Silvano Papi è una vita che si occupa dei ragazzi che iniziano a giocare a tennis. È un tecnico Nazionale della Federazione Italiana Tennis, ma è anche uno psicoterapeuta, che ha messo la propria esperienza accumulata in tanti anni di attività al servizio di tutte le famiglia con ragazzi e ragazze che vogliono avvicinarsi al mondo del tennis. Dal 1982 dirige un importante Tennis Camp a Genazzano, nel Lazio, dove ogni estate arrivano centinaia di ragazzini che alloggiano tutti assieme nelle strutture messe a disposizione dall’organizzazione e praticano il tennis ma anche altri sport e attività ludiche e didattiche.
Silvano, quanto è importante al giorno d’oggi per un ragazzo fare pratica sportiva?
Lo sport è importante perché è la continuazione del gioco, è un naturale passo dal libero sfogo che hanno i bambini quando giocano ad una attività sempre ludica, piacevole e divertente, ma con anche delle regole. Nel gioco i bambini a volte hanno deliri di onnipotenza, vincono sempre e comunque, nello sport invece ci sono dei paletti dati dalle regole. È quindi importante continuare a sviluppare lo specifico dell’età infantile che è il gioco, ma sotto la gestione di persone (gli allenatori, i tecnici) che lo propongono sotto forma di regole, di modi e tempi che vanno rispettati.
Il tennis, in quanto sport individuale, quanto può essere importante da praticare per un bambino?
Nel tennis, le regole, l’impegno, il sacrificio, la responsabilità sono ancora più rilevanti che nella maggior parte degli altri sport. Negli sport individuali c’è l’impossibilità di proiettare su altri le proprie responsabilità. Se perdo o se vinco è principalmente colpa o merito solo mio. Tutto questo fa sì che ci sia una crescita e una maturazione più rapida nei tennisti che in altri sportivi.
Le poche competizioni a squadre (Davis e Fed Cup ma anche semplicemente campionati a squadre) rivestono comunque una notevole importanza per la crescita dei tennisti, sei d’accordo?
Sì, è importantissimo. Del resto anche il tennis inizia sempre come attività di gruppo. Le prime lezioni si fanno quasi sempre in gruppetti, poi la preparazione fisica si fa assieme, le gare si vanno a fare in gruppo, anche se devo dire che dovrebbe essere fatta più attenzione nelle gare a squadre ai livelli e alle aspettative. A volte si creano aspettative tali nei vari circoli tennistici, che poi i ragazzini si trovano troppe responsabilità sulle proprie spalle, che non servono certo a farli crescere. Io sono stato capitano delle Coppe delle Regioni del Lazio e ho visto che in alcune competizioni a squadre fischiare e urlare contro bambini che sbagliavano dei colpi già dalla prima di servizio. Questo è molto negativo, nelle partite individuali succede meno per fortuna, ma non c’è ancora una cultura di competizioni a squadre nel tennis, anche perché i ragazzi per migliorare il proprio gioco, dovranno pur passare attraverso tante partite, sbagliando colpi e ripensando serenamente ai propri errori.
Cosa bisogna fare allora per migliorare l’attività giovanile dei nostri ragazzi?
Il tennis negli ultimi quindici anni è aumentato tantissimo come numeri, si è evoluto molto a livello nazionale, però se guardiamo localmente i vari circoli e le varie strutture presenti sul territorio, sono rimaste, nella maggior parte dei casi, ferme a quello che facevano venticinque o trenta anni fa. Anche le istituzioni regionali e provinciali non si sono adeguate alla realtà che è cambiata nel mondo del tennis.
La prima cosa che cambieresti quale è?
