di Salvatore Greco
La geografia tennistica di gennaio è fatta di luoghi consueti e attesi con una misura in buona parte riconducibile al fascino del primo slam già vicinissimo e della stagione agli albori. È così che il torneo combined di Brisbane, il ricco ATP di Doha e quello di Chennai assieme ai due WTA International di Auckland e Shenzhen segnano la strada che nel giro di due settimane porterà al primo slam stagionale come una mappa del tesoro a suo modo familiare.
A rinforzare la presenza australiana del cammino verso Melbourne c’è anche Perth, dove i circuiti professionistici non fanno ufficialmente tappa ma ha sede la Hopman Cup, appuntamento unico nel suo genere, nei fatti un torneo che non elargisce punti ATP o WTA ma i cui incontri vengono registrati come ufficiali dall’ITF ed è particolarmente sentito dal pubblico australiano.
Se l’onore del computo ITF per le sue sfide regala alla Hopman Cup i sacramenti dell’ufficialità, di certo la struttura della competizione con sfide tra nazioni che si compongono di singolare maschile, singolare maschile e doppio misto non favorisce un riconoscimento da parte di ATP e WTA. Eppure questo status ibrido di torneo ufficiale con riserva e di esibizione giocata a stagione in corso permette alla coppa, dedicata al leggendario condottiero aussie di Davis Henry Hopman, di avere una legittimità speciale e unica nel suo genere: si tratta dopotutto di un torneo che consente a giocatori di primo piano di poter entrare in confidenza con Melbourne senza dover affrontare i tabelloni spesso competitivi di Brisbane o di Doha o la trasferta non proprio agevole di Chennai.
Il valore che di anno in anno la Hopman Cup può vantare in termini di partecipanti, ma soprattutto l’agonismo reale delle sfide (sebbene qualcosa, fisiologicamente, si perda negli incontri di doppio misto) rende il valore sportivo oltre che simbolico della coppa di Perth su un piano completamente diverso rispetto al mondo colorato, strampalato e fin troppo rilassato di eventi come l’IPTL e, tolti aneddoti al limite del folklore come l’espresso richiesto da Serena Williams lo scorso anno durante l’incontro contro Flavia Pennetta, alla Hopman Cup si fa sempre sul serio, onorando un palazzetto di tutto rispetto e un pubblico tennisticamente di bocca buona come quello australiano.
Gli appassionati ricorderanno il singolare femminile della finale 2014 tra Alizé Cornet e Agnieszka Radwanska conquistato dalla polacca dopo tre set di cui il secondo concluso in favore della nizzarda al nono punto di un tie-break da battaglia. Alla fine la sfida e la coppa sarebbero andati alla Francia, trionfatrice nel punto decisivo in doppio misto con la coppia composta da Cornet e Tsonga contro quella polacca che metteva assieme Agnieszka Radwanska e Gregorz Panfil, arrivato a Perth come sostituto in extremis dell’infortunato Jerzy Janowicz. Proprio per Panfil la Hopman fu un’occasione per mettersi in luce a un livello superiore al suo abituale con una vittoria contro Milos Raonic durante la fase a gironi che gli diede un picco non indifferente di notorietà.
L’anno scorso la Polonia è tornata in fondo alla competizione e ha conquistato il titolo con la coppia titolare a tutti gli effetti composta da Radwanska e Janowicz e proprio la vittoria di Aga in finale su Serena Williams sembrava il segno di una stagione di mirabili prospettive per la polacca, pronostico ampiamente smentito durante l’anno, almeno fino al successo di Singapore mentre quella di Serena –come noto- si è conclusa con un grande Slam mancato a due match dalla storia.
Nei ventisei anni di storia della competizione, sui campi di Perth si sono succeduti nomi di livello altissimo a partire dal n.1 del mondo Novak Djokovic che ha portato la Serbia in finale due volte nel 2008 assieme a Jelena Jankovic e nel 2013 con Ana Ivanovic perdendo rispettivamente dagli Stati Uniti di Serena Williams e Mardy Fish e dalla Spagna di Verdasco e Medina Garrigues; pure Roger Federer ha fatto segnare il suo nome nella competizione quando conquistò per la Svizzera l’edizione del 2001 concorrendo accanto a Martina Hingis in un binomio che a ridosso dell’anno olimpico si fa sempre più chiacchierato e atteso.
Non sono mancati nemmeno trionfi a sorpresa come quello del 2009 di una Slovacchia rappresentata dalla appena ventenne Dominika Cibulkova e da Dominik Hrbaty sulla Russia che schierava una coppia quantomeno suggestiva composta dai fratelli Marat e Dinara Safin. Tuttavia l’edizione che resta la più curiosa è quella del 2000 quando a vincere il titolo fu il Sudafrica rappresentato da Wayne Ferreira e Amanda Coetzer alla conclusione di un’edizione chiusa con una finale oggi piuttosto improbabile contro la Thailandia di Srichaphan (con un dimenticato passato in top-10) e Tamarine Tanasugarn.
L’edizione 2016 alle porte rappresenterà una novità già per la composizione dei gironi con l’Australia che quest’anno parteciperà con ben due team definiti Australia Gold e Australia Green, il primo composto dai veterani Lleyton Hewitt (a una manciata di settimane dal suo annunciato ritiro per cominciare una carriera da capitano di Davis) e Jarmila Gajdosova e il secondo che vanta Nick Kyrgios e la neo-ufficializzata aussie Daria Gavrilova.
Il team delle “vecchie glorie” se la vedrà nel suo gironcino contro la Repubblica Ceca di Jiri Vesely e Karolina Pliskova (subentrata all’annunciata Lucie Safarova, ritiratasi a sua volta per il persistere dei problemi che si porta dietro dalla scorsa stagione), l’Ucraina di Elina Svitolina e Aleksandr Dolgopolov, più gli Stati Uniti che si ripropongono con Serena Williams accompagnata quest’anno da Jack Sock anziché John Isner. Il team “green” invece se la vedrà con la coppia francese composta da De Schepper (che sostituisce Monfils infortunatosi alla gamba durante l’IPTL) e Caroline Garcia, quella tedesca formata da Sabine Lisicki e dal giovane Alexander Zverev e infine la coppia britannica con il fresco trionfatore di Davis Andy Murray accompagnato da quella Heather Watson che rappresenta quasi da sola le speranze dell’Union Jack al femminile.
I pronostici del caso sono del tutto improbabili e ce li risparmiamo volentieri visto che la Hopman Cup non ha alcun valore per le classifiche, resta da godersi un esempio pressoché unico di tennis competitivo fuori dalle competizioni, in una cornice di grande prestigio che ispira grande agonismo. Niente sponsor invadenti, niente regole fasulle, niente regole ad hoc e nomi da franchigie americane. Non chiamatela esibizione, questa è l’Hopman Cup.
Leggi anche:
- None Found