama l’interruzione del match quando c’era ancora luce: si inizia a discutere e Bellucci… se ne va! Vincerà il match il giorno dopo. Oppure prendiamo le semifinali di Sao Paulo l’anno prima, quando il pubblico organizzò una specie di gogna contro il suo avversario di Leonardo Mayer: lui non fece partire la cosa, ma una volta partita c’è da dire che ci sguazzava una bellezza. Più che scientifico, se stimolato è un po’ carognetta. Ancora acerbo.
“Massima cattiveria? La linguaccia”
Livello di Gilbertificazione: 2/5
Novak Djokovic
Più lui di Nadal e Murray: lo spagnolo più che altro è specializzato nel lamento “a posteriori”, fatto con la ruffianesca formula del “Non è bello parlare delle condizioni fisiche, lui è stato più bravo” che viene interpretato da tutti come “Stavo morendo”. Lo scozzese a volte è tanto carogna, ma anche il suo è un caso wawrinkiano, un omicidio senza premeditazione. Il serbo, invece, è un killer e la sua vittima preferita è il “momentum” dell’avversario. I suoi time out medici li usa come i time out del basket, per spezzare il ritmo all’avversario. C’è chi di recente ha sostenuto che il serbo si fosse dato una calmata al riguardo: mal gliene è incolto, visto il time out chiamato contro Murray. In realtà in questi mesi ne aveva meno bisogno semplicemente perché le vinceva tutte, ma quando le difficoltà fanno capolino all’orizzonte il primo punto della strategia di contrattacco è sempre lamentare un possibile infortunio per poi rimbalzare sul campo come Tiramolla dopo dieci minuti. Con lui facciamo un passo avanti, decisamente.
“Dottò, mi fa male il minollo”
Livello di Gilbertificazione: 3/5
Radek Stepanek
L’aneddoto l’avrò raccontato mille volte, ma ci torno su: Roma 2008, Stepanek agli ottavi se la gioca con Luis Horna, cagnaccio peruviano più giovane di lui di due anni. Stepanek va su e giù come uno stantuffo, porta a casa il primo set senza dare la sensazione di dominare, poi nel secondo set l’avversario comincia ad arrotare come sa e lo fa a fette: 6-1. Il terzo comincia con Radek in evidente sofferenza e Luis in palla. Poi Stepanek viene pervaso dalla necessità improvvisa di disfare e rifare il grip della racchetta, il tutto con la lentezza di un monaco certosino. Horna va fuori giri, concede una palla break ed è quella fatale. In precedenza Stepanek aveva fatto fuori Ferrer impedendo agli inservienti di bagnare il campo e costringendo il buon David a giocare sul cemento. Ecco, con Stepanek ci avviciniamo alla gilbertificazione totale.
“Sì, va rifatto il grip”
Livello di Gilbertificazione: 4/5
Daniel Koellerer
Un errore classico dell’umanità è quello di tendere a fare la caricatura di ciò che sembra fuori dalla norma: lo si fa per cose molto serie (tipo il dipingere i boss mafiosi con baffo, coppola e lupara), ma anche in situazioni decisamente più leggere. Ad esempio Dani Koellerer è stato considerato una scheggia impazzita in un mondo all’insegna del politically correct, ma a me tanto pazzo non sembrava. La testa calda non si contiene: infrange il regolamento, becca sanzioni, passa il limite spesso e volentieri. Koellerer è sempre stato un equilibrista sul filo del limite del regolamento: la parolina di troppo, le perdite di tempo, le gomitatine al cambio campo quando nessuno guarda. E le reazioni studiate, la faccia angelica e sorpresa quando Koubek provò a strangolarlo dando corpo ai sogni di tanti appassionati. Tutto studiato, tutto calcolato, tutto scientifico. Persino Gilbert si sarebbe inchinato. All’Atp non sarà parso vero di potersene liberare quando l’hanno scoperto protagonista di una combine. Troppa grazia, sant’Antò…
“Anche io, anche io!”
Livello di Gilbertificazione: 5/5
Leggi anche:
- None Found