Ci sono ancora tornei giovanili che durano cinque settimane, la maggior parte dei tornei dura due settimane. Questo comporta disagi notevolissimi all’interno delle famiglie. I ragazzi non sanno fino al giorno prima o addirittura al giorno stesso quando giocheranno. Chi organizza non si rende conto che i ragazzi intanto devono andare a scuola (spesso col tempo pieno), poi hanno altre attività, magari hanno il dentista, un altro sport, l’oratorio, attività del dopo scuola, con tutto questo è impensabile iscriversi ad un torneo che dura due settimane e non sai mai quando giochi. La soluzione che io propongo da tempo è fare tornei concentrati in tre giorni nel fine settimana, in strutture adeguate con campi sufficienti per far giocare tanti ragazzi in contemporanea. Le famiglie in questo modo possono organizzarsi, tenendo libero solo il fine settimana, possono venire ad assistere tutti genitori, meglio ancora se gli facciamo trovare zone in cui possono trovare da mangiare, da potersi sedere comodamente mentre aspettano di vedere giocare il figlio, insomma strutture moderne e accogliente e meno tornei, ma concentrati in pochi giorni.
In questo modo sarebbe più facile anche per i maestri seguire i propri allievi se giocano tutti nelle stesse giornate…
Certamente, adesso per i maestri è quasi impossibile seguire i propri allievi perché in una scuola che ha una ventina di tesserati agonisti, che giocano durante tutta la settimana, è chiaro che non puoi seguirli nei tornei perché devi continuare ad allenare gli altri. Se stabiliamo (come peraltro succede nella maggior parte degli sport) che durante la settimana ci si allena e si fanno gare solo nel fine settimana ci possono essere solo grandi vantaggi per tutte le parti in causa.
Un problema per attuare quello che vorresti proporre è che però bisognerebbe porre dei limiti alle iscrizioni
Il vero problema è che, per i ragazzini, non c’è divisione di livello raggiunto. Quindi capitano partite senza senso tra ragazzi che sono lontanissimi di livello e quei match non servono né a quello più bravo, né a quello che deve ancora imparare. Credo che sarebbe opportuno mettere delle categorie anche per i più piccoli. Si fa una entry list a numero chiuso, chi non entra nel tabellone A, avrà la opportunità di giocare in un tabellone B. La prima settimana si gioca il tabellone B, i finalisti poi possono entrare nel tabellone A. Quando propongo queste cose, qualcuno dice che è fantascienza, io credo invece che sia la strada migliore per tutelare i più bravi, ma anche chi sta iniziando a imparare, anche i maestri, anche le famiglie, tutti possono guadagnare da una organizzazione più rigorosa anche a livello di piccolissimi. Del resto tra i bambini, all’estero, ad esempio negli Stati Uniti, gli sport che hanno più successi sono quelli organizzate in un’unica giornata. Io ho due nipoti che vivono a New York e si divertono un mondo quando organizzano ad esempio a Central Park delle singole giornate dedicate ad un determinato sport. Fra l’altro è bellissimo perché vedi radunare famiglie e bambini tutti assieme a competere divertendosi.
Forse, nel paragone con altre realtà, c’è un problema di un diverso contorno al singolo evento tennistico, di una diversa organizzazione generale oltre al torneo stesso
È vero, ma senza guardare agli Stati Uniti, io sono stato da noi, ad alcune manifestazioni di pattinaggio riservate a bambine molto piccole, dai cinque anni mi pare. Arrivi e ci sono diversi stand che ti danno volantini informativi, qualcuno ti spiega le regole dei punteggi, se vuoi puoi andare a vedere filmati con altre spiegazioni, fanno fotografie e video che puoi richiedere. Nel tennis, nella maggior parte dei casi, tutto questo non esiste, ti iscrivi a un torneo, vai, non sai nemmeno quando giochi, nessuno ti accoglie, poi devi tornare magari dopo tre giorni per la prossima partita. I genitori che accompagnano i figli è chiaro che si stufano e preferiscono spingere a fare altri sport.
Assieme all’organizzazione in Italia ci sono anche problemi di strutture, spesso solo all’aperto o non riscaldate, sei d’accordo?
