Montepremi: elemosinare per passione?

di Giacomo Bertolini

SE A PROVARCI NON E NE’ UN GULBIS NE’ UN FEDERER…

Sponsor influenti, entrate da capogiro, prime pagine, notorietà, ma dall’altra parte della rete anche montepremi irrisori, spostamenti e alloggi costosi e pochissimi sostegni per evitare il pantano dei tornei Futures e Challenger, spesso poco seguiti dai media e organizzati in location semideserte.

Si arricchisce di sempre più vibranti polemiche e complesse soluzioni l’ormai famigerato rompicapo legato alla distribuzione dei montepremi nel circuiti maschilli e femminili, reo, a detta di molti appassionati e addetti ai lavori, di aver contribuito a creare un gap pressochè incolmabile tra l’elite dei vertici mondiali e la nutrita schiera dei giocatori di bassa classifica, costretti ad accontentarsi delle briciole, ovvero dei ridicoli “avanzi economici” non riservati ai tornei del circuito maggiore (Slam, Masters 1000 e Premier in primis).

Particolarmente significativa, a tal proposito, la realtà presentata dal coach Massimo Puci che, vivendo costantemente questa situazione con i suoi allievi Eremin, Galovic e Donati, riassume così a Spazio Tennis su Radio Mana Manà Sport questo controsenso:
“Il tennis sta tornando ad essere uno sport per molto ricchi. A causa dei bassi prize money insufficienti per coprire le spese maggiori un giocatore che vuole cominciare da zero con i tornei Futures e successivamente con i Challenger deve spendere minimo 300.000 euro solo per avviare la carriera.”

Una carriera che, inevitabilmente, va a complicarsi sin dai primi tentativi se a provarci è un tennista non ricco di famiglia come il lettone Ernest Gulbis o non baciato da un precoce talento come i vari Federer e Gasquet, subito orientati, grazie ai loro fulminanti risultati, verso un preciso universo tennistico, fatto di agevolazioni economiche e non certamente toccato da questa intricata diatriba.

E così mentre nel gotha del tennis viene ulteriormente alzato il tetto dei montepremi e a tenere banco è la discussione sulla parità di guadagno tra uomini e donne, dietro le quinte a fare riflettere sono i casi estremi dei vari Weintraub, Goodal, Janowicz (prima dell’exploit a Parigi-Bercy), calcificati da tempo nelle sabbie mobili dei ciruciti minori e incapaci, al momento, di raddrizzare la loro carriera, pesantemente penalizzata da tale eccessivo divario.

Situazione speculare, neanche a dirlo, tra le fiila Wta dove, a una cerchia di reginette da incassi stellari (Sharapova docet) si contrappongono gli scenari di buone tenniste fuori dalle 100 che, come la nostra Burnett, ancora arrancano cercando di fare quadrare i conti. Conti che, a quanto pare, risultano in perdita anche tra le giocatrice stabilmente piazzate nelle prime 100, a riprova di quanto, in buona sostanza l’attenzione degli alti vertici del tennis sia largamente rivolta ai grandi protagonisti del ranking che, sfruttando la grande popolarità dettata dalla loro solida presenza in top ten, garantiscono sempre il successo delle manifestazioni chiave dell’anno.

A tal proposito indicativo il commento di Riccardo Bisti di Tennisbest.com che, anche lui presente al dibattito su Spazio Tennis, ha espresso il proprio parere al riguardo proponendo anche il profilo dell’attuale numero 8 al mondo:
“Il tennis è visto dall’esterno come un sport dove è facile arricchirsi, ma non c’è niente di più falso! Anche se sei intorno al numero 100 al mondo, e sei quindi la 100esima persona più brava a svolgere il tuo mestiere, fai comunque faticare a mettere insieme un pranzo e una cena. Nei Challenger, ad esempio, i montepremi oscillano tra i 30.000 euro e i 125.000 euro e soltanto quell’unico tennista sui 32 al via che si aggiudica il titolo può dire di aver ottenuto un discreto guadagno (generalmente per i più ricchi intorno ai 15.000 euro). Basti pensare poi al caso di Sara Errani che in un’intervista rilasciata prima del Roland Garros dichiarò che pur essendo abbondantemente nelle 50 e aver incassato oltre 2.000.000 di dollari, non aveva ancora pareggiato i conti rispetto a quando aveva cominciato”.

Contraddizioni esistenti e soprattutto limitanti visti anche i crescenti intoppi che stanno incontrando i giovani talenti ad emergere in un mosaico, quello della medio-alta classifica, inevitabilmente condannato all’immutabilità, con un ricambio generazionale praticamente nullo e un’età media difficile da abbassare.

Di diversa stampo invece l’inquietante conseguenza legata allo spettro delle scommesse che, specialmente dopo l’esplosione di “Tennisopoli” e le recenti squalifiche a Koellerer e Savic, ha posto grande attenzione su questo scorretto escamotage, scorciatoia difficile da scoprire e particolarmente redditizia per i giocatori, alla disperata ricerca di un salvagente per garantirsi pagata almeno una metà di stagione.

E così se da una parte si continuano a elargire bonus folli per i top players (la vera benzina che muove la poderosa macchina da soldi in questo sport), dall’altra ci si trova a fare i conti con una passione viscerale ma poco remunerativa, perennemente in attesa di essere gratificata da una serie di impeccabili tornei o da una ricerca di eque soluzioni. Soluzioni che, tuttavia, sembrano essere ancora lontane, visto anche il connubio, utopico, con proposte etiche e prettamente sportive (troppo?): concentrare le attenzioni sulle baby promesse internazionali per ridare smalto e interesse ai tornei minori? Utilizzare i premi in denaro di fine anno ai big per raddoppiare il prize money nei Futures e nei Challenger? Far in modo che i costi di alloggio nei Futures vengano sempre concessi e non solo nelle specifiche divisioni 15k?.

Difficilissimo, se non impossibile, trovare un punto d’incontro che possa abbracciare contemporaneamente, facendoli coincidere, interessi economici e principi universali legati all’attività agonistica e alla passione che alimenta. La speranza, almeno, è che questa forbice, frustrante, possa essere quantomeno ristretta per far sì che i guadagni “da fama” di una minoranza, non vengano così impietosamente confrontati con quelli “da fame” di una larga maggioranza.

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