di Francesca Bentivoglio (con Giulia Rossi)
“Ma io che ci vado a fare a Roma, mi prendono a pallate”. Questo pensai quando mi comunicarono che avrei ricevuto una wild card per le qualificazioni degli Internazionali di Roma del 1993.
Ed è ciò che dissi subito al mio maestro Omar Urbinati, perché all’epoca mi allenavo nella sua Accademia a Milano Marittima: la mattina andavo a scuola e il pomeriggio alternavamo il tennis all’atletica. Stavo giocando bene in quel periodo, insomma ero stata la più forte under 12 e under 14 in Italia e avevo anche vinto l’Orange Bowl, ma la settimana prima di Roma non ero per niente in forma, anzi, se vogliamo proprio dirla tutta, non avevo alcuna voglia di andarci. Non mi sentivo assolutamente pronta per un salto del genere. È sempre stato nel mio carattere pensare di non riuscire a fare qualcosa e buttarmi giù in anticipo. Ma cosa potevo pensare di combinare io, a 17 anni appena compiuti e con una classifica oltre la 300esima posizione nel torneo principe in Italia?
E invece fu la settimana più bella della mia vita e il ricordo più vivo che ho della mia carriera. Fin dalle prime partite percepivo quella sensazione fantastica di essere un tutt’uno con l’ambiente intorno a me; più giocavo e più entravo in forma, ero come sospesa in un limbo magico in cui mi riusciva tutto. Avevo vinto i primi due turni di qualificazioni contro giocatrici più brave di me, ero entrata nel tabellone principale ma sentivo che questo non mi bastava. Man mano che battevo tenniste sempre più forti mi caricavo e pensavo tra me e me: “Allora aveva ragione il maestro!”.
La partita che ricordo più volentieri è il secondo turno contro Jana Novotna. Devo ammettere di aver giocato davvero bene. Non so da dove io sia riuscita a tirare fuori tutta quella determinazione e soprattutto la concentrazione nei momenti chiave di un match vinto “sull’unghia” 7/5, 7/6 contro la numero 9 del mondo. Io, che la settimana prima ero 300 posizioni più in basso. Poi la Zvereva, con cui ho lottato per quasi tre ore fino a mezzanotte; nemmeno il tempo di andare a letto e il pomeriggio dopo ero di nuovo in campo per i quarti di finale contro Gabriela Sabatini. È successo tutto molto in fretta, in 5 giorni avevo dato tutto quello che avevo, fisicamente e mentalmente. Il primo game l’avevo vinto io perché ero ancora su di giri, ma ricordo che già dal secondo cominciò a girarmi la testa per la stanchezza, non mi era mai accaduto prima, continuavo a ripetermi: “No non posso svenire di fronte a tutta questa gente!”. È stata la paura della vergogna a non farmi crollare a terra. Ero distrutta, lei invece era più fresca e riposata e ha chiuso con un doppio 6/1. Peccato davvero.
Dopo Roma ho giocato il Roland Garros, sono arrivata ai quarti agli Internazionali di San Marino e ho vinto lo US Open Juniores, mica male. Il 1994 è stato l’anno della maturità: in una parola i miei ci tenevano che finissi il liceo e che andassi all’università. A scuola andavo molto bene, non ho mai perso un anno e mi sono diplomata con 55/60. Mi hanno sempre detto che la decisione doveva essere solo mia, dato che ero maggiorenne. E quando si devono prendere delle decisioni per me è sempre un dramma. Premesso che non si è mai pienamente consapevoli in quei momenti, se avessi avuto l’appoggio dei miei genitori forse sarebbe andata diversamente.
Così mi sono iscritta all’università. Non ho smesso subito di giocare, anche perché ero impegnata con il campionato a squadre. Quante volte mi sono sentita dire “Ma che hai fatto, eri il futuro del tennis italiano!”. Troppe, tanto da darmi fastidio. Tutti esprimevano la loro opinione a riguardo, ognuno dava la posizione in classifica dove sarei potuta arrivare. Eh, davano letteralmente i numeri… la verità è che non lo saprò mai. E se mi fossi infortunata? E se mi fossi stancata di prendere due aerei alla settimana? Ci sono talmente tante variabili nella carriera di un tennista che non è possibile fare delle previsioni a posteriori. Mi sono semplicemente scelta una vita più tranquilla. inutile dire che non sia stato indolore, ci ho pensato molto e i primi anni è stato davvero difficile. Sinceramente mi aspettavo delle telefonate che invece non sono mai arrivate, ad esempio quella della Federazione, ma ho il sospetto che siano state filtrate tutte dai miei genitori. L’unico che mi parlò a quattr’occhi fu il mio preparatore atletico a Faenza, Davide Landi, mi ricordo una giornata d’estate al mare, un caldo incredibile…
“Francesca, ci hai pensato bene? Pensaci per favore, perché secondo me tu devi continuare, sei un talento, sei una promessa del tennis non italiano, ma mondiale! Hai tutte le carte in regola per farcela, promettimi che ci penserai bene”. L’unico, lui fu l’unico a parlare apertamente con me.
Invece mi sono laureata in Economia, ho lavorato per anni in un gruppo finanziario, poi l’azienda si è trasferita a Bologna nella sede centrale, non mi trovavo più bene e quella è stata l’occasione per sganciarmi. Non ho mai sbandierato a nessuno la mia vita precedente, semmai qualcuno ogni tanto mi riconosceva, soprattutto all’inizio, ma mai avrei detto: “Piacere, sono Francesca Bentivoglio, ex numero 73 del mondo”.
Un paio di anni fa mi sono riavvicinata al tennis e sono rientrata in un circolo un po’ in sordina, ma sono subito venuti a sapere che mi ero reintrodotta, non pensavo di avere ancora un nome! Ora insegno felicemente in un circolo a Ravenna, ai Tre Laghi. Gioco anche la Serie B di Paddle per il TC Faenza, non me la cavo male nemmeno lì… chissà, forse era scritto nel Destino che avrei dovuto fare un lungo giro per poi tornare al punto di partenza. A volte nella vita succedono cose che non si spiegano, in fondo se ci penso bene ho conosciuto il tennis quasi per caso, perché mia mamma non sapeva a chi lasciarmi quando mio fratello andava a lezione e mi portava con lei. È cominciato tutto così.
Sono passati quasi 25 anni e non sono più entrata al Foro Italico dopo il 1993. Ho promesso a me stessa che quest’anno lo farò. Non so che tipo di emozioni proverò perché è tutto cambiato rispetto ai miei ricordi. Oggi il tennis è molto standardizzato, incentrato sul binomio fisico-potenza e appena vai in crisi ecco che arriva il mental coach. Talenti veri ce ne sono pochi, mentre quando giocavo io… oh, andiamo, ai miei tempi ho goduto del meglio del tennis femminile! C’erano Navratilova, Graf, Seles, Novotna, Sabatini, ognuna con una varietà di gioco diversa, uno spettacolo continuo ad ogni partita. Il tennis, i campi, le giocatrici, tutto diverso… addirittura alcune delle persone che ho incontrato in quei giorni non ci sono più. Povera Jana, quanto mi è dispiaciuto!
Quindi, caro tennis, se ripenso al passato posso dirti grazie. Mi hai regalato una giovinezza fatta di esperienze uniche al mondo, ho viaggiato, preso parte ad alcuni dei tornei più importanti del circuito, conosciuto dei veri e propri miti di questo sport, senza contare che mi sono divertita un sacco e ho ancora delle amiche con cui ricordo i vecchi tempi. Hai formato il mio carattere, sei riuscito a farmi diventare più tosta. È vero, quando ho deciso di dirti addio non è stato affatto semplice, però hai visto, alla fine ci siamo incontrati di nuovo, anche se per farlo sono entrata dalla finestra sul retro, in punta di piedi. Non ho rimpianti, adesso sono molto felice. E se un giorno avrò dei figli gli racconterò di quando mamma era una tennista e vinceva in un campo gremito di gente seduta all’ombra di enormi statue di marmo.