di Giovanni Fonio (con Lorenzo Andreoli)
Devo essere sincero. Brescia 2017 resterà sempre nel mio cuore. L’esordio nel main draw di un torneo Challenger, in fin dei conti, me lo ero immaginato diverso. Avevo appena finito di pranzare, ero in tribuna a ridere e scherzare con gli altri ragazzi italiani, in attesa di veder giocare Lorenzo Sonego, quando ad un tratto mi si sono avvicinati: “Giovanni, Sijsling si è ritirato. Sbrigati che devi scendere in campo fra dieci minuti”. Col senno di poi sono certo sia stato un bene. E’ una sensazione rara quella di entrare in campo tranquillo, senza avere assolutamente nulla da perdere. Affrontare un avversario più forte, con una classifica migliore, impone di entrare nel match ore ed ore prima. Alimenti l’ansia, la paura di non fare bella figura e il braccio non va come dovrebbe e come vorresti. In quel caso non ne ho avuto il tempo materiale, ho “semplicemente” giocato a tennis e come per magia è arrivata quella che, senza dubbio, è fino ad ora la vittoria più importante della mia carriera.
La vittoria con Sonego mi ha dato molta consapevolezza, oltre il risultato. Il 2017 è stato un anno davvero intenso, un anno che mi porterò dentro a lungo. Ho iniziato la stagione senza avere classifica ATP, pur avendo la certezza di essere al posto giusto al momento giusto. Mi sono sbloccato in Portogallo, a Vale do Lobo e da quel momento in poi ho iniziato a vivere solo sensazioni positive. Vincere è importante ma sono stato a lungo alla ricerca di altro. Lottare, giocarsela fino in fondo con chi sai essere più forte o più in condizione di te, sono aspetti di questo sport che se non li vivi fai fatica a spiegarli.
Ho sempre chiesto al tennis di farmi vivere questo genere di emozioni. Le prime ricordo di averle provate ormai dieci anni fa, grazie ai primi risultati a livello regionale. Partita dopo partita ero sempre più certo che non avrei mollato la racchetta per alcun motivo. Volevo fare del tennis la mia vita e per questo ho scelto di trasferirmi al Centro Tecnico Federale di Tirrenia, dove sono stato dai 14 ai 18 anni. Un’esperienza del genere ti stravolge l’esistenza e sento di essere riuscito a sfruttarla nel migliore dei modi crescendo prima come uomo, poi come tennista. Tornando indietro di alcuni anni ricordo le difficoltà dei primi tempi lontano da casa, catapultato in un mondo nuovo in cui si è costretti a maturare molto velocemente. Tirrenia è stata la mia più grande fortuna. Ho iniziato a viaggiare, a visitare posti nuovi e a confrontarmi con culture diverse. E so di essere soltanto all’inizio.
Tutto questo senza condivisione avrebbe avuto molto meno senso. Il primo pensiero va subito ai miei genitori e a mio fratello Tommaso, che mi hanno sempre incoraggiato senza farmi mai mancare nulla, infondendomi fiducia e l’amore che questo sport merita. Loro ci sono sempre. Ci sono con intelligenza, sanno che non è giusto interferire nel mio lavoro e nel rapporto con Matteo Sacchi, il mio allenatore. Matteo è una persona speciale. In due anni di collaborazione abbiamo instaurato un rapporto speciale che va ben oltre il campo e che credo sia uno degli aspetti principali da cui possono nascere buoni risultati. E’ una questione di equilibri. Con un coach non ci si può limitare a colpire palline per ore ed ore, ma allo stesso tempo può essere dannoso diventare amici. Bisogna essere bravi a camminare sul filo, senza sbilanciarsi troppo.
I rapporti interpersonali sono una fetta fondamentale di quella torta che è la nostra esistenza. Alla mia età hanno un peso specifico rilevante e una delle migliori qualità di un atleta è proprio quella di sapersi gestire in queste occasioni. Ho imparato a mettere ai margini del mio lavoro i pensieri, piccoli o grandi che siano, che nascono quotidianamente nella vita privata. Ho fatti grandi passi in avanti da questo punto di vista negli ultimi anni, anche se non nascondo che a volte è molto difficile astrarsi completamente dalla realtà. Sarebbe bello poter avere la possibilità di schiacciare un bottone, azzerare tutto e ripartire ma così non è. Guai a mettersi paletti a priori, però. La vita va vissuta in tutto il suo splendore e spesso dai problemi nascono delle opportunità. Mai demordere, anche nelle difficoltà.
Facciamo un lavoro bellissimo ma mentirei a me stesso se mi convincessi di essere stato sempre sereno, in ogni momento della mia giovane carriera. L’ansia e lo stress sanno come essere gli avversari più duri. I momenti bui arrivano sempre per tutti e convivere con uno stato d’animo negativo può fare più male di una sconfitta in finale al tie-break del terzo set. Fra il dire a noi stessi di sentirsi forti ed il riuscire a farlo concretamente c’è davvero un oceano. Mi è capitato di passare giornate infinite a chiedermi se questa fosse davvero la strada giusta e sebbene abbia avuto alcune indecisioni nel mio percorso di crescita sono sempre riuscito a superarle con fermezza. L’ho fatto da solo, è un lato del mio carattere. Tendo spesso a tenere tutto dentro pur sapendo che la soluzione migliore la si trova aprendosi e parlando con le persone che ci vogliono bene. Ciò che conta di più è l’aver intrapreso un cammino. Quando si sceglie una strada bisogna arrivare al traguardo e solo facendo del tennis il mio credo so di poterci riuscire.
Non riesco a smettere di guardare avanti. Il tennis è la mia vita e voglio che sia così ancora per molti anni. Il circuito mi sta facendo diventare uomo, mi ha regalato amicizie fantastiche che spero di portare avanti per sempre. L’ambiente, scontato dirlo, è molto competitivo ma ciò non mi ha impedito di stringere legami autentici. Invidia è una parola che non conosco. Le sconfitte dovrebbero avere il pregio di farci crescere, di migliorarci, di spingerci a dare qualcosa in più rispetto a ciò che si è fatto l’ultima volta. Quando un amico fa bene sono il primo ad essere contento e a sentirmi stimolato nel provare a raggiungere i suoi risultati.
Ora voglio giocare e fare esperienza. Un atleta si costruisce giorno dopo giorno, imparando a pianificare allenamenti e tornei, conoscendo il proprio corpo con i suoi pregi e i suoi limiti. I punti arriveranno, non c’è bisogno di mettersi pressione. Non sono il tipo che programma a lungo raggio ma è giusto avere dei sogni. I miei sono raggiungere la top 100 e poter giocare i tornei dello Slam.