Questo è un problema ancora più grosso. Le scuole finiscono spesso alle 16.30. In inverno se non hai campi coperti diventa impensabile fare tennis a bambini. Al Nord Italia devo dire che molte realtà locali si sono attrezzate con campi coperti, nel Centro Sud Italia la situazione in questo senso è drammatica. Con la scusa che “tanto c’è caldo anche in inverno” nessuno vuole costruire campi coperti, ma è un dato di fatto che le piogge sono sempre più frequenti e più violente ogni anno. Spesso ci sono corsi di tennis che dovrebbero fare cinque lezioni alla settimana, che per il maltempo si riducono a una o due con le conseguenze che ai bambini poi passa la voglia di continuare.
Affrontiamo adesso le questioni economiche legate al tennis. È innegabile che per affrontare trasferte, tornei, fare lezioni qualificate, ai genitori si richieda sempre grossi sacrifici economici. Cosa si può fare per pesare meno sul bilancio familiare?
Bisogna coinvolgere le istituzioni e le risorse locali altrimenti da soli è impossibile coprire tutte le spese. Nel mio piccolo a Genazzano ho cercato di coinvolgere il sindaco e l’assessore allo sport per promuovere i nostri corsi e le nostre attività, che in alcuni casi sono a costo zero per le famiglie. Il Comune di Genazzano ha scritto a tutte le famiglie dei ragazzi nati nel 2009, 2010 e 2011 per invitare i bambini a provare a giocare a tennis, tutto gratis. Soprattutto di questi tempi, spesso anche piccole cifre sono fuori dalla possibilità di tante famiglie italiane, quindi è un dovere di tutti permettere ai bambini che vogliono giocare a tennis, aiutarli a farlo gratis. So bene che queste iniziative sono sporadiche e non sistematiche, ma devono essere sviluppate se si crede nella bontà di questo sport, ci vuole l’impegno di tutti i circoli, di tutti i dirigenti, per coinvolgere il territorio, altrimenti nonostante la grande diffusione e il grande appeal che sta avendo questo sport, i praticanti diminuiranno invece di aumentare.
Forse il tennis è ancora uno sport un po’ chiuso su se stesso?
Molto chiuso. La categoria dei dirigenti locali di tennis è ancorata su idee veramente vecchie e superate. E’ brutto dirlo, ma abbiamo sfornato più campioni quando non esistevano le scuole tennis, di adesso che abbiamo migliaia di scuole e di circoli di tennis. Del resto i maestri per diventare tali devono passare un esame, prendere un diploma, i dirigenti non dovevano farlo fino a pochi anni fa. E invece i dirigenti sono molto più importanti per la crescita del movimento complissimo dei maestri stessi. Adesso c’è il un corso da fare per diventare dirigenti, siamo alla seconda edizione, io ho partecipato alla prima. E’ interessante, ma mi pare che servano competenze ben più vaste di quelle che vengono insegnate in questi brevi corsi.
Chiudiamo l’intervista parlando del tuo camp che hai organizzato questa estate. Come è andata?
Io credo nell’importanza di fare questi momenti di aggregazione più di ogni altra attività. Ho iniziato nel lontano 1982 a farli, prima era solo per i nostri ragazzi, ora ovviamente è aperto a tutti. I ragazzi stanno assieme tutto il giorno, giocano, si allenano, si divertono, fanno altri sport, non solo tennis, mangiano e dormono assieme, alla fine della settimana sono tutti più cresciuti, dal punto di vista sportivo, ma soprattutto dal punto di vista umano. Nei corsi di tennis in cui fai le tue lezioni e poi vai a casa, magari impari meglio il dritto e il rovescio, ma perdi il senso della scoperta, del viaggio, dell’avventura che non dovrebbe mai mancare in un bambino che si avvicina ad uno sport. Come dicevamo all’inizio dell’intervista, bisogna partire dal gioco, metterci le regole, ma non si può mai abbandonare il senso della scoperta di un nuovo divertimento. Se il bambino ha talento ma non si diverte lo perderai sicuramente per strada.
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