di Sergio Pastena
Diciamocelo, come direbbe sor Larussa: quando il primo set è finito 6-4 per Montanes dopo che Fognini aveva giocato meglio di lui, buttando tre palle break e cedendo alla prima concessa, un po’ tutti abbiamo pensato che in fondo la partita stava andando come ci si aspettava. E’ vero che Fognini, parola dei telecronisti spagnoli del mio striminzito streaming, è “tennisticamente hablando” superiore, ma da un punto di vista mentale paga dazio, e non poco, ad avversari come Montanes. Già, Montanes: uno di quelli che li vedi e ti chiedi per quale accidente divino abbia vinto cinque titoli in carriera con un best ranking al numero 22. Ma poi ci pensi lucidamente e ti rendi conto che lui è di una razza a parte, quella dei terraioli tignosi che col carattere rimediano alla mancanza di talento: persino Santiago Ventura ha disputato una finale Atp, e non ci è riuscito in fondo anche Alessio Di Mauro, il nostro rappresentante più “spagnolo”? E forse non lo stimiamo Alessio? Non pensiamo che ogni singolo successo sia meritato? Se avessimo un Montanes tra i nostri lo benediremmo come manna dal cielo, quindi massimo rispetto. Però… però… resta una fastidiosa consapevolezza a rendere ancora più bruciante il set perso: lui non gioca a tennis, Fabio sì.
Il copione scorre liscio anche nel secondo, con la reazione ferita del ligure che si porta sul 4-0 in un amen e poi rischia di farsi riprendere, chiudendo 6-4 in un barlume di concretezza. Anche il terzo va come ci si aspetta: Fabio, fino a questo momento molto costante, messo di fronte a quel mulo con la faccia da topo che non ne vuole sapere di calare per mezzo game, aumenta il numero di errori gratuiti permettendo all’avversario di incamerare il set. Nel quarto lo spagnolo va avanti di un break e, a quel punto, passa il cartello dell’intervallo e comincia un’altra partita.
Fognini, infatti, stavolta non la manda giù: non vuole perdere contro quel tennista che tira sempre circa dieci vincenti e fa sempre circa cinque errori ogni set, manco timbrasse il cartellino. E alza il livello del gioco, mettendo in luce il divario tecnico che c’è, e si vede. Certo, Montanes ogni tanto gioca qualche palla corta (anche ben fatta) ma niente di complicato: si limita a sfruttare l’effetto sorpresa che lui stesso crea (“Quello lì che gioca un dropshot? Ma dai…”) lasciando l’avversario pietrificato: è logico, in fondo, è come se Materazzi facesse una rabona. Ma i tocchetti non bastano. Fabio recupera il break, ne mette un altro in cascina e chiude il set.
Variazione sul tema, una vittoria in quattro di Montanes a quel punto pareva più naturale ma lo spagnolo non sembra scosso e continua ad andar giù regolare: toglie il servizio a Fognini, va 5-2 e un altro pensiero collettivo parte dalla testa dei tifosi… “E’ persa, non può mica fare ogni anno un’impresa come con Monfils?”. A rafforzare la convinzione il fatto che dall’altra parte non c’è Monsieur Gael, forte ma a volte incostante, ma “El Rato” Montanes, l’Oriali del tennis. Eppure… eppure Fabio risale, tiene il servizio, non fa arrivare neanche l’avversario al match point nonostante gli annulli tre palle break, una per un nastro sfortunato che compensa un altro che l’aveva favorito nel secondo set. La quarta opportunità è quella utile, poi Fabio tiene la battuta e si va fino al 5-5, poi sul 6-6 e, per finire, sul 7-6 per lo spagnolo. E scorre di nuovo il cartello dell’intervallo.
Ecco, qui comincia il terzo atto e si sfocia nel dramma: al servizio sul 15-30 Fognini si ferma. Il pubblico fischia, non capendoci più di tanto, Fabio si tocca la gamba sinistra, una smorfia di dolore. Crampi? Stiramento? A metà strada, si saprà poi, il dottor Parra parla di una distrazione al retto femorale sinistro: quanto basta per farti camminare su una gamba per il resto del match. Montanes, a due punti dal match, non sfrutta subito l’occasione, si va 7-7, ma è evidente come Fabio sia sconsolato per quel colpo di sfortuna… l’anno prima era capitato a Monfils contro di lui, ma all’imbrunire, a un passo dalla sospensione, ora è giorno pieno e le possibilità di vincere si riducono all’osso. E fioccano i match point, tutti per l’avversario: sono due sull’8-7, annullati in un moto d’orgoglio. Ora… ogni tennista ha tre fattori da sfruttare: corpo, braccio e mente. Il corpo è andato, non resta che tenere salda la mente e affidarsi al braccio. Il piano B, quello che Montanes nelle stesse condizioni non avrebbe. Sull’8-9 Fognini si trova 15-40 e pensi che sia finita, ma ti rendi conto che lo spagnolo, stupidamente, non sta infierendo sull’handicap dell’avversario: poche palle angolate, pochissime corte, come se avesse paura di buttare un match che tanto, viste le condizioni dell’italiano, comunque prima o poi dovrà vincere.
Un errore pacchiano. Fognini annulla i due match point, in un caso con un drop shot che strozza la voce in gola ai telecronisti iberici, poi ne annulla un altro e fanno cinque, va sul 9-9 e da lì è estasi. Già, dall’altra parte c’è “El Rato” e Fognini decide di essere “El Gato”, un gatto zoppo ma affamato: da fermo, dal centro, sposta lo spagnolo tirando al millimetro, costringendolo a sbagliare, seppellendolo di vincenti, togliendogli la battuta. Quando serve per il match va 40-0, non converte due match-point ma poi spazzola via il gesso dalla riga e tutti i fantasmi dei tifosi.
Fognini non esulta. E’ inebetito. Non sa come ha fatto a vincere.
Montanes non piange. E’ inebetito. Non sa come ha fatto a perdere.
Fosse stata tra Federer e Nadal, tra vent’anni il mondo ne parlerebbe ancora. Era tra Fognini e Montanes, vorrà dire che tra vent’anni ne parleremo ancora noi tifosi italiani. Tanto ci basta.
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