di Sergio Pastena
Cominciamo con un dato importante: Davydenko, primo avversario di Seppi al Roland Garros, sta bene. Oggi ha mostrato una gran corsa, buoni attacchi, la solita capacità di mantenersi glaciale nei momenti che contano. Eppure ha perso la semifinale di Nizza, finita 6-7 6-4 6-2 per Brian Baker. Ma non è corretto dire che il russo l’ha persa: è Baker ad averla vinta, giocando meglio.
Chi ha letto il pezzo “profetico” scritto prima di Nizza da Luca Brancher, che dopo l’affaire Olivetti può ben fregiarsi del titolo di Nostradamus delle sorprese, saprà qualcosa della storia di questo ragazzo. Prospetto di lusso a stelle e strisce, da juniores batteva un po’ tutti: tra i pro ha fatto secco un acerbo Djokovic nel 2005 e tale Gaston Gaudio negli Us Open del 2006. Poi infortuni, infortuni, ancora infortuni: anca, gomito, ancora anca. Operazioni a raffica, sei anni da inattivo salvo un paio di tornei e il ritorno imprevisto nel 2011, quando ormai era annoverato nella schiera dei “che peccato” da mezzo mondo. Poco da aggiungere all’articolo di Luca, se non qualche statistica recente: Baker in Francia ha eliminato Stakhovsky e Monfils, ed entrambi li aveva già battuti tra i giovani. Inoltre non poteva farsi impressionare dal fatto che Davydenko avesse eliminato Isner, visto che lui è stato l’unico a rifilare un 6-1 6-0 a Long John. Sempre da juniores, vero, ma nessun altro ci è mai riuscito.
Ecco, parlando del match di oggi non bisogna commettere l’errore di pensare a Baker come il Kutrovsky o il Balazs di turno, il tennista da Challenger autore dell’exploit della vita. Anzi, oggi a volte dava l’impressione di giocare “facile facile, come se stesse facendo un’ora di lezione” (© Nizegorodcew). Baker è forte, molto forte, e se il fisico regge e riesce a trovare la giusta costanza è in tempo per togliersi belle soddisfazioni.
Io, credo come tanti, non lo conoscevo bene: per me Baker era Jamie, quello inglese molto più scarso di lui. Poi, riannodando i fili, mi è tornato in mente quel tizio che giocava sei anni prima, ma che non avevo mai visto. Mesozoico tennistico. Complice uno streaming funzionante, a differenza del match di ieri contro Kukushkin, mi sono fatto un’idea che si può esprimere in una sola parola: consistenza.
Brian Baker è consistente: il suo fondamentale migliore è il rovescio, una specie di maglio. Rovescio bimane, tanto deprecato ma che lui esegue in maniera pulitissima, tanto che le sue saette ricordavano quelle di Almagro, suo avversario in una finale da non perdere. Il diritto è buono, anche se in bilico: tende spesso a strapparlo, ma se impatta bene son frustate anche da quel lato. In aggiunta una velocità discreta e un gioco offensivo, senza disdegnare le discese a rete. Le volèe non sono alla Edberg ma rispecchiano il personaggio: solide, non sempre conclusive ma giocate con mano ferma. A chiudere il servizio, anche quello notevole: non si parla una macchina da ace, ma pur non avendo velocità di punta alla Karlovic riesce spesso a piazzare vincenti o ad aprirsi la strada per comodi uno-due. Ah, quasi dimenticavo: raramente mi è capitato di vedere una simile profondità di colpi. Le palle di Baker atterravano sempre nell’ultima porzione di campo, portando a qualche errore ma mettendo in difficoltà il russo, costretto spesso a colpire di controbalzo.
Insomma, un tennista che non sembra avere grossi punti deboli se non quello di un fisico di cristallo che, fino ad ora, gli ha reso impossibile una carriera decente. Volendo essere pignoli, Baker non è un fenomeno nei recuperi e il back non è molto rodato (svantaggi relativi, visto il suo gioco). Inoltre la palla corta è mediocre. Dettagli, quisquilie, pinzillacchere.
Ma veniamo al match: Baker è partito male, falloso e sotto pressione. Davydenko con il suo anticipo aveva buon gioco a limitare gli effetti del fortissimo vento, che ha costretto l’arbitro Moscarella a richiamare gli spettatori che facevano volare via i giornali. Sul 5-2 pesante il russo, fino ad allora perfetto in battuta, si è fatto breakkare ai vantaggi: da quel momento, per cinque minuti, ci ha capito il resto di niente, con Baker che ha infilato uno spiedino di otto punti di fila impattando sul 5-5. Davydenko si è arrampicato al tie-break, dove Baker ha sciupato un vantaggio di 3-1 e, sotto 3-6, ha tirato due risposte vincenti. Nikolay, però, è una vecchia volpe e ha sfruttato una seconda debole dell’americano per chiudere il set.
La sensazione, però, era di una partita apertissima e il secondo set l’ha confermata: dieci games, cinque break, una girandola dalla quale è uscito vincente un Baker capace di innalzare il proprio livello di gioco, confinando il russo a un misero 45% sulle prime e 42% sulle seconde. Davydenko, pur rimanendo aggressivo e breakkando due volte l’avversario, ha perso il servizio in tre occasioni e il set.
Terzo parziale: partenza lanciata dell’americano, break ai vantaggi e 2-0. Davydenko ha provato a reagire, ha tenuto il servizio ai vantaggi cacciando fuori due battute vincenti nel momento più opportuno, poi ha approfittato di una pausa dell’avversario per aggredire alla risposta. Break a zero, parità. Baker, bravissimo a non scomporsi, gli ha però restituito subito il favore togliendogli la battuta a 15. Nel game seguente, sul 40-15 per l’americano, il punto che avrebbe potuto far girare il match con Baker che, dopo aver finalmente imbroccato un dropshot decente, ha messo in rete la più facile delle chiusure per poi incassare il deuce su una risposta vincente di Nikolay. A quel punto il russo ha prodotto il massimo sforzo, martellando Baker: a sbagliare, però, è stato per primo lui e lì si è chiuso il match.
Terzo break del set, servizio finale tenuto recuperando da 15-40 e prima finale in carriera. Meglio ripeterlo: maneggiare con cautela, trattasi di materiale altamente esplosivo. Il ragazzo non sarà di primo pelo, almeno anagraficamente, ma sta giocando da Top 30: fossimo in Malisse, non saremmo contenti di averlo pescato al primo turno del Roland Garros.
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