“La mentalità vincente. Nel tennis ti trovi mille volte indietro, 5-4, 6-5, ma devi lottare, diventare ancor più aggressivo, non avere paura. E’ da quando avevo 8 anni e vinsi i campionati delle Baleari under 12 che sono sempre stato così”.
Rafael Nadal, in una delle sue prime interviste rilasciate ai microfoni italiani parlava così del suo modo di giocare e del suo modo di essere. Una persona, prima che un giocatore,dal cuore grande e dall’immenso rispetto nei confronti degli avversari e di se stesso. I risultati ottenuti dal maiorchino nel corso degli ultimi dieci anni, sono semplicemente da brividi: quattordici tornei dello Slam, ventisette Masters 1000, l’oro olimpico e tutto il resto che, senza bisogno di doverlo aggiungere, va a delineare uno dei palmares più ricchi della storia di questo sport.
Quello che sta succedendo, era ampiamente prevedibile: ma era proprio così che ce l’aspettavamo? Eternamente accompagnato da problemi fisici, il primo vero “dramma” si verificò nel maggio 2009,sui campi del secondo Slam stagionale, quando un Nadal che già da qualche mese faticava,si arrese ad un Soderling in stato di grazia. Prima sconfitta al Roland Garros e conseguente forfait da Wimbledon, torneo che finalmente era riuscito a vincere, dopo due finali perse, proprio l’anno prima. Un finale di 2009 terribile per Nadal, che tornato nel circus ad agosto evidentemente “sciupato” faticò, e non poco, a ritrovare i suoi ritmi e le sue vittorie. Il 2010 fu trionfale, il 2011 fu di Djokovic. Nel 2012, la sconfitta contro Rosol a Wimbledon sancì secondo “dramma”. Dopo una prima parte di stagione trionfale, il tracollo, gli infortuni, il ritorno che non arrivava mai e la sconfitta contro Zeballos in finale a Vina del Mar a febbraio 2013. Ma proprio il 2013 finì per rivelarsi il miglior anno di Nadal. Anno costellato di vittorie, ma soprattutto dall’ottavo sigillo a Parigi e culminato, pochi mesi dopo, con il secondo trionfo sui campi di Flushing Meadows.
Il maiorchino ha abituato il suo pubblico a rientri mostruosi alternati ad anni di transizione e di Up&Down. Il 2014 ha confermato il tutto, con lo spagnolo in grado di aggiudicarsi solamente quattro tornei (Roland Garros incluso, naturalmente) e poco altro. Ma è il “poco altro” a preoccupare, perché qualcosa di grosso sta succedendo, ed è evidente. Un Nadal non al 100% della condizione, non avrebbe mai perso partite contro Kyrgios, Klizan, Coric e Lopez nella seconda parte di stagione, non si sarebbe dimostrato debole nei momenti cruciali. Dopo Wimbledon, abbiamo sempre assistito a risultati meno imponenti, ma parliamo pur sempre di un giocatore che ha vinto Toronto/Montreal e Cincinnati e due volte l’Us Open in quei mesi.
Rafael Nadal, ha lasciato qualcosa per strada. Il 2015 è iniziato nel peggiore dei modi, con un solo torneo vinto (un 250, che ad onor del vero valeva poco più di un Challenger) e tante difficoltà dal punto di vista mentale, perché è questo che lascia perplessi. Un giocatore che ha fatto della resistenza mentale e fisica il suo maggiore punto di forza, non può essersi dimenticato di come si giocano i punti importanti. Pensiamo al quarto di finale contro Berdych agli Australian Open, ma soprattutto alla partita persa con le proprie mani a Indian Wells contro Raonic. Dal punto di vista tecnico,l’involuzione si è avuta soprattutto nella risposta al servizio e nel dritto, colpo che troppo spesso fa il bello e il cattivo tempo e non più decisivo come qualche anno fa. Le gambe sembrano esserci, la testa no. Perdere due volte di fila contro Fognini sulla terra, è la prova del 9. Anche e soprattutto perché il maiorchino (che ha perso sulla terra solo 26 partite in carriera) aveva perso due volte di fila su questa superficie solo contro Gaudio, dieci anni fa, e Djokovic. Tutti hanno imparato a comportarsi contro Nadal, ad attaccarlo sin dalla risposta e a metterlo alle corde alla prima occasione buona. Questo, solo ed esclusivamente perché è stato il maiorchino a consentirlo. La stagione primaverile si è aperta con una semifinale a Montecarlo e con qualche segnale incoraggiante contro un Djokovic imbattibile. La racchetta nuova ha apportato migliorie non indifferenti al servizio, ma a quale prezzo? Era veramente necessario un cambio d’attrezzo nel bel mezzo della stagione sul rosso?
C’è una spaventosa preoccupazione nel volto e nelle dichiarazioni di Nadal. Quello in corso, è un vero e proprio “dramma”. La mancanza di fiducia nei colpi e nel fisico lascia intravedere le ombre di un giocatore che, finalmente, dimostra di non essere un robot, un giocatore che dopo aver dominato psicologicamente questo sport per una decade si appresta a concludere la sua carriera come tutti gli altri. Parliamo, però, di un giocatore che fino all’ultimo quindici della sua carriera non mollerà mai. Perché, in fondo, pur avendo sempre dimostrato il contrario, è umano anche lui.