di Giacomo Bertolini
Il fascino della Coppa Davis e, in parte, della Fed Cup non si discute. L’adrenalina e il fattore spettacolare che si portano dietro le Atp e Wta Tour Finals, così come i grandi tornei dello Slam, non hanno rivali. Persino il glamour che spesso accompagna i tornei di esibizione o il fattore divertimento e originalità della Hopman Cup sembrano aver trovato un loro dignitoso e sensato spazio all’interno del fittissimo calendario stagionale.
Ma se c’è una manifestazione da sempre mal digerita e poco compresa, senza ombra di dubbio, è lo sfortunatissimo Master B, più di una volta screditato senza troppi complimenti con il riduttivo appellativo di “Masterino”, una sorta di diminutivo di pena/solidarietà non propriamente lusinghiero e senza uguali nell’immaginario sportivo.
Nato nel 2009 a Bali come diversivo al ben più importante Master di fine anno, il “Commonwealth Bank Tournament of Champions” ha da subito patito la concorrenza del suo diretto avversario e, in aggiunta, una formula sterile e poco accattivante che concede l’accesso a sei tenniste (più 2 inspiegabili wild card) fuori dalla Top Ten e dal Master “A” con almeno un trofeo di categoria International conquistato nella stagione corrente. In buona sostanza un bel premio di consolazione per le sfortunate arrivate ad un passo dalle migliori e autrici, tuttavia, di un’annata complessivamente positiva. Con un appeal scarso alla base e un grado di interesse insufficiente per un torneo “celebrativo”, l’ibrido Masterino si è trascinato stancamente per cinque edizioni, passando dall’idea tabellone canonico di Bali ai gironi Round Robin di Sofia, location delle ultime due edizioni vinte da Petrova e Halep.
Rimpasti a parte il bistrattato Master B, spesso fissato nella stessa settimana della finale di Fed Cup (altro mistero!), non piace e non dà il minimo segnale di ripresa e allora ecco che, ai piani alti, sono corsi subito ai ripari per evitare una nuova debacle annunciata e, invece di constatarne il decesso organizzativo, hanno scelto di investire nuovamente su questo atipico torneo, regalandogli così un’ultima, disperata chance. La scintillante rinascita o nuova fase di accanimento terapeutico/sportivo (a seconda delle visioni) del nostro povero Masterino parte, neanche a dirlo, dalla Cina, lanciatissima in arditi investimenti e decisa a dirottare la competizione nella città costiera di Zhuhai nel Guangdong fino al 2019. Si comincia con l’intervento sulla dicitura, che muterà nel più chic “Wta Elite Trophy”, e nella rosa di partecipanti, ampliate a 12 (tra la nona e la ventesima posizione del ranking) divise in quattro gironi da tre con regole da Round Robin.
Sensatamente la wild card offerta dagli organizzatori sarà solo una, mentre l’aspetto che al momento sembra far affiorare i maggiori dubbi è la scelta di estendere la manifestazione anche a sei coppie di doppio divise in due raggruppamenti, con la speranza che il pubblico che assisterà sugli spalti ai lori scambi sarà superiore alle contendenti in campo. Regole a parte il fattore cardine di questa nuova ripartenza si fonda chiaramente sull’apporto economico messo a disposizione dalla grande macchina cinese, convertito in 700 preziosi punti messi in palio e, soprattutto, in un montepremi faraonico e spropositato salito sino a 2,15 milioni di dollari. E allora, tra un legittimo scetticismo e una naturale curiosità, largo a Zhuhai… la scommessa più difficile è tutta tua!