Non svegliateci. Non ancora. A quasi 30 anni, da qualificato fortunato, di quelli che dopo tanto soffrire è appena giusto che la fortuna li aiuti, come una distrazione, come un dovere, Vanni si giocherà la prima finale ATP in carriera con la prospettiva di salire intorno al numero 107 del ranking. Come cambiano orizzonte il tempo e il modo di vedere, in un anno. Ora può davvero accarezzarlo il sogno che si porta dietro dall’inizio di una carriera fatta di basi solide e di grandi sogni, di perseveranza e ottimismo della volontà.
Ha vissuto una settimana incredibile, da qualificato eredita lo slot di Feliciano Lopez, testa di serie numero 1, e il bye a lui riservato. Luca, che non aveva mai vinto una partita in un main draw ATP prima di lunedì, diventa il trentunesimo italiano capace di raggiungere la finale nel circuito maggiore. Ha piegato un Joao Souza che le ha provate tutte, al limite dell’antisportività. In quasi tre ore batte un brasiliano in Brasile, ha vinto contro un pubblico ostile, che applaude gli errori tra prima e seconda, che innervosisce e destabilizza (niente a che vedere con D’Artagnan a Maceiò, comunque). Per un set e mezzo, Vanni controlla, va a servire per il match sul 5-4 e qui Souza aspetta tanto, troppo, al cambio campo. Prima piccola furbata di una partita scandita anche da questi trucchi. Luca, che ha chiuso 64 il primo set e firmato il sorpasso nel secondo al quinto game grazie a un doppio fallo e tre gratuiti del brasiliano, manca due match point con due regali, di dritto e di rovescio. Umana, troppo umana reazione al momento, alla pressione, alla situazione. Souza piazza il vincente di dritto sulla palla break, su una seconda che più innocua non si può, e l’inerzia emotiva della partita cambia, la lotta si fa scivolosa e profonda. Vanni perde il set al tiebreak (7-5) ma non la testa. Ne subisce tante dal 5-5 del secondo al 3-3 del terzo, le intemperanze dei tifosi, di cui già si era lamentato Martin Klizan, spesso costringevano anche ad attese di mezzo minuto tra la prima e la seconda. Souza cerca di sfruttare anche il contesto ambientale per chiudere al meglio la settimana in cui ha sconfitto per la prima volta un top-40. Vanni salva quattro palle break nei primi due turni di battuta, ma alla terza occasione non tiene. Quattro gratuiti, doppio fallo compreso, portano Souza a servire sul 4-3. Sembra finita sul 40-15, ma it’s not over ’till it’s over: Souza affossa il dritto sulla palla break, 4-4. E’ il preludio alla gioia per Vanni, che la vince di cuore, di coraggio e di eleganza, quella che a fine partita squaderna ringraziando avversario e tifosi.
Lui che un anno fa vinceva il Future di Sondrio, ora cercherà il primo titolo ATP alla prima finale. La settimana d’oro a Sao Paulo gli vale lo special exempt e l’ingresso diretto nel main draw dell’ATP 250 di Marsiglia e il derby con l’amico Simone Bolelli per un posto al secondo turno contro Milos Raonic.
Tardi ha iniziato, Luca, che non ha mai giocato tornei junior perché prima ha finito la scuola. “Sacrifici tanti, troppi –ha raccontato–. L’uscita di scuola alle 13.30, il pulmino per Arezzo alle 13.40, allenamenti e allenamenti, quelli preziosi con Stefano Rossi al CT Giotto, pochissimi risultati. Ero C2 a 18 anni, un’età in cui Nadal vinceva gli Slam. Ma ho sempre visto il positivo nelle sconfitte”.
È un gigante buono, Luca da Foiano delle Chiane, 2 metri d’altezza e prime in successione a più di 200 kmh. “E’ merito di mio padre Luciano, che ha giocato in serie A2 di pallavolo a Foiano, se sono arrivato fin qui -ha detto-. Mia sorella Sara, che lavora in banca, sa tutto dei miei tornei, abbiamo un rapporto stretto, bello. La mia ragazza Francesca, che studia Economia e Commercio, mi sa comprendere, non mi fa pesare il tennis, è la donna del mio futuro. Con loro vivo sereno, nonostante i sacrifici non siano finiti”.
Dopo il diploma, sceglie il circolo di Alberto Castellani, ma dopo un mese si rompe il menisco e il collaterale. Torna a casa e dopo sei mesi si rompe il menisco anche dell’altro ginocchio. A vent’anni perde tutta la stagione.
Riparte nel 2006, intanto ha cominciato anche a dare lezioni di tennis, vince il torneo di Avezzano e sale al numero 650 del mondo. È una vita come tante, nel sottobosco della racchetta. I Future, qualche Challenger, il massimo è arrivare al numero 272 del ranking nel 2012. Per sostenersi gioca i campionati a squadre in Italia, in Francia e in Germania. Ma nel 2013 il ginocchio lo tradisce ancora. Luca si opera e resta fuori sei mesi. È la svolta. “Penso che sia scattato in me qualcosa a livello mentale -ha raccontato al nostro Luca Fiorino-. Sapevo di non aver dato tutto ancora per questo sport e l’infortunio che ho subito, in una fase discendente della carriera, mi ha fatto riflettere. Stare fermo e vedere gli altri tennisti che giocavano, inconsciamente mi ha dato la spinta per cercare di tornare almeno ai livelli prima dell’operazione. Alla fine fortunatamente è andata molto meglio di quanto potessi sperare”.
Chiude il 2013 da numero 847, in un anno ne guadagna più di 100. Riparte dai Futures, e ne vince sette. Arriva in semifinale ai Challenger di Bangkok e Shanghai. A Kaohsiung fa ancora meglio. “L’avversario più duro è stato il clima, il caldo era davvero insopportabile ma sono riuscito ad arrivare in finale lo stesso perdendo in tre set lottati da Yen-Hsun Lu -ci spiegava-. Bene poi anche a Bangkok e a Shanghai dove ho raggiunto le semifinali, gli unici risultati che non ho digerito sono state le sconfitte in Turchia, in Kazakistan ma soprattutto nelle qualificazioni al main draw degli Us Open contro Collin Altamirano. Lì credo abbia giocato l’emozione, probabilmente se l’avessi incontrato in un torneo challenger ci avrei vinto”.
E l’Umbria torna nei momenti importanti della sua carriera. Dopo la scuola aveva scelto Castellani, dopo gli infortuni, per rientrare opta per la Tennis Training School di Foligno. Si allena con il coach Fabio Gorietti e Alessio Torresi, che seguono anche Thomas Fabbiano. Gorietti lavora prima sulla testa, poi sulla tecnica, migliora l’approccio, la piena consapevolezza di sé. “Qualcuno dice che se trovo continuità posso valere i primi 40 del mondo -dice alla Gazzetta dello Sport-. Io resto con i piedi per terra e intanto mi pongo l’obiettivo di entrare tra i primi 100″.
Nella settimana dei nove teenagers in top-200, il messaggio di Luca è chiaro: i sogni non si misurano con la carta d’identità. Che dire, arrivare tardi è il destino di noi italiani, siamo mammoni, nel tennis ancora di più -confessava a Gran Tennis Toscana a fine 2014-. Gli altri già viaggiano da soli quando i nostri genitori ancora ti asciugano i capelli. Vedi le ragazze di Fed Cup, vedi Lorenzi, vedi me. Ci vuole più tempo per diventare zingari.”.
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