di Alessandro Mastroluca
Tiratore di professione. Tennista, fotografo, pittore per passione. Contiene moltitudini, Luca Tesconi, argento olimpico nel tiro con la pistola da 10 metri, al debutto in una gara a cinque cerchi. Tante vite, tra sport e arte, tra passione e bisogno di espressione.
Per quindici anni ha giocato a tennis, convinto che fosse quella la sua strada sportiva: faceva parte della squadra agonistica del Tennis Taddei di Marina di Pietrasanta. “Sono stato un buonissimo doppista a livello under 14, under 16, under 18. E sono rimasto un giocatore d’attacco. Quando resto a fondo campo, nel 99% dei casi perdo il punto. In due colpi devo chiudere, come va va” ci racconta. È stato a lungo seconda categoria, fino all’anno scorso, ma ora gioca solo a livello amatoriale. “Mi diverto più così. Lo uso per scaricare la tensione ma anche come preparazione atletica, a me non piace andare a correre e basta, devo fare qualcosa, devo giocare a qualcosa”.
Ed è quasi per gioco che un giorno il padre Mauro lo porta al poligono di tiro. “Ti divertirai” gli dice. Il futuro gli darà più che ragione. Luca lascia il tennis e si dedica al tiro: A 24 anni viene contattato dal Centro Sportivo dei Carabinieri ed entra nell’Arma. “Ho praticato queste due discipline a livello agonistico per 11-12 anni, e in entrambe la componente mentale è fortissima. Certo, nel tennis c’è anche una maggiore componente fisica, che ti permette anche a un certo punto di scioglierti, di rompere il fiato. Nel tiro a segno no, qui ogni tiro è come il rigore decisivo nella finale dei Mondiali. Ovviamente la tensione c’è sempre, e cresce perché sai che c’è il punteggio da tenere in conto. Un po’ come nel tennis quando sbagli la prima su un punto importante. Sai che devi tirare la seconda, e sai che ti stai giocando tantissimo. Ma non hai una squadra dietro che ti possa aiutare nei momenti negativa”.
È solo Luca davanti al bersaglio olimpico di Londra 2012. I primi tiri nella gara che gli cambia la vita non sono andati bene. “Non è facile mantenere, controllare, gestire la tensione e rimanere concentrati. Se ci riesci, se riesci a incanalarla quella tensione allora hai una marcia in più. Io non riesco sempre a mantenerla per tutti i 60 tiri di gara, però è una qualità che si può allenare. Ero entrato un po’ in crisi prima delle Olimpiadi di Londra, la perdevo facilmente e faticavo molto a recuperarla. Con lo psicologo della nazionale abbiamo lavorato su una routine facile, per arrivare a tenere la massima concentrazione per tre colpi consecutivi, 3 minuti, 3 minuti e mezzo. Poi una piccola pausa, che mi serve anche a rilassarmi, e la routine ricomincia. A un certo punto mi sono accorto che non pensavo più ai tre colpi, mi veniva naturale, e ho notato che la concentrazione tornava più facilmente. Certo, è ovvio che ogni giocatore è diverso, per cui quel che funziona per uno non è detto vada bene per un altro”.
È solo Luca, davanti al bersaglio olimpico. È quinto dopo i primi quattro tiri di finale. “È un estroso che ha sempre avuto alti e bassi in gara”, spiegava il suo allenatore Marco Masetti, non a caso viene dall’istituto d’arte e continua ancora adesso a dipingere e a suonare la chitarra. Per uno così è ancora più difficile riuscire a svuotare la mente, trovare la massima concentrazione per fare quanto di più complesso possa esserci in quei momenti: rimanere immobili. “Però è impossibile non pensare a niente per 90′. Pensi alla tecnica, che c’è sempre, che l’hai allenata. Ma alla fine al punteggio ci pensi comunque. So che non si deve, so che questo comporta solo più ansia e più tensione. Ma è inevitabile. E lo psicologo della nazionale mi ha fatto capire una cosa importante. Se anche ti viene in mente un pensiero e sai che quel pensiero è sbagliato, cercare di bloccarlo è peggio. È come chiudere una porta. Ma se chiudi una porta ai pensieri, ne verranno sempre di più ad affollarsi dietro quella porta”.
Quella porta a Londra si apre, la rimonta è lanciata e arriva fino a un argento prezioso, dietro solo all’irraggiungibile coreano Jin Longoh. Alla prima Olimpiade, “il Tesco” ha un posto nella storia: resterà per sempre la prima medaglia italiana di Londra 2012.
Ha mirato, ha tirato, ha vinto, Luca. Ma shoot, il verbo inglese che sta per sparare, vuol dire anche “fotografare”. In cinque lettere, si nasconde anche l’altra sua vita, il Tesconi artista che lascia il mirino della pistola e impugna quello di una macchina fotografica. Un’altra passione che gli ha trasmesso il padre, un altro veicolo del suo temperamento creativo. “Ho frequentato l’istituto d’arte, mi ero anche iscritto all’accademia di scultura e decorazione, mi ero spostato a Carrara, ma era difficile portare avanti gli studi e l’attività agonistica”.
Con i 75 mila euro dell’argento di Londra, ha comprato una nuova Nikon e rinnovato gli obiettivi dell’altra macchina fotografica. Ha realizzato anche una mostra, Non Luogo. Pratica sport di solitudini, che impattano sulla mente, e ha fotografato sei luoghi del disturbo mentale, sei ex manicomi chiusi dopo la legge Basaglia in Toscana, Emilia e Lombardia. Un viaggio, quello di “No Luogo”, il titolo scelto per la mostra, ispirato dai racconti del padre, rappresentante di psicofarmaci al manicomio di Maggiano, su quelle grandi sale, le porte blindate con gli spioncini da 10 centimetri e le sbarre alle finestre, unico contatto con l’esterno. E dai libri di Mario Tobino, direttore dell’ospedale psichiatrico di Lucca morto nel 1991, che ha scritto un libro su una delle infermiere, “Marta che aspetta l’alba”.
Una mostra eloquente, che ora sarà per diversi mesi a Losanna. Perché, come diceva dopo l’argento olimpico, “in questo sport devi combattere contro te stesso, ed il bersaglio, laggiù in fondo rispecchia tutte le proprie paure, incertezze, e stati d’animo. Sconfiggere il demone dentro di se è la sfida più grande”.
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