di Cecilia Castelli (con Corrado Degl’Incerti Tocci)
Da piccola ho sempre giocato a tennis. Più o meno da quando ho memoria sono sempre stata conosciuta come “la tennista”, in casa e fuori. Ero forte, avevo fatto finale alla Lambertenghi e ai campionati italiani U14, ero costantemente tra le prime in Italia della mia categoria. La scuola veniva dopo: per un periodo ho frequentato la scuola privata per dare più spazio agli allenamenti, ma non mi piaceva. Mi sentivo fuori luogo, senza rapporti sociali. Avevo successo ma non era quello che volevo veramente. Vivevo tutto questo come una fatica e non ero sicura che fosse davvero la mia strada, mi piaceva studiare e conoscere persone della mia età ma non ne avevo la possibilità.
Poi mia mamma ha cominciato a stare male. Io ad avere diversi, tanti problemi, fino a che anche il tennis è passato in secondo piano. Ho ripensato alla mia vita, rivisto le mie priorità, cominciato a dare importanza a quello che volevo veramente. Ho smesso addirittura di giocare a tennis. Però pensavo: “Ho giocato tutta la mia vita, ho fatto un milione di sacrifici per questo sport. E adesso? Adesso cosa faccio con tutto quello che il tennis mi ha dato?”. Ho cominciato ad informarmi sulle università americane e per vie traverse sono entrata in contatto con Corrado Degl’Incerti, che tramite StAR mi ha aiutato a trovare quella che sarebbe diventata la mia università: Temple University, in Pennsylvania. La morte di mia madre era stata una sveglia, ma la scheggia per cambiare vita è partita davvero quando sono arrivata negli Stati Uniti.
In America ho iniziato una nuova vita. Qui non ero conosciuta come “la tennista” ma finalmente potevo essere semplicemente Cecilia. Potevo reinventarmi e ricominciare da zero, essere finalmente me stessa senza sovrastrutture e creare una versione di me stessa diversa, migliore. Non è stato semplice, per niente: dovevo sedermi in mensa con gente a caso e cominciare a parlare, dovevo vincere la mia timidezza, fare fatica, aprirmi. Nel dormitorio non conoscevo nessuno perché tutte le mie compagne di squadra erano più grandi e vivevano in appartamento, io ero sola e abbandonata a me stessa. Non è stato facile svegliarsi ma ce l’ho fatta. Ho cominciato a sorridere sempre, anche quando le cose andavano male. Ho capito una cosa fondamentale: la vita non è mai così male come pensiamo, anche se le cose vanno per il verso sbagliato, anche se ci troviamo davanti delle sfide che ci appaiono insormontabili.
Qui negli Stati Uniti ho conosciuto un sacco di gente, gente che mi ha dato tantissimo e che mi ha fatto stare bene, che mi ha regalato momenti indelebili che mi porterò dietro per tutta la vita. Ho conosciuto una ragazza tedesca con cui parlo di tutto e, anche se ancora faccio errori con l’inglese, so che mi apprezza per quello che sono. Ho conosciuto un’altra ragazza mediorientale con cui adesso sono molto legata. Ho vissuto momenti indimenticabili con i miei compagni e ho ricevuto risposte altrettanto significative che non avevo mai ricevuto a casa. Ho capito una cosa: questi sono gli anni più belli della mia vita, gli anni che ricorderò per sempre, costellati di amicizie fantastiche e di esperienze di tutti i tipi. Sono gli anni più belli della mia vita perché forse ho imparato che cos’è davvero la vita. Ho capito quanto è importante avere una buona considerazione di se stessi e non farsi troppo influenzare dagli altri, fare le proprie scelte e capire che il successo non è altro che il realizzarsi in quello che si vuole fare veramente e non è sporcato dal giudizio degli altri.
Certo, mi sono dovuta adattare in tante cose. Nel tennis, per esempio. Non sono mai stata una giocatrice da veloce e questo mi metteva in difficoltà. Non mi piacevano gli allenamenti, si facevano esercizi noiosi e tantissimo palleggio, il tutto per tre ore ogni giorno. Giocavo male, avevo sempre le gambe imballate ed ero a malapena in formazione. Ho dovuto reagire, ho capito che dovevo trarre il massimo da un tipo di allenamento che non mi piaceva, ma dovevo essere in grado di adattarmi e di essere contenta. Pian piano ho cominciato a divertirmi come non mi divertivo da quando avevo dodici anni con la racchetta in mano, ho gettato via l’ansia che mi attanagliava e sono ritornata ad essere in pace, sicura e felice di essere su un campo da tennis. Ho cominciato anche a giocare molto meglio e a guadagnarmi posizioni più alte in squadra, il che mi ha dato ancora più fiducia. Nelle partite ufficiali c’è un clima formidabile. Anche se abbiamo i campi abbastanza lontani dal campus c’è sempre gente a vederci e, visto che abbiamo un ottimo rapporto con la squadra maschile, ci troviamo sempre il loro tifo e i loro cori da stadio che creano un’atmosfera spettacolare.
Un’altra materia in cui mi sono dovuta adattare è lo studio. Il sistema qui è molto diverso. Considero l’Italia nettamente superiore a livello delle nozioni che vengono apprese, ma qui il focus dell’università sembra essere più sull’esperienza, sulle relazioni. L’università mi dà modo di guardarmi intorno, di stringere amicizie e uscire di casa. Sono messa in condizione di andare a tantissime conferenze, di conoscere persone e di fare networking, di informarmi sul mio futuro lavoro e di capire veramente come funziona quel mondo. Non ci sono solamente nozioni ma progetti pratici che ti formano per affrontare la realtà che c’è là fuori. Poco tempo fa siamo andati a New York insieme all’università per un congresso a cui erano presenti tantissime aziende, rappresentanti Adidas e di altre realtà del mondo dello sport, della finanza e del business internazionale. Dopo un po’ capisci che queste attività, in fondo, forse hanno anche più valore di una formazione di stampo molto accademica come quella italiana.
In ultimo, gli orari. Con tutte le cose che ci sono da fare siamo sempre tirati. Allenamento di tennis dalle 6.30 alle 9.30, atletica dalle 10 alle 11, lezione dalle 11 alle 13.50, meeting caffè (in cui ci troviamo con amici di altri sport per conoscerci), fisioterapia alle 14.30 e poi doccia, riposo e lezione di nuovo alle 17.30 fino alle 20. Di solito ceno con delle mie amiche e compagne di squadra e poi a letto presto, perché se cominci ad essere stanca è finita, non ti riprendi più. Non sono una tipa da discoteca o house party, ma ogni tanto nei fine settimana lo “sgarro” si può fare.
Insomma, non è tutto rose e fiori e, nello stesso tempo, è bellissimo. È un’esperienza completa che ti obbliga a conoscere, a uscire, a vivere nel vero senso della parola. Io mi sono sforzata di uscire dalla mia zona di comfort ed è stata la scelta migliore che abbia mai fatto. Questi sono gli anni più belli della mia vita perché adesso sono felice di chi sono, di quello che ho raggiunto, delle persone che ho intorno a me. Sono fiera di me e sono fiera di quello che sono riuscita raccogliere, dopo anni brutti e dopo non essere stata pienamente felice per lungo tempo. Un’esperienza di questo tipo può dare tantissimo sotto mille aspetti, molti dei quali non ci si può neanche immaginare. Il tennis, lo studio, l’atmosfera, le persone: non mi dimenticherò mai di tutto questo.