di Alessandro Mastroluca
Ha chiuso col suo colpo, Cuevas, il passante di rovescio. Ha chiuso 64 36 76 ma a Vanni resta una settimana irripetibile, che lo proietta al numero 107 del mondo, una prima volta da grande a quasi trent’anni, un sogno interrotto a quattro punti da un titolo che sarebbe stato troppo bello per essere vero. A quattro punti da una vittoria che l’avrebbe proiettato al numero 80 del mondo.
Primo uruguagio in finale a Sao Paulo, Cuevas è uomo da finali: tre ne ha giocate, tre ne ha vinte. E’ ingiocabile nel primo set l’uruguagio, che fa 20/20 al servizio (12/12 con la prima, 8/8 con la seconda), trasforma la prima palla break, nel nono game, e chiude il set con un parziale di 8 punti a zero. Il 6-4 sembra avviare la partita in discesa, ma il secondo set si apre su una scena diversa.
Vanni stampa un dritto lungolinea all’incrocio delle righe per chiudere il primo game del secondo set. Il Gigante Buono azzurro, che spera di diventare il primo giocatore fuori dalla top-100 a vincere un titolo quest’anno e il primo qualificato nell’albo d’oro del Brazil Open, se la gioca, se la gode, fino alla fine. Si porta avanti di un break in avvio di secondo set, salva una palla del controbreak con una di quelle generose sbracciate da fondo che gli hanno fatto guadagnare l’ammirazione degli appassionati nei tornei minori e la passione di tifosi nuovi in questa settimana da sogno, ne cancella anche una seconda e sale 3-0. Alterna potenza e controllo, ace a 200 kmh e palle corte velenose. Le geometrie illuminano l’Ibirapuera, potenza e sottigliezze si squadernano in tutta l’esistenziale complessità del tennis, soprattutto quando si fronteggiano due uomini, prima che due giocatori, con una storia, uno spessore, un valore che si traducono e si rispecchiano nello stile, nel gioco, nelle tattiche e nelle strategie.
Uruguagio di padre argentino, con un rovescio a una mano sicuro, piacevole, fluido, un rovescio alla Gaudio, lo stile di Cuevas è un tennis criollo, che riunisce le due sponde del Rio Uruguay, che ha il patriottismo orgoglioso di un popolo che vive di orgoglio e complessi di inferiorità verso i vicini brasiliani e argentini. Ha attraversato dolori e operazioni per un osteocondrite degenerativa che si è aggravata dopo il Roland Garros 2011 e una prima operazione andata male. “Non conoscevo davvero la data del mio ritorno. Io non avevo certezze e i medici non davano risposte” spiegava l’anno scorso, dopo il trionfo di Umag, il suo secondo e finora ultimo titolo in carriera, a Umag.
Vanni, che spera di diventare il primo giocatore fuori dalla top-100 a vincere un titolo quest’anno e il primo qualificato nell’albo d’oro del Brazil Open, se la gioca, se la gode, fino alla fine. Si porta avanti di un break in avvio di secondo set, salva una palla del controbreak con una di quelle generose sbracciate da fondo che gli hanno fatto guadagnare l’ammirazione degli appassionati nei tornei minori e la passione di tifosi nuovi in questa settimana da sogno, ne cancella anche una seconda e sale 3-0. Alterna potenza e controllo, ace a 200 kmh e palle corte velenose. Le geometrie illuminano l’Ibirapuera, potenza e sottigliezze si squadernano in tutta l’esistenziale complessità del tennis, perché si fronteggiano due uomini, prima che due giocatori, con una storia, uno spessore, un valore che si traducono e si rispecchiano nello stile, nel gioco.
Si oppongono due testardaggini, due caratteri forgiati da tutti i livelli di “gavetta”, due destini uniti da una stessa strada, costruiti con l’ottimismo e la perseveranza visionaria di chi lavora sul suo sogno e sa che prima o poi quel sogno diventerà realtà. Figlio di mobilieri, Vanni ha piallato e intagliato il suo tennis con la decisione del falegname. Il suo futuro, però, è nel tennis, e l’ace esterno che suggella l’ultimo game del secondo set, tenuto a zero, vale come dichiarazione d’intenti, come epifania, come rivelazione.
E’ una finale tesa, tutt’altro che bella. Lo spettacolo, comunque, è a suo modo avvicente e la suspence c’è stata davvero. Vanni trasmette entusiasmo e sudore, l’esuberanza di chi si parla da solo dopo un errore, la brillantezza di chi insiste a girare intorno al rovescio per martellare col dritto anomalo in diagonale.
Lo tradisce un po’ il rovescio sulla palla break del possibile 4-3, non il dritto: il passante stretto in diagonale, su un attacco comunque morbido, lo porta a servire per il match. Ma come nel secondo set con Souza, Vanni non chiude.
Nel giorno del quinto titolo ITF di Quinzi, che ha battuto il fratello d’arte Guillermo Coria a Sunrise, si apre una nuova alba sul futuro di Vanni nella città di Ayrton Senna.